Categorie: Salute e Benessere

Salute: Tutti i bambini giocano, anche quelli con autismo

Roma, 12 ottobre – Rincorrere, fare il solletico, soffiare sulla pelle, tirare la palla morbida al proprio figlio o seguirlo nel cammino per poi riprendere il suo ritmo. Basta poco per giocare con un bambino, anche se è autistico ed ha un disturbo importante della relazione. Perché tutti i bambini sanno giocare, ma non tutti i genitori sanno farlo senza puntare sulla richiesta prestazionale. Agli adulti che hanno dimenticato cosa li faceva ridere da piccoli, l’Istituto di Ortofonologia di Roma (IdO) consiglia: “Cercate un ‘linguaggio bambino’, l’unico che vi saprà aiutare nel mettervi al livello dei vostri figli per stabilire quella relazione giocosa che sappia rispondere alle singole specificità, potenzialità e difficoltà di ognuno di loro”.

Simona D’Errico, logopedista e psicomotricista dell’IdO, parlerà al XVII convegno nazionale dell'Istituto (a Roma dal 21 al 23 ottobre) de ‘La ricerca della sintonizzazione madre-bambino’, che nell'autismo è spesso complessa e dolorosa. “Un figlio autistico che non risponde alla relazione con il genitore fa saltare quei prerequisiti che aiutano la coppia madre(padre)-bambino a definire quel canale di comunicazione su cui poi strutturare il linguaggio, il gioco e il far richiesta. Se il gioco resta solo prestazionale non farà passare l’empatia sul bambino e impedirà al genitore di divertirsi con il figlio”. Cosa si può fare? “I genitori devono ricordare quanto era divertente il gioco spontaneo- spiega la psicomotricista- e per farlo li faccio giocare tra loro, aiutandoli a ritrovare il piacere di stare in contatto, sia corporeo che relazionale, con altri adulti con cui condividono la stessa problematica. Devono ricordarsi che innanzitutto sono persone normali e non solo genitori di bambini autistici”.

Quali sono i giochi da far fare agli adulti? “Io faccio fare cose semplicissime: il gioco della Campana, il gioco delle spinte, le capriole, il tiro alla fune (ma in modo buffo), mosca cieca. Le risate che ne scaturiscono- rivela la psicoterapeuta- sono quelle autentiche che vengono dallo stomaco e che in qualche modo portano a scaricare tutta la tensione e le rigidità accumulate durante la giornata e dal rapporto con i figli. Questa morbidezza acquisita dallo scarico emotivo ed energetico durante i giochi, la devono poi imparare a riportare nel rapporto con il bambino”.                                                      

Un genitore come vede il figlio autistico? “Ha un’immagine non reale del bambino, tanto che smette di fargli richieste perché punta ad ottenere una prestazione strutturata- racconta D’Errico-. Cosa che potrebbe fare cognitivamente, ma che non fa perché non è pronto a livello relazionale. Lavoro affinché il genitore impari di nuovo a conoscere il bambino, ad entrare in empatia con lui perché lo vede giocare, perché vede che davanti a una bolla di sapone il piccolo ride, la segue e la fa scoppiare con il dito. Bisogna cercare l’emozionalità con il bambino- sottolinea l’esponente dell’IdO-, che spesso viene persa perché è troppo doloroso l’approccio, perché è troppo doloroso osservare un figlio non fare nulla”.                                                                 

Quali sono gli errori più comuni? “Il bambino non struttura la sua capacità di fare richiesta se è sempre anticipato. Dobbiamo smettere di fare per lui, ma se non abbiamo strutturato una relazione di fiducia, di accoglienza e di morbidezza con lui tutto sarà più difficile. In questo processo- conclude- il gioco può fungere da mediatore e contenitore”. La logopedista lavora con tutte le mamme dei bambini, soprattutto più piccoli, inseriti all’interno del progetto terapeutico evolutivo Tartaruga.

Per saperne di più si legga l'articolo scientifico 'Dall’integrazione emotiva alla costruzione cognitiva: l’approccio evolