Roma, la fabbrica degli scandali: storia di 60 anni di malaffare

Intervista a Martina Bernardini, autrice del libro “Roma, la Fabbrica degli scandali” (ed. Newton Compton). Domenica 6 appuntamento ad Artena per la presentazione

Da collega, posso affermare, senza alcuna piaggeria, che una delle prime impressioni avute quando l'ho conosciuta è stata la sensazione che la competenza e  l'interesse per le dinamiche socio-politiche della Capitale le avrebbero consentito di farsi notare. Certo, non avrei immaginato di leggere in breve tempo il nome di Martina Bernardini sulla copertina di un libro, ma lei ha bruciato le tappe, in coerenza del resto con il suo stile impetuoso nell'esporre i suoi concetti . Che spesso, non me ne vorrà, rischia di stordire l'interlocutore, tale è la sua passione e la sua determinazione nell'esporre le sue tesi. Questo insieme di qualità ha consentito a Martina di pubblicare il suo primo libro, edito da Newton Compton, "Roma, la Fabbrica degli Scandali".

Il tema trattato è quanto mai attuale, visto l'imminente inizio del Giubileo e le recenti dimissioni di Ignazio Marino: la storia del malaffare nella Capitale. Si tratta di una minuziosa e dettagliata analisi, che parte dagli anni '50 e arriva alle soglie del Giubileo, con un inevitabile occhio di riguardo per la vicenda di Mafia Capitale. Con estrema dovizia di particolari, il libro affronta tutte le vicende chiave che hanno contribuito a fare di Roma "una capitale disonesta": dalla nascita della speculazione edilizia nei primi due decenni del dopoguerra, passando per l'ascesa della Banda della Magliana, fino allo scoppio dell'inchiesta "Mondo di Mezzo" e alla fine della tormentata esperienza di Marino al Campidoglio.

Proprio a due giorni dall'inizio del Giubileo, Martina sarà ad Artena a presentare il suo libro: l'appuntamento è domenica 6 dicembre alle ore 11, presso l'ex Granaio Borghese di Artena, in via Alessandro Fleming. Cerimonieri dell'evento saranno il noto conduttore radiofonico Francesco Vergovich e Manuel Mancini. In attesa dell'appuntamento, Martina ha fornito alcune anticipazioni rispondendo alle domande, qui sotto riportate.

D: Martina, a costo di essere banali ma non si può non partire dalla fine. Alla luce del tuo accurato studio, ti sorprendono le dimissioni dell'ex sindaco Marino, a breve distanza dal Giubileo?

R: Ad essere onesta, non mi sorprende che l'esperienza dell'ormai ex sindaco di Roma si sia conclusa:  il rapporto con il suo partito si è incrinato sin da quel famoso sondaggio, secondo il quale Marino era ben voluto soltanto da 2 romani su 10. Per non parlare di quello con i cittadini che, eccezion fatta per chi poi si è riunito sotto il Campidoglio in suo sostegno, non è mai stato roseo e sereno. Tuttavia non mi aspettavo una fine così tragica: non a pochi settimane dal Giubileo, non con le dimissioni in massa dei consiglieri della maggioranza.  

Si trattava, in verità, di un'ipotesi plausibile, visto che le dimissioni venivano invocate anche dal suo stesso partito. La vicenda delle dimissioni date via Facebook, il successivo ritiro e la  presa di posizione dei consiglieri della maggioranza hanno rappresentato una delle pantomime più caratteristiche e più drammatiche che Roma abbia mai vissuto.  Adesso,  Roma deve affrontare il Giubileo più critico della storia. Da una parte, l'instabilità politica,  dall'altra, la minaccia del terrorismo, che getta la città in una morsa ancor più stringente. Certo, quest'ultimo aspetto non c'entra con la vicenda di Marino, però non si può far finta che non esista e non si può far finta che Roma, già debole, non ne risentirà.

D: Ritieni plausibile la teoria secondo la quale con la sua uscita di scena, "ha fatto esultare i tanti potentati che vogliono rimettere le mani sulla città?".

R: Io credo nell'onestà di Ignazio Marino, credo nella sua estraneità alle dinamiche capitoline, credo nella sua buona fede. Questo, però, prescinde da un'analisi del suo operato a livello amministrativo: l'onestà dovrebbe essere un quid fondamentale, non un valore aggiunto in base al quale giudicare l'opportunità, o meno, della politica di un primo cittadino. A livello amministrativo, appunto, reputo che, se tante cose buone sono state fatte (una su tutte, la chiusura di Malagrotta), tante altre non le ho condivise. Se la sua dipartita (politica, s'intende) sia un regalo ai "potentati" della città, io questo non lo so, e credo che nessuno possa affermarlo con assoluta certezza. Certo è che ci prenderemmo in giro se credessimo che realmente Marino sia stato "fatto fuori" per la vicenda degli scontrini: le ragioni, dal mio punto di vista, sono tutte da rintracciare all'interno dei rapporti tra le varie correnti del PD. Se affermassimo il contrario, vorrebbe dire che i consiglieri che si sono dimessi, e ancor prima gli assessori che hanno abbandonato la Giunta, avrebbero di tal modo fatto gli interessi di questi "potenti".

Cosa che, onestamente, non credo. Il che non vuole certo dire che a Roma non esistano queste "cricche": la vicenda Mafia Capitale, che da un punto di vista giudiziario è ancora tutta da scrivere, narra però della misura in cui Roma sia stata preda, di volta in volta, di persone che hanno visto nella Capitale il terreno più fertile ove far fruttare i loro, poco chiari, interessi. Certo, la dietrologia è sempre affascinante e suggestiva, ma non sempre è buona consigliera: a me pare che in questi tre anni circa, non ci sia stato, a Roma, un governo forte, in grado di andare avanti nonostante tutto e tutti. Anzi, già all'indomani della prima ordinanza relativa a Mafia Capitale, è intervenuto il premier Renzi inviando a Roma un commissario straordinario. Sullo scacchiere, Marino era il più debole (anche nel rapporto con la cittadinanza) e il più forte l'ha mangiato. Questo, in conclusione, per ribadire che le ragioni sono, a parer mio, prima di tutto politiche.

D: Credi che il premier Renzi, come ha dichiarato apertamente Marino, abbia davvero ordito un complotto nei suoi confronti, atto ad accentrare nelle sue mani la gestione del Giubileo? Più in generale, ritieni verosimile che l'ex sindaco sia stato metaforicamente accoltellato dai suoi stessi compagni di partito? Di fatto, Marino ha fatto intendere che il PD romano obbedisca alle logiche dei gruppi di potere che lui, a suo dire, ha cercato di contrastare…

R: Che il PD abbia "accoltellato" Marino, per dirla con le sue parole, non mi pare certo un mistero: i consiglieri si sono dimessi e lo hanno mandato a casa. Credo che l'ex sindaco abbia ragione quando osserva che il Partito Democratico tanto democratico non si è mostrato quando ha deciso di porre fine a un governo, quello cittadino, democraticamente eletto, in modo quantomeno discutibile. La crisi di governo andava affrontata e così non è stato: l'Aula avrebbe dovuto essere il luogo ove risolvere ovvero porre fine alla diatriba in modo democratico perché è lì, in Aula, che le crisi si affrontano.

Complotto? Come ho detto prima, la dietrologia è sempre affascinante e suggestiva, ma raramente buona consigliera; reputo invero che anche in questo caso la soluzione sia da rintracciare nella politica: se non lo avessero destituito i suoi stessi consiglieri, lo avrebbero fatto le opposizioni e credo che il PD, con Renzi in testa, mai avrebbero tollerato di lasciare che le opposizioni si fregiassero del "merito" di aver fatto cadere Marino, rivendendosi questa mossa alle prossime elezioni, o quantomeno in campagna elettorale.  

D: Riducendo la questione all'essenziale: Marino si è fatto del male con le sue stesse mani a causa delle ripetute gaffe (più o meno gravi), o è stato davvero vittima delle più classiche manovre sotterranee? Oppure, come spesso accade, la verità sta nel mezzo?

R: Come ho scritto anche nel libro, Marino è il sindaco dei record: è stato quello più contestato dalla stampa, dai cittadini e il più inviso al suo stesso partito. Un trattamento simile, da che io abbia memoria, non è mai stato riservato ad altri. Che le colpe stiano solo da una parte, però, mi pare affermazione ardita, e anche sbagliata. Guardando a questi tre anni e mezzo, Marino ha sicuramente delle colpe: prima tra tutte, quella di non aver avuto una comunicazione efficace e adatta al ruolo che ricopriva. Il che, lo ha penalizzato molto nei rapporti con i cittadini romani. Anche questo, probabilmente, rientra nelle caratteristiche di quello che è stato definito il "sindaco marziano".

La sua più grande virtù, però, ha finito per trasformarsi nel suo più grande difetto. Ma la politica la fanno gli uomini, e gli uomini possono cadere in errore. Questo per dire che, qualunque sia la valutazione che ciascuno di noi dà all'operato di Marino, questi non meritava certo una fine simile: gli eletti si sfiduciano col voto (e quindi, eventualmente, col non-voto) dei cittadini. 

D: Ai vari record mi permetto di aggiungere l'essere stato sindaco durante lo scoppio di Mafia Capitale. Evidentemente i pianeti si erano allineati davvero per Marino. E qui entriamo in uno degli aspetti più controversi della sua esperienza al Campidoglio: il sindaco ha continuamente insistito sulla discontinuità portata al Comune rispetto alla giunta precedente, a suo dire pesantemente collusa con il malaffare. E' stato davvero così? E come mai questo messaggio non ha fatto breccia nel cuore dei romani? 

R: Qui occorre necessariamente fare dei distinguo. E una premessa è fondamentale: quale che sia l'opinione di ciascuno di noi, la storia giudiziaria di "Mafia Capitale" è ancora tutta da scrivere. Il che, da parte mia, non vuol dire negare che a Roma esistano corruzione e malaffare. Tutt'altro: io ne resto convinta. Però ancora non ci è permesso emettere sentenze prima che i processi si siano conclusi, e quindi dire con esattezza se tutti gli attori a vario titolo coinvolti siano realmente colpevoli. Ad oggi gli unici elementi che abbiamo per poter valutare l'entità del problema "Mafia Capitale" sono le due ordinanze di custodia cautelare firmate dal GIP Costantini (del novembre 2014 ed eseguita nel dicembre successivo, e quella del maggio 2015 eseguita nel giugno successivo), le sentenze del Tribunale del Riesame e quelle della Cassazione: il dato unico è che pare esista realmente un'organizzazione criminosa dedita al malaffare all'interno della pubblica amministrazione. Nelle maglie di questa organizzazione, ai dati che emergono dalle ordinanze, sembra siano rimasti intrappolati anche alcuni esponenti dell'amministrazione Marino. Quindi sostenere che dal 2013 – ovvero dall'anno dell'elezione dell'ex sindaco – a oggi, ci sia stata discontinuità, è parzialmente vero.

Dal mio punto di vista, il sindaco è realmente estraneo a questi intrighi di potere. Potrebbe, però, non esserlo – o non esserlo stata – parte della sua maggioranza, secondo la tesi sostenuta nelle due ordinanze. Ecco, dunque, i distinguo di cui parlavo. Un sindaco, però, sebbene non penalmente colpevole, lo è sempre politicamente. E di fronte ai cittadini che, seppure potessero immaginare che a Roma non tutto andasse nella direzione della più piena legalità, è possibile che non avessero contezza di quanto questo malaffare fosse radicato in seno alla stessa pubblica amministrazione, funge da capro espiatorio. Ad ogni modo, ci sono stati romani che hanno sostenuto il sindaco, firmando una petizione e scendendo in piazza. I motivi per cui il messaggio non ha fatto breccia nel cuore di tutti credo siano da rintracciare in ciò che dicevamo prima: un operato, da un punto di vista amministrativo, che non ha convinto l'intera città. 

D: Torneremo su queste vicende, comprenderai che c'è altro da sviscerare. Ora, però, voglio farti una domanda più personale: il tuo libro trae linfa proprio dalla maxi inchiesta di Mafia Capitale. Da profonda conoscitrice del contesto socio-politico romano quale sei, mi racconti la tua prima reazione nell'ormai famoso 2 dicembre 2014? Avresti mai immaginato che poco dopo ti saresti ritrovata a scrivere un libro su interi decenni di malaffare capitolino?

R: Il 2 dicembre è stata una giornata memorabile, per Roma. Ma ricordo che fu la seconda ordinanza, quella del giugno 2015, a scioccarmi di più. Vuoi perché sulla stampa emersero dettagli maggiori e più scottanti, vuoi perché ero già in fase di scrittura e quindi per me il materiale da studiare aumentava di molto. Certo, non posso dire di non essere rimasta sorpresa, quel 2 dicembre 2014: immaginavo che a Roma la politica, o meglio qualche politico,  non agisse nell'interesse del bene pubblico, ma di quello privato. Mai, però, avrei immaginato di ritrovarmi a fare i conti con quella che, dalla lettura delle ordinanze e fino a sentenza del processo, appare come un'organizzazione ben strutturata, con suoi vertici e sue regole di comportamento. Non così intranea  al tessuto capitolino, non così ramificata. E non immaginavo nemmeno di ritrovarmi faccia a faccia con le due ordinanze: l'occasione, per me, è giunta poco dopo l'esecuzione della prima ordinanza. E l'ho colta al volo.  

D: L'impianto accusatorio di Mafia Capitale è terrificante: nel "Mondo di Mezzo" confluiscono politici di ogni schieramento, settori di una criminalità che pareva appartenente al passato, il mondo delle cooperative. Sembra la plastica rappresentazioni della tesi, diffusa tra la gente comune, secondo la quale di fronte agli interessi economici spariscono le tradizionali distinzioni politiche e si creano convergenze indicibili e impensabili. Il cosiddetto "magna magna", insomma. Dobbiamo ormai arrenderci a questa evidenza?

R: Come sono solita ripetere, corruzione e malaffare sono caratteristiche endemiche alla pubblica amministrazione, poiché questa è rappresentata da uomini. Debellarle lo reputo quasi impossibile; arginarle, però, è un dovere di una società che si autoproclami come civile. Non credo nemmeno che corruzione e malaffare siano caratteristiche peculiari del nostro Paese: esistono anche altrove, ma altrove i colpevoli vengono puniti. O vengono puniti più di quanto non lo facciamo in Italia. Questo non è un problema che riguarda solo la politica, o solo Mafia Capitale: nel nostro Paese manca la certezza della pena, spesso e volentieri.

Che non vuol dire solo certezza che i colpevoli vengano puniti, ma anche certezza dell'esecuzione della pena, oltre che della sua applicazione, nonché certezza del processo e della sua ragionevole durata – quest'ultimo è, peraltro, un principio anche espresso a livello costituzionale. Se dobbiamo arrenderci? No, certo. Ognuno, nel suo piccolo – e sembrerà banale, ma credo sia vero – è tenuto al rispetto delle regole. E solo una rivoluzione delle coscienze permetterà una rivoluzione in politica. In fin dei conti, i nostri rappresentanti ce li scegliamo. Sta a noi scegliere da che parte stare.

D: Ti faccio questi nomi: Alemanno, Carminati, Marino e Buzzi. Il dibattito politico di questi mesi si è polarizzato sull'attribuzione delle maggiori responsabilità del degrado etico, sociale e politico di Roma. Alcuni sostengono che con la giunta Alemanno il sistema criminoso imperniato sull'asse Carminati-Buzzi abbia raggiunto il suo apice e che con la giunta Marino sia stato ridimensionato, tentativo costato caro al "marziano" a causa delle resistenze da parte di larghi settori del PD, pesantemente collusi. Altri pensano che Buzzi abbia continuato tranquillamente a fare affari anche con Marino, a riprova della trasversalità dell'organizzazione criminale e di un sistema politico irrimediabilmente corrotto. Qual è la tua chiave di lettura sull'operato di Alemanno e Marino?

Come ho già detto, reputo Marino una persona onesta. Credo che davvero, e mi ripeto anche qui, che lui sia estraneo alle dinamiche capitoline. In molti gli contestano di aver devoluto il suo primo stipendio alla cooperativa di Salvatore Buzzi: io credo che, per un sindaco che voleva essere il sindaco di tutti, e anche degli ultimi, quello deve essere stato, secondo Marino, un gesto rivoluzionario, un esempio da dare. Sul suo sito, la 29 Giugno, si descrive come una cooperativa che ha a cuore il reinserimento sociale dei detenuti e "più in generale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società". D'altra parte, Buzzi era anche stato riabilitato dall'ex presidente Scalfaro: chi mai avrebbe potuto dubitare del suo buon cuore?

Nessuno, al punto che era diventato un referente dell'amministrazione capitolina, almeno stando a quanto si evince dalle ordinanze. Ora, se tutti siano caduti in trappola, o se qualcuno fosse a conoscenza del fatto che dietro a Buzzi, secondo l'ipotesi accusatoria, ci fosse un sodalizio questo non lo so. Lasciamo il beneficio del dubbio, anche se io resto del parere che non tutti siano stati incolpevoli e inconsapevoli. A oggi sappiamo che per l'ex sindaco Alemanno è decaduta l'accusa di associazione mafiosa, ma resta ancora da sciogliere il nodo per l'accusa di corruzione, che lo stesso ha respinto. Marino, invece, nell'inchiesta non è stato coinvolto. Come ho detto sopra, un sindaco è sempre, quantomeno, politicamente responsabile: questo vale tanto per Marino, quanto per Alemanno. 

D: Nel calderone di queste intricate vicende è finito anche il Papa, che ha lanciato nei confronti di Marino un vero e proprio "siluro" con quella frase "Io non ho mai invitato il sindaco Marino in America". Pensi che la vicenda abbia influito sulla fine dell' esperienza di Marino al Campidoglio? Si dice che i rapporti tra l'ex sindaco e papa Francesco fossero ai minimi storici dopo la trascrizione del registro delle unioni civili e le continue telefonate di Marino, il quale pare richiedesse costantemente supporto e vicinanza al Pontefice… 

I rumors sono costanti, spesso indiscreti, e chissà se reali. Che non fosse stato invitato, è fatto smentito. Ma anche qualora fosse stato vero, ho poco apprezzato l'esternazione del Pontefice. Bisogna però dire che la stampa ha fatto di tutto per mettere Marino e Bergoglio "l'uno contro l'altro". Voglio dire: era davvero la cosa più importante del viaggio sapere se Marino fosse stato invitato? Per quanto riguarda i rapporti tra Vaticano e Campidoglio, è plausibile che "al di là del Tevere" non abbiano gradito che Marino abbia dato il là alle trascrizioni delle unioni civili.

Devo però spezzare, in questo caso, una lancia a favore dell'ex sindaco: in Italia siamo in un ritardo mostruoso sul tema. Persino la cattolicissima Irlanda ci ha anticipati: ovviamente un sindaco, o meglio un Comune, non dettano legge, non a livello nazionale. Però la politica è fatta anche di questo, e ho apprezzato il coraggio di Marino. In fin dei conti, siamo in uno Stato laico – anche se più a parole, che nei fatti. E credo sia giunto il momento che il potere spirituale torni ad occuparsi prettamente delle anime dei fedeli. 

D: Torniamo dall'altra parte del Tevere. Nel tuo libro si affronta il tema degli scandali legati a due grandi eventi sportivi come Italia '90 e i Mondiali di Nuoto 2009. Mi viene spontaneo pensare alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, avvenuta sotto la giunta da Marino e appoggiata con entusiasmo dal premier Renzi. Alcuni la vedono come una iattura, essendo convinti che, alla luce delle esperienze sopra citate, possano inesorabilmente spalancarsi le porte al malaffare, con conseguenze deleterie per la Capitale e per l'intero paese. Secondo te si corre seriamente questo rischio oppure si tratta di un'opportunità che la città e tutta l'Italia devono cogliere?

R: Tra i libri che ho studiato per scrivere il mio, anche "Sciacalli", del giornalista Corrado Zunino. L'ultimo capitolo ha questo titolo: "E noi le Olimpiadi dovremmo farle con questi signori qui?". Ovviamente, le Olimpiadi citate da Zunino non sono quelle del 2024. Ma l'interrogativo resta ed è, ahinoi, più che mai attuale. Quel libro tratta in modo approfondito tutte le vicende legate alla famosa "cricca" della Protezione Civile e, in particolare, ai Mondiali del 2009, quando privati hanno goduto di agevolazioni pubbliche: ciò che a Roma resta di quei mondiali è, per dirla proprio col giornalista, "un diluvio" di vasche private. Mentre gli impianti pubblici, se completati sono finiti in disuso nel giro di poco tempo; altri, come le tristemente famose "Vele di Calatrava" a Tor Vergata non sono nemmeno stati completati, nonostante soldi già spesi (con costi lievitati). Secondo recenti stime, il Lazio è la regione italiana col maggior numero di opere incompiute. Oltre 80, per la precisione. Bisogna poi considerare che Roma si candida nel momento in cui è ancora in atto il terremoto legato al caso Mafia Capitale, attualmente a processo. Roma può avere il suo riscatto, solo se riusciamo, però, a dimenticare il passato.

Mi spiego: innanzitutto c'è bisogno che le Olimpiadi non siano considerate "Grande Evento", come accadde col Giubileo del 2000 e con i Mondiali di Nuoto del 2009. Questo perché, se classificassimo un evento come "Grande Evento", rischieremmo nuovamente di sottrarre alle amministrazioni pubbliche il loro potere, affidato nelle mani di un commissario straordinario. Basti pensare che nel 2009 si decise che ogni decisione presa in seno al Piano per i Mondiali era da considerarsi come variante al Piano Regolatore. Questo errore non va più commesso e, soprattutto, Roma non ha più bisogno delle cosiddette cattedrali nel deserto. Bisogna riqualificare gli impianti già esistenti, se necessario portare a conclusione quelli mai completati: Roma ha bisogno di strutture fruibili già il giorno dopo la chiusura delle Olimpiadi dai cittadini. Quindi strutture di prossimità, che sappiano, soprattutto, offrire un'opportunità anche allo sport considerato minore, ovvero quello mediaticamente meno conosciuto. Mi spiego ancora meglio: Roma vince non solo la candidatura ma la sfida con se stessa, se è in grado di programmare interventi ispirati ai criteri di efficientamento dei costi, e della fruibilità quotidiana. Recuperare le opere, valorizzare quanto già abbiamo: queste son le parole chiave, a parere mio, che riscatteranno Roma. 

D: Nella tua analisi, un rilevante spazio è dedicato alla Banda della Magliana. Viene spontaneo pensare al nome di Massimo Carminati: tu inviti giustamente a non ridurre la storia di Mafia Capitale a una copia della Banda della Magliana. Allo stesso tempo, però, ipotizzi un'evoluzione del sodalizio criminale, grazie alla quale continua ad avere una fortissima influenza, seppure in modalità differenti dal passato. Potresti spiegare questo delicato passaggio? 

R: Farò ricorso non solo a quanto scritto nel libro, ma soprattutto alle fonti utilizzate per la stesura del capitolo relativo alla cosiddetta Mafia Capitale che, in assenza di sentenze definitive – perché il processo è ancora in corso – sono le due ordinanze di custodia cautelare del gip Flavia Costantini, rispettivamente del 2014 e del 2015. Innanzitutto, va detto che l'associazione odierna, secondo gli inquirenti, pur avvalendosi "della forza di intimidazione del vincolo associativo", presenterebbe, però, stando agli elementi acquisiti, "caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso". Altresì, l'organizzazione si presenterebbe come "un gruppo illecito evoluto", la cui forza d’intimidazione deriverebbe anche dal "passato criminale di alcuni dei suoi più significativi esponenti".

