Cronaca

Roma nel futuro con pochi figli e più anziani. Crescerà solo l’area metropolitana

Le opportunità di crescita sono legate al turismo, a una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, a trovare una forma di integrazione per gli immigrati e una offerta che induca a restare ai “cervelli che scappano”.

Quando si analizza il futuro di solito gli scienziati procedono su un filone di loro competenza, considerando le variabili connesse ma non riuscendo a considerare i cambiamenti in tutti i campi possibili. Non si riesce a valutarli tutti contemporaneamente. Fare previsioni, anche con l’ausilio della Intelligenza Artificiale si può ma non dà la garanzia di verità certa. Nella realtà possono sempre esserci imprevisti. Eventi che e interagiscono nelle nostre vite modificando gli assetti prefigurati.

Roma nel 2053 avrà lo stesso clima che ora si trova ad Antalya

In un articolo di qualche settimana fa (Roma fra 30 anni sarà come Antalya) si parlava di una Roma del futuro, fra 30 anni, vittima di un clima torrido, simile e quello di Antalya, in Turchia, secondo il Centro Euro -Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. I climatologi dell’Eth, il Politecnico di Zurigo, dopo aver analizzato 520 centri urbani con oltre un milione di abitanti ciascuno, hanno stabilito che non c’è da farsi illusioni. Il caldo aumenterà, se non faremo qualcosa di drastico per cambiare i nostri stili di vita in termini di diffusione della CO2 nell’atmosfera.

Ma anche dove riuscissimo a interrompere questo inquinamento in maniera repentina e su tutta la Terra, cosa assolutamente impossibile, ci vorrebbero 40 anni, a partire da quel momento, per vedere ridurre l’anidride carbonica e tornare ad un clima che non tende più al riscaldamento globale, invertendo la tendenza. Quindi il caldo continuerà a crescere con tutte le conseguenze che sapete.

La popolazione crescerà fino al 2100 poi si arresterà la crescita

Il calore che aumenterà sempre più è un dato acquisito ma che dire della crescita demografica?  Secondo le stime dell’Onu la popolazione mondiale arriverà a 10,9 miliardi nel 2100. A quel punto però la crescita che sempre abbiamo visto nei secoli passati si arresterà. Sono servite decine di migliaia di anni per arrivare a un miliardo e solo 200 anni per passare da uno a quasi 8 miliardi. Bisogna fare una riflessione su questo aspetto perché è alla base dei problemi dell’umanità di adesso. I demografi studiano questi fenomeni e si pongono le domande.

Quanto cresceremo ancora? Max Roser, in un articolo pubblicato su Our World Data, l’ente di ricerca da lui fondato e diretto, ha risposto che  “cresceremo poco, perché la crescita sta terminando”. Il tasso di fertilità globale, quello che vede l’Europa per esempio avere sempre meno figli, si è dimezzato e va verso la nascita zero. Una volta fare più figli serviva a contrastare la mortalità infantile. Ora invece, con le migliorate condizioni di salute, la popolazione è cresciuta velocemente. Ogni anno nascono 140 milioni di esseri umani e ne muoiono circa 80.

La popolazione crescerà fino al 2100 quando si arriverà a un nuovo equilibrio. Prima era l’alta mortalità infantile a tenere bassa la crescita demografica, nel 2100 sarà la bassa fertilità a tenere contenuta la crescita. Ma questo significherà che saremo sempre più anziani. Meno figli, più benessere, più automazione, più tempo libero, in un mondo di anziani benestanti. Questo in Occidente. E tutto intorno? Guerre, carestie, epidemie, disastri. In Africa vivranno 4,3 miliardi di persone. In Asia saranno 4,6 miliardi. Cresceranno poco America e Oceania mentre l’Europa scenderà a 630 milioni, sempre nel 2100. Meno del 6% della popolazione mondiale vivrà nel vecchio continente.

Nasceranno meno bambini, soprattutto in Occidente. Il peso di Asia e Africa sarà notevole

Nel 1950 il numero di bambini nati è via via aumentato, dai 97 milioni di allora ai 143 milioni di oggi. La mortalità infantile però è diminuita nello stesso tempo. Nella proiezione per il 2100 si vede che i prossimi decenni non assomiglieranno al passato: secondo le proiezioni ci saranno meno bambini alla fine di questo secolo, rispetto ad oggi 2023. La base della futura struttura della popolazione sarà più piccola perché invece di contare su tanti nuovi nati si andrà verso una piramide rovesciata, con sempre meno bambini.

Il cambiamento maggiore si verificherà in Africa: attualmente ha una popolazione di 1,3 miliardi di persone e per il 2100 dovrebbe crescere arrivando a 4,3 miliardi.

Negli ultimi 50 anni l’Asia ha registrato una rapida crescita della popolazione: oggi la sua popolazione è di circa 4,6 miliardi. Entro il 2050 dovrebbe salire a 5,3 miliardi, per poi diminuire nella seconda metà del secolo e tornare per il 2100 al livello odierno. Secondo le stime, nel 2100 l’India sarà il paese più popoloso del mondo con 1,5 miliardi di persone contro gli 1,1 miliardi della Cina. 

