Opinioni

Roma non è più la capitale d’Italia. Senza programmi ambiziosi non si rinasce

Roma, guardare la realtà così com’è

Amo Roma e qualunque cosa la riguardi: dai simboli che la rappresentano, agli edifici che ne raccontano la storia, dagli uomini che l’hanno fatta grande, alla squadra che ne porta i colori. Ci vivo da sempre, ma mi emoziono ancora nel guardare i tramonti sui monumenti che hanno scandito la sua storia. Ma allora, perché proprio io metto in discussione il suo titolo di Capitale? Forse perché solo chi ama incondizionatamente, come un padre i figli, riesce a vedere i difetti senza cercare attenuanti o seguire illusorie finzioni. Roma, per la gloriosa storia che l’ha disegnata e per l’invidiabile posizione geografica, è una città privilegiata, che tuttavia non riesce ad essere attrattiva come potrebbe. Perché?

Il vulnus di Roma

Nella sua storia recente Roma ha pagato un prezzo altissimo allo sviluppo incontrollato e speculativo, culminato con lo sfregio dell’abusivismo edilizio. Uno sfregio deleterio non solo per la bruttezza ma per l’enorme costo imposto alla collettività, costretta a portare in lande periferiche e in zone non programmate i servizi di rete (fogne, luce, gas, trasporti e raccolta rifiuti) dispersi su un’area troppo vasta per essere ben gestiti. Per non parlare del traffico, che ogni giorno da decenni assilla i cittadini che dalle ex periferie abusive, in auto o su mezzi pubblici da terzo mondo, cercano di raggiungere intrappolati nelle file estenuanti delle strade consolari, il centro cittadino. Un fenomeno che si è spesso intersecato con vicende di corruzione che hanno minato, in modo quasi irrecuperabile, la credibilità della sua macchina amministrativa.

La rinascita di Roma

Ma c’è stato un tempo, non molti anni fa, in cui il nuovo sistema elettorale, che prevedeva l’elezione diretta del Sindaco, portò in questa città una sorta di rivoluzione pacifica, che le restituì una nuova energia vitale. Un tempo che abbondava di idee innovative e coraggiose, di progetti ambiziosi ma realizzabili, di voglia di fare e di rischiare, anche da parte degli imprenditori. L’elenco delle cose fatte in pochi anni è impressionante, anche solo a citare le principali: l’Auditorium di Renzo Piano; il nuovo Centro Agroalimentare, che avrebbe consentito di dare una nuova funzione urbana ai vecchi Mercati Generali; il Nuovo Piano Regolatore; il Centro congressi della “Nuvola” di Fuksas; la nuova Fiera di Roma; il recupero della Galleria Colonna; la rinascita di via Veneto; il recupero del complesso monumentale di Piazza dell’Esedra; le “Centopiazze” da costruire nelle periferie e decine di altri progetti che sarebbe noioso elencare. Senza dimenticare la gestione impeccabile di un Giubileo che diede lustro alla città e all’Italia. Quella vivacità fece parlare persino di un “modello Roma” quasi contrapposto alla crisi di Milano, vittima di “Tangentopoli”.

Il modello interrotto

La capacità affabulatoria di Veltroni trasformò quel modello in uno stendardo da sventolare con orgoglio, restituendo a Roma, finalmente per merito, il titolo di Capitale. Varie ragioni impedirono che quel percorso proseguisse nel lungo termine, ma tutti concordano sul fatto che l’errore più grave fu quello di voler sfruttare il successo di Rutelli e Veltroni per tentare di battere Berlusconi nelle elezioni politiche. Una scelta sgradita ai cittadini romani, che vedevano i loro sindaci, appena rieletti con un voto plebiscitario, abbandonare la città per puntare al governo del Paese. E forse per quella ragione Rutelli, nonostante fosse stato un grande Sindaco, quando provò a ricandidarsi contro Alemanno, non vinse al primo turno, finendo poi sconfitto al ballottaggio, sull’onda emotiva dell’uccisione di Giovanna Reggiani, stuprata pochi giorni prima del voto, da un rom di un campo nomadi adiacente alla stazione di Tor di Quinto.

Roma può rinascere

Questo è il passato. Ma noi sentiamo l’urgenza di guardare al futuro, chiedendoci se Roma può recuperare il ruolo di guida che compete alla Capitale d’Italia. La risposta dipende dalle scelte che farà nell’immediato la Giunta Gualtieri, sia per renderla vivibile per i cittadini romani che per renderla attraente per i grandi investitori. Roma è nuovamente vittima di una decadenza che appare irreversibile, persino più profonda di quanto ci dicano la sporcizia, l’incuria, l’inefficienza o il traffico asfissiante che la paralizza e che spinge i suoi cittadini verso una rassegnazione senza speranza. Negli ultimi vent’anni essi hanno assistito al fallimento di Veltroni, ai danni di Alemanno, alla pochezza di Marino e all’incapacità della Raggi e oggi osservano demoralizzati quel poco che propone Gualtieri, migliore come chitarrista che come Sindaco. Per molti romani per rinascere servirebbe un miracolo, ma ormai non credono più nemmeno a quello.

I doveri del sindaco

Rimuovere gli ostacoli che bloccano la città è il compito del Sindaco ed è un compito arduo perché i problemi da affrontare si chiamano traffico, sporcizia, incuria, disordine e inefficienza e per affrontarli bisogna rimuovere anche le remore, che si chiamano paura di sbagliare e inadeguatezza del management, pseudo-diritti sindacali, egualitarismo mortificante dei dipendenti e, infine ma non ultimo, corruzione strisciante. Le remore non possono nemmeno essere aggredite singolarmente, perché spesso sono intrecciate tra loro, ma è proprio qui che si misura la capacità di un’amministrazione di essere risolutiva. Il Sindaco deve saper scegliere il management e i dirigenti più capaci, selezionandoli senza criteri di appartenenza ma per competenza ed autorevolezza, assegnando ad essi obiettivi “sfidanti” con scadenze certe e verifiche puntuali. Ma il Sindaco deve anche sostenere gli uffici quando affrontano problemi complessi, invertendo il malcostume del recente passato nel quale ad ogni errore o sospetto, l’Amministrazione era in prima linea nel delegittimare i propri dirigenti, con processi sommari smentiti regolarmente dalle sentenze della magistratura.

La sfida lanciata a Gualtieri

Una buona Amministrazione deve programmare la crescita professionale dei dipendenti – una volta si chiamava gavetta – per garantire il normale ricambio generazionale evitando il vuoto gestionale che in questi anni ha generato inefficienze spaventose che hanno danneggiato tutti i cittadini. Questo è solo il primo passo di un processo che consenta di governare i programmi più ambiziosi. Ma la vera domanda è: ci sono i programmi ambiziosi? Perché senza programmi ambiziosi, accontentandosi di vivere alla giornata, non si può rinascere. E i progetti ambiziosi comportano scelte rischiose che non vanno temute perché, come qualcuno ha detto: “il peggior rischio non è fallire ma non tentare”. I problemi da affrontare sono enormi ma non impossibili da risolvere se si ha la capacità di perseguire con tenacia gli obiettivi fissati utilizzando il potere che i cittadini affidano al Sindaco col loro voto. Il potere, in fondo, come diceva Martin Luther King, “è la capacità di raggiungere gli scopi e di effettuare i cambiamenti”. Coraggio Sindaco Gualtieri, ci dimostri di volere anche lei la Capitale che tutti vogliamo.

Francesco Febbraro

Architetto, con lunga esperienza di direzione di Dipartimenti e Municipi di Roma Capitale. Per anni docente universitario a Valle Giulia, autore di pubblicazioni sullo sviluppo urbano tra cui "Codilex Urbanistica" "Vademecum edilizio" e "La macchina inceppata" sull'organizzazione degli uffici pubblici. Scrive di attualità e politica.

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