Tra questi, secondo l'accusa, ci sarebbe anche Massimo Carminati; al contrario, è proprio il legale di Carminati a smentire l'esistenza della presunta associazione mafiosa. La forza, però, dell'associazione, sarebbe stata quella di "adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo reticolare o a raggiera". Il collegamento, o meglio l'evoluzione, del sodalizio non è dunque una mia ipotesi, ma è tesi degli inquirenti. I quali, peraltro, sostengono anche che, sebbene Mafia Capitale affondi, in qualche modo, le sue radici nel passato di alcuni dei suoi più importanti esponenti, e quindi anche nel passato della Banda della Magliana, in realtà, avrebbe, nel tempo, assunto "una fisionomia del tutto originale", riducendo al minimo il ricorso alla violenza e anzi sfruttando il settore degli affari e degli appalti pubblici, caratterizzandosi, si ipotizza, come collegamento tra "mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica". E' dunque questo l'impianto accusatorio, che solo il processo potrà confermarci o, al contrario, smentirci. 

D: Nel libro ti sei occupata della Banda della Magliana anche a prescindere da Mafia Capitale, descrivendone l'ascesa inarrestabile, che l'ha portata a intessere un rapporto del tutto particolare con il mondo dell’eversione e con quello politico. Addirittura si parla di un ruolo di primo piano nel caso Moro: ci racconti in cosa consisteva questo legame del tutto particolare con il mondo politico e dell'eversione degli anni '70 e '80? Perché, dopo l'enorme potere raggiunto, è giunto il declino della banda? 

 R: ll giudice e senatore Libero Mancuso ha detto che, "se vi è stata un’organizzazione criminale che abbia mai avuto protezioni, e che sia stata sottovalutata nonostante le profluvie di elementi di accusa raccolti inutilmente a suo carico, questa è la Banda della Magliana". Dice "inutilmente", il giudice, perché in effetti le ultime sentenze relative alla Banda sono sorprendenti: escludono l'esistenza di un'associazione mafiosa, rubricata a mera associazione per delinquere. Gli imputati, sono stati giudicati solo relativamente ai singoli delitti commessi. Tutte le vicende, nazionali, in cui si presume la Banda sia stata coinvolta – dai depistaggi al caso Moro – lasciano intuire che i "bravi ragazzi" abbiano goduto dell'appoggio, di volta in volta, di politica e apparati istituzionali più o meno deviati, come i servizi segreti. Questo, però, non ha impedito la dissoluzione della Banda stessa.

Due erano le anime principali che la componevano: quella della Magliana, e quella dei testaccini. Questi ultimi, in particolare, erano accusati, da parte dei loro stessi sodali, di aver intrapreso rapporti di natura affaristica con persone al di fuori del gruppo, rapporti dei quali quelli della Magliana sarebbero stati tenuti all'oscuro. Sarebbe principalmente questo il motivo che avrebbe portato alla dissoluzione della Banda. I rapporti, già critici, tra le due anime della Banda, vennero progressivamente a inasprirsi dopo la prima grande offensiva giudiziaria ai danni dei maggiori esponenti della stessa: quelli che fino alla prima metà degli anni Ottanta avevano rivestito ruoli secondari all'interno del sodalizio, con i capi storici in carcere, avevano quindi assunto ruoli di comando. La Banda è dunque deflagrata sotto i colpi della guerra intestina. E fratricida. 

D: Grande attenzione, nel tuo libro, è dedicata la piaga della speculazione e dell'abusivismo edilizio nella Capitale. L’urbanista Paolo Berdini sostiene che si tratta di un male tutto italiano, che a Roma si è sviluppato nei primi due decenni del dopoguerra. Cosa è accaduto nella Capitale in quegli anni? E come si è sviluppato il fenomeno fino ai giorni nostri? 

R: Partiamo, innanzitutto, da alcuni dati: nel 1931, Roma contava circa 1 milione di abitanti; tra il 1951 e il 1971, la popolazione romana si incrementa di circa 55mila persone ogni anno. Basti pensare che, nel 1960, la cifra si aggira attorno ai 2 milioni. Di contro, però, a Roma, le politiche sociali, in quegli anni, non sono state all'altezza delle necessità di una popolazione sempre crescente. La scarsa quantità di case popolari, rispetto alle reali necessità, porterà a dilagare il fenomeno dell’abusivismo, tollerato e mai fronteggiato fino in fondo dallo Stato: con i condoni ci si è limitati a regolarizzare le illegalità. Non solo: la prima Roma repubblicana è quella che si sviluppa secondo le linee guida del Piano Regolatore del 1931, un piano, ad ogni evidenza, vecchio per una città totalmente trasformata.

Quella dell'urbanistica romana, appare come una storia che rivela la debolezza di un Comune che non è stato in grado di impostare un programma che rispondesse a criteri di pubblica utilità e non già di interessi privati. Per dirla in altre parole: è mancato il governo pubblico del territorio. O meglio: è stato debole, rispetto all'iniziativa privata. Se gli istituti pubblici (INA-CASE e Istituto Case Popolari) costruivano poco, lo sviluppo urbano era contrassegnato, di contro, in maniera quasi del tutto incontrastata, dalla speculazione edilizia. Si è parlato, relativamente a quegli anni, di "febbre delle costruzioni". Scalfari, ne 'La sera andavamo in via Veneto', dirà che "le bande del potere immobiliare" hanno consumato "nell’impunità più completa la loro gigantesca devastazione". 

 D: A proposito dei giorni nostri, per chiudere torniamo all'attualità: siamo a una settimana dal Giubileo, credi che alla fine le ansie e i timori per l'inadeguatezza di Roma alla fine vengano dissipate? Oppure si tratterà davvero di una corsa in salita? Credi che il Commissario Tronca e il Prefetto Gabrielli saranno all'altezza della situazione? 

R: Più che crederlo, lo spero. Per quanto io reputi che una città senza una guida politica, ad affrontare un evento simile, sia in difficoltà – perché un commissario sostituisce gli organi eletti, e quindi anche l'Assemblea capitolina – mi auguro però che si sia in grado lo stesso di dare risposte adeguate alle necessità che un evento come il Giubileo si porti dietro. In più, come dicevamo sopra, gli allarmismi sono dovuti anche ad altri fattori, come quello del terrorismo, per cui lo stato di allerta è altissimo. In questo, un aiuto alla città dovrà essere dato anche dagli organi nazionali, governo in primis. Visto che si tratta del Giubileo della Misericordia, mi auguro che qualcuno, lì, abbia misericordia di noi. 

D: Martina, ho esordito con una domanda scontata e, per coerenza chiudo con una altrettanto prevedibile: quali sono le tue aspettative per questo libro? A chi dedichi gli sforzi sostenuti per questa tua prima fatica editoriale?

R: E' inelegante, lo riconosco, ma li dedico prima di tutto a me. Per averci creduto sempre, e per non aver mollato mai. Li dedico a chi ha scommesso su di me qualche mese fa, a chi mi ha accompagnata lungo tutto il percorso, spesso difficile, della scrittura. Alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuta, economicamente e moralmente. E' scontato, forse, ma vero: senza di loro, non sarei mai arrivata fin qui. Lo dedico ai miei nonni, a quelli che non ci sono più, e all'unica ancora in vita. Sarebbero fieri e orgogliosi anche loro di me, come lo sono io. Per ora mi godo questo piccolo grande successo. Spero si tratti di una gradevole lettura per tutti coloro che si imbatteranno in essa; spero sia fonte di informazione soprattutto per i più giovani, come me, che forse di molti eventi non erano nemmeno a conoscenza. 

Lascia un commento