Roma, la storia del bandito Leonardo Cimino, detto lo “smilzo”

Leonardo Cimino, un criminale dimenticato a torto, fu un apripista, il grimaldello della malavita per “forzare” Roma

Alla fine degli anni '60, quando il verde delle periferie viene invaso dal cemento di quelli che in futuro verranno chiamati "palazzinari", Roma vive in un atmosfera di apparente tranquillità. A rompere il silenzio ci pensa Leonardo Cimino, lo "smilzo" il "miope", sarà il primo ad abbinare la rapina all'omicidio, un connubio fino ad allora rarissimo.

La sua storia inizia come quella di tanti altri delinquenti, scippi, furti con scasso, furti di auto; poi il "salto di qualità" nell'ambiente della mala. Il 16 agosto del 1966 attende l'uscita di due commessi di banca, dallo stabilimento della San Pellegrino a via Salaria. Spara, poi chiede la borsa. Tullio Milana reagisce e, anche se ferito gravemente, ingaggia una lotta violenta con il bandito; ha la meglio, fugge ma viene raggiunto dal terzo colpo. Cade a terra riverso sulla borsa contenente 19 milioni di lire e vari titoli, prima di perdere i sensi rivede la sua vita in un attimo e l'immagine dei suoi figli…

Cimino fugge mentre il suo complice spara al volto di Mario Bellini, l'altro commesso, rimasto nell'auto di servizio bloccata da una Alfa Romeo Giulia Verde bottiglia che diventerà famosa in seguito.
La borsa è salva ma i due bancari restano lì. Tullio Milana sull'asfalto bollente e Mario Bellini riverso sul sedile della Fiat 600 blu. Si salveranno dopo mesi di cure, ma per loro non sarà mai più "come prima".

A condurre le indagini viene chiamato il capo della squadra mobile, Scirè, che riesce, anche grazie alle testimonianze dei due sopravvissuti, ad individuare in Leonardo Cimino, l'autore della tentata rapina. "Prendetelo subito" – dichiarò Tullio Milana in ospedale rivolgendosi al funzionario di Polizia – " è troppo feroce, agirà di nuovo".

Fu proprio così. Cinque mesi dopo Cimino entra a far parte di una vera e propria banda organizzata. Il capo è Franco Mangiavillano, gli altri Mario Loria e Francesco Torreggiani. Si appostano sotto un portone di via Gatteschi a bordo dell'ormai famosa Giulia verde, la stessa usata in via Salaria. Attendono l'arrivo a casa di due gioiellieri, i fratelli Gabriele e Silvano Menegazzo, 19 e 23 anni. Sparano abbattendoli senza pietà. Prendono i preziosi e scappano, lasciandoli lì, sotto gli occhi del padre, affacciatosi attirato dagli spari. Morti.

L'opinione pubblica è scossa, Roma si stringe attorno alla famiglia delle vittime, attonita e sorpresa da tanta ferocia. Centinaia di posti di blocco, perfino la microcriminalità collabora, e la banda viene sorpresa,all'alba, pochi mesi dopo, in un casolare a Monte Mario. Breve conflitto a fuoco poi l'arresto di Loria e Torreggiani; Cimino resta ferito, morirà in ospedale mesi dopo. Manca il capo, Mangiavillano, verrà arrestato in Grecia e poi instradato in Italia.

Nel 1982 Torreggiani venne scarcerato per buona condotta, Mangiavillano evase ma fu subito ripreso, Loria sconto' solo 12 anni (fu l'unico a non usare le armi) ma nel 1983 venne trovato morto nel baule di un auto alle porte di Roma. Iniziò così, in un "ferragosto di fuoco" (titolo del quotidiano il Messaggero ), l'escalation di una criminalità che si impadronì ben presto di Roma, seminando terrore e sangue.

Roma, il centro storico, la bella vita, i palazzinari, il cinema, ma anche gli operai, gli studenti … I primi segnali di cambiamento. Leonardo Cimino, un criminale dimenticato a torto perché fu un apripista, il grimaldello della malavita per "forzare" Roma.

Ecco la storia di un bandito e dei suoi complici, della loro attività criminale, contrapposta alla storia delle vittime, tolte agli affetti più cari, eliminate dal tessuto pregiato di una città che voleva distinguersi nel mondo non solo per le sue ricchezze artistiche e storiche ma anche per il valore di tanti onesti lavoratori che cercavano solo la loro tranquillità dopo anni di sofferenze e di miserie. Roma per vivere e non per morire.
 

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