Prima del 2100 i rapporti di forza tra Brics e Occidente saranno rovesciati

Secondo i geopolitici però l’India manca di quelle caratteristiche che potrebbero farne una grande potenza: divisioni interne religiose, divisioni rigide in caste, molti poveri, idiomi differenti nella popolazione. È la Cina invece che eserciterà un ruolo di predominio, in continuo contrasto con gli Stati Uniti, a meno che non si trovi un accordo nel senso multipolare. Ovvero non più un Paese che domina sugli altri ma un eguale distribuzione del potere tra più paesi. È quello che attualmente chiedono i Paesi alleati in Brics: Brasile, Russia, India, Sud Africa, cui si aggiungeranno altri. Questi Paesi prefigurano un sistema finanziario basato sull’economia reale anziché sulla speculazione.

Brics rappresenta il 42% della popolazione mondiale e un terzo del Pil globale, sostanzialmente uguale a quello dei Paesi del G7. Con il processo di allargamento i Brics possono facilmente divenire rappresentativi della maggioranza della popolazione mondiale. Al momento sono 23 gli stati che hanno formalmente chiesto di aderire (Indonesia, Nigeria, Etiopia, Algeria, Egitto e Marocco) e un’altra ventina gli stati che hanno manifestato il proposito di farlo. Si tratta di Paesi molto popolosi, in forte crescita economica oltreché demografica. Al 2100 i rapporti di forza saranno rovesciati tra Occidente e Brics, anzi succederà anche prima di allora.

Perché prima della fine del secolo più di 8 persone su 10 nel mondo vivranno in Asia o in Africa. A crescere leggermente saranno anche l’America e l’Oceania, mentre l’Europa è l’unica regione dove la popolazione calerà passando dagli attuali 750 milioni di abitanti a 630 milioni nel 2100. Saremo meno del 6% della popolazione mondiale, come pretenderemo di dettare legge nel mondo? Se gli Stati Uniti si troveranno costretti a rinunciare al ruolo di predominio che hanno esercitato fin qui, spesso ricorrendo all’uso delle armi, lo accetteranno senza scatenare reazioni? Anche questa è una variabile difficile da valutare. Per il momento sono un elemento di instabilità del sistema di equilibri mondiali, nella tensione che esercitano sulle relazioni comuni assieme a Russia e Cina.

L’ integrazione di parte dei flussi migratori potrebbe assicurare un vantaggio a tutta la società

Che sarà dei flussi migratori così come li conosciamo adesso? Come evolverà il rapporto degli immigrati con la popolazione? Ci saranno anche aumenti nei flussi di emigrazione? Si ritiene che il rapporto tra immigrati e autoctoni continuerà a essere dominato dalla narrazione negativa dei media e della politica. Una gestione dei flussi in chiave europea sarebbe la soluzione ma non se ne vede l’inizio. E poi serve una politica di integrazione che renda concreta l’accoglienza. Altrimenti non ci sarà alcuna crescita. L’integrazione più difficile riguarderà le seconde e terze generazioni. Saranno protagonisti dell’integrazione gran parte degli insegnanti, il volontariato, soprattutto cattolico, le stesse badanti. Ma senza una politica seria con corsi di addestramento e l’avviamento al lavoro e una disponibilità culturale all’accettazione di queste persone da parte della società italiana tutta, niente sarà possibile.  

I flussi dei giovani laureati che emigrano riguarderanno la parte elitaria, alla ricerca di un lavoro più dignitoso e meglio retribuito.  La disoccupazione giovanile riguarda invece gli altri livelli della popolazione e non si può pensare che venga risolta facilmente. L’impoverimento di ampi strati della società, gli espulsi dal processo produttivo, le persone meno qualificate, i giovani che abbandonano la scuola, sono tutti terreni utili alla criminalità, che trova nel degrado delle periferie la sua linfa vitale. In questa battaglia la Chiesa ha sempre giocato un ruolo decisivo di contenimento.

Ma l’Italia diventerà sempre meno centrale per la Chiesa, la quale sarà sempre più rivolta ad occuparsi del resto del mondo. In Italia si diffonderanno altri credi religiosi ma nessuno prevarrà sugli altri, in un vissuto che si baserà più sulla superstizione e le credenze che su una vera spiritualità. Già oggi il distacco dalla vita religiosa da parte di strati ampi dei giovani è evidente. Un distacco che potrebbe non essere negativo se il vuoto venisse riempito con altre forme di spiritualità o valori morali, invece che con il nichilismo, le droghe, l’indifferenza, il degrado sociale.

Non basteranno le buone intenzioni per rimettere in moto una macchina ferma e che a volte sembra camminare contromano

In sostanza uno studio molto ottimista anche se non manca di sollevare dubbi e perplessità sulle questioni aperte da tempo e per le quali non si intravedono soluzioni facili. Un apparato burocratico mastodontico che serve più a bloccare le iniziative o a far funzionare il meccanismo del malaffare è uno degli ostacoli più difficili sulla strada dell’efficientamento e dello sviluppo. La criminalità di cui abbiamo già detto e che non è certamente la folcloristica mafia del passato ma una corporazione che occupa i gangli vitali della finanza e del potere e non è facile da sradicare, anche perché trae la sua forza da commerci illegali che le assicurano gettiti economici enormi, spesso più elevati dei bilanci dei paesi in cui queste organizzazioni operano.

Il depauperamento delle ricchezze imprenditoriali e dei marchi più rappresentativi del Made in Italy, rendono complicato una crescita del Paese. Soprattutto se le leve di comando sono nelle mani di compagnie multinazionali che operano per fini di profitto e non di crescita e benessere sociale. Non basterà un Giubileo e tante promesse per rimettere in moto la macchina.

Foto di Adriano Di Benedetto

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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