Cronaca

Salute Lazio 2024: forse abbiamo sbagliato ad affidare la Sanità alle Regioni

La sanità privata viene favorita rispetto a quella pubblica. Mancano medici e infermieri, i pazienti debbono sottostare allo stillicidio di lunghe liste di attesa, alcune strutture sono delle eccellenze ma il quadro complessivo è preoccupante. Forse abbiamo sbagliato ad affidare le competenze sanitarie alle Regioni.

La Regione Lazio destina una quota importante di risorse finanziarie a operatori privati invece che investire di più sulla sanità pubblica. Non sempre questo comporta una maggiore efficienza del sistema, come testimoniano i livelli essenziali di assistenza. In base alla Costituzione Italiana il sistema sanitario dovrebbe essere universale e garantire a tutti i cittadini l’accesso alle cure. Purtroppo non è così. Se dovesse arrivare una nuova pandemia saremmo messi peggio di prima del Covid 19.

Far gestire la Sanità pubblica alle Regioni è stato un errore. Specie se dovesse ripetersi una situazione grave di pandemia

Secondo me l’errore più grave è stato nell’assegnare la competenza di questa materia alle singole Regioni, creando di fatto una disparità di servizio che è sotto gli occhi di tutti. Vero che le Regioni possono avere di più il polso della situazione locale e destinare con maggior efficienza le risorse ma poi di fatto non succede o succede parzialmente o il contrario, a seconda di chi comanda, a seconda degli interessi in gioco. Se si temeva una dispersione di risorse lasciando la gestione della Sanità centralizzata, ci si accorge adesso che si sono solo moltiplicate le occasioni di dispersione e aumentati a dismisura i problemi di assistenza.

Il caso della pandemia poi, ha messo in risalto che la sanità pubblica è un tema troppo delicato per essere lasciato nelle mani delle autonomie locali che, soprattutto nell’emergenza di una infezione di massa, hanno oggettivamente delle difficoltà sostanziali, poste dalla loro stessa giurisdizione limitata, dalla inefficienza delle strutture, dalla incapacità dei funzionari. Non so se sarà possibile in futuro che questo tema possa essere ripreso o quanto meno che di fronte a una pandemia, perlomeno momentaneamente, tutto torni ad essere avocato a una struttura centralizzata che operi con tempestiva ed equità.

Bisognerebbe smontare tutto il servizio sanitario nazionale e rifondarlo

Il presidente di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) Enrico Coscioni, dice che si dovrebbe ripartire da zero: “Il nostro Servizio sanitario nazionale è composto da due gambe, una pubblica e una privata, che devono camminare insieme o almeno in modo alternato, raggiungendo l’obiettivo della salute dei cittadini. Se vogliamo dare un futuro al Servizio sanitario nazionale dobbiamo smontarlo e ricostruirlo: non funziona più la medicina primaria, se non se non ci sarà una riforma rapidamente della medicina di continuità e dell’assistenza specialistica ambulatoriale, il modello di medicina del territorio previsto non avrà effetti concreti“.

I risultati del rapporto Qualità degli Outcome clinici degli Ospedali italiani 2023, realizzato da Agenas e Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) è una fotografia della qualità offerta dal nostro Sistema sanitario. Si mettono a confronto le strutture pubbliche e private, basandosi su sette aree cliniche di riferimento.

A livello nazionale 511 strutture pubbliche sono state così valutate: 45 (9%), riportano aree cliniche di qualità alta o molto alta. Le strutture pubbliche con qualità bassa o molto bassa, sono il 19% (54 su 511). Delle 297 strutture private, quelle con standard elevati sono 80 (27%)  e sono 75 quelle con qualità bassa o molto bassa.

La qualità negli ospedali pubblici e privati del Lazio

Nell’area del sistema cardiocircolatorio le strutture pubbliche del Lazio con qualità alta o molto alta sono 19 su 31 (65%). Quelle che presentano una qualità bassa o molto bassa sono 3 (10%). Nel privato, 12 strutture su 29 presentano una qualità molto alta o alta, 41% e 7 hanno una qualità bassa o molto bassa, 24%. In Lombardia, sempre per fare un paragone con una realtà che si vorrebbe di eccellenza, la percentuale di strutture private di alta qualità è sopra il 74%. Ci sarà un motivo e lo scandalo Formigoni lo ha dimostrato. Al Sud, invece, la percentuale di strutture pubbliche di alta qualità si abbassa: 39% in Sicilia, 17% in Basilicata.

Per quanto riguarda l’area della chirurgia oncologica nel Lazio, 9 strutture pubbliche (47% del comparto) e 9 di diritto privato (64% delle accreditate) presentano una qualità alta/molto alta, mentre, rispettivamente, il 21% e 36% hanno livelli sub-standard.

La gran parte del bilancio regionale va speso in servizi sanitari

La tutela della salute è la voce più importante dei bilanci regionali e in Lombardia il 76% della spesa nel rendiconto finanziario 2021 e quasi il 70% in quello 2020 del Lazio (al netto delle partite di giro e conto terzi) vanno a coprire i costi della Sanità Regionale.  Il finanziamento della sanità pubblica è affidato allo Stato, salvo il contributo per l’acquisto di medicinali, accertamenti diagnostici e visite specialistiche (ticket). Il Fondo sanitario nazionale assegna le risorse a regioni e province autonome, che le destinano alle strutture territoriali e ospedaliere, ciascuna delle quali redige un rendiconto finale.

Le strutture sanitarie pubbliche forniscono farmaci, medicina di base, visite specialistiche, diagnostica, ricoveri ospedalieri, e altri servizi, avvalendosi di imprese private convenzionate o di professionisti del settore, se non riescono a garantire le prestazioni sanitarie con il personale e le attrezzature di cui dispongono. 

La spesa sanitaria pro capite nel Lazio e di 2.200 euro!

Nel 2021, su oltre 22 miliardi di spesa pubblica sanitaria (2.200 euro per abitante), la Lombardia ne ha conferiti 6,4 agli operatori privati (erano 5,7 nel 2012). Più di un terzo è andato alle altre prestazioni sanitarie, di cui 1,5 miliardi destinati all’acquisto di prestazioni da consultori privati e comunità terapeutiche. I ricoveri ospedalieri presso strutture private costano 2,1 miliardi e le visite specialistiche 1,1 miliardi.

Nel Lazio la spesa pubblica sanitaria è inferiore alla Lombardia, ma equivalente in termini pro capite, circa 2.200 euro. Su 3,8 miliardi complessivamente destinati a operatori privati nel 2021 (il 22% in più rispetto al 2012), quasi 1,6 sono stati assorbiti dai servizi ospedalieri presso strutture private accreditate, con un trend in forte crescita negli ultimi 3 anni, senza interruzione durante l’emergenza pandemica. Il valore per abitante delle prestazioni fornite da operatori privati è di 669 euro nel 2021, il 20 per cento in più rispetto a dieci anni prima.

Per tutto il periodo 2012-2021 (con l’eccezione del periodo Covid nel 2020), il 22 per cento della spesa sanitaria pubblica italiana è stata destinata a operatori privati per l’effettuazione di visite specialistiche, cure riabilitative, servizi integrativi e protesici, ricoveri ospedalieri, altre prestazioni (psichiatria, farmaci ospedalieri, termali, trasporto sanitario, prestazioni socio-sanitarie), altri servizi sanitari (consulenze e collaborazioni, altri servizi sanitari e socio-sanitari, formazione), altri servizi non sanitari (consulenze e collaborazioni). In Lombardia e Lazio la quota è molto più alta, intorno al 30 per cento.

Si assiste a politiche che depotenziano il pubblico a vantaggio del privato

La progressiva riduzione del personale sanitario, delle strutture pubbliche, delle immobilizzazioni materiali per impianti, macchinari, attrezzature sanitarie e scientifiche, fanno ritenere che in Italia, ma soprattutto in Lombardia e Lazio, siano in corso da diversi anni politiche economiche tese a depotenziare la sanità pubblica, lasciando un maggiore spazio all’attività di operatori privati.

Cittadinanzattiva, un movimento di partecipazione civica che opera in Italia e in Europa per la promozione e la tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori, ha voluto analizzare lo stato in cui versa la regione Lazio per quanto riguarda la Sanità.

L’associazione riceve continue proteste da parte degli utenti che si lamentano soprattutto per i tempi di attesa nelle varie terapie.

Per un esame elettrocardiografico di controllo 13 mesi di attesa. Risonanza Magnetica a 30 giorni (con indicazione del sanitario D per Differibile): oltre 120 giorni. Intervento chirurgico utero da fare entro un mese: rinviato a dopo tre mesi. Gli operatori sanitari di Pronto Soccorso sono sotto stress per i turni massacranti cui sono sottoposti causa la carenza di personale.

Nel Lazio mancano 1000 medici e almeno il doppio di infermieri

Secondo il sindacato Cimo mancano circa 1.000 medici e almeno il doppio di infermieri. Nella sanità pubblica regionale lavorano in 42mila, di cui oltre il 67% donne, di questi più di 8mila sono medici e 20.800 infermieri, dove la presenza femminile sfiora il 77%. Lavorano nelle Asl quasi 31mila. Tra i quali 6mila medici e 14mila infermieri, mentre negli ospedali sono in tutto 5.500, di cui oltre il 66% donne.

Il segretario regionale del Cimo, Alessandro Caminiti, spiega che il numero di professionisti di cui il Lazio è carente, legato a una mancanza di altrettanti posti letto, con cifre che vanno almeno raddoppiate se si parla di infermieri e altre figure professionali, determinano una situazione preoccupante tanto più in prospettiva. L’Ordine delle professioni infermieristiche ad esempio parla addirittura di 7.000 infermieri in meno di quelle necessarie. Nel Paese si stimano in 250mila gli infermieri mancanti e in 30mila i medici.

Mancano anche centinaia di medici di famiglia. La fotografia del Lazio, dove i posti letto si fermano a due disponibili ogni mille cittadini, contro i tre della media italiana e i sette di paesi come la Germania, è disarmante. Molti concorsi vanno deserti e c’è una fuga di sanitari verso l’estero come accade per i paesi arabi. Oltre 50 le richieste in pochi mesi, ma anche verso altre regioni italiane.

Molti infermieri vanno in Inghilterra e in Norvegia dove offrono 3.500€ mensili e l’alloggio gratuito. Ma ciò che attira di più non è solo lo stipendio, anche perché il costo della vita in quei paesi è più caro che da noi, attirano le opportunità di carriera che in Italia sono difficoltose per il male delle raccomandazioni e della burocrazia che non premia il merito.

I medici stanno invecchiando e presto la maggior parte andrà in pensione

Medici e pediatri di famiglia sono in diminuzione per via dell’invecchiamento dei professionisti. Nel Lazio ci sono circa 4.000 medici e 800 pediatri, ma dei 4.000 medici di base oltre 3.000 sono over 60 anni e tra due anni circa un numero importante andrà in pensione. La libertà di scelta del cittadino poi ha poco senso se, in questa situazione, l’unico rimasto su piazza si trova a 30 km di distanza!

Mentre in Europa il servizio sanitario cresce sia riguardo al numero degli infermieri e alle loro specializzazioni, anche con riferimento alle qualifiche mediche e nel rapporto medici/infermieri, in Italia questo rapporto rimane pressoché immutato, da 246 infermieri ogni 100 medici nel 2009 a 255 nel 2020. Se includiamo anche il settore privato il rapporto medici/infermieri secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità è in media molto vicino a 2, ossia due infermieri per ogni medico. Per la Francia sale a 3,5, la Germania oltre 3, invece in Italia siamo appena a 1,5, di poco sopra Spagna e Portogallo, mentre in Grecia siamo allo 0,5! C’è chi sta peggio di noi!

Sappiamo le necessità del presente e del futuro però non si vede una programmazione adeguata alle necessità prossime

Sembra logico che la sanità italiana ha bisogno di un numero di infermieri superiore a quello dei medici, anche più del doppio. Eppure, nell’anno accademico 2022-2023 i posti a bando per Medicina e Chirurgia sono stati 14.470, contro i 17.997 della professione infermieristica. Nel 2019-2020 i posti erano stati rispettivamente 11.568 contro 15.069, mentre nel 2009-2010 erano 14.944 infermieri contro 8.075 medici. Il rapporto tra posti messi a bando per infermieri e per medici, secondo i dati del rapporto annuale sui corsi di laurea delle professioni sanitarie è evoluto in basso da 1,85 nel 2009-2010 a 1,31 nel 2022-2023.

Occorre anche considerare che le decisioni prese adesso sulla formazione di professionisti avranno un riscontro molto in là nel tempo. Tra tre anni per gli infermieri e tra undici per i medici. Insomma siamo in grave ritardo per tamponare le falle del sistema e negli ultimi anni non si è visto lo spostamento auspicato verso una sanità con un numero maggiore di infermieri in rapporto ai medici, ma si è persino assistito a un trend opposto nei percorsi formativi.

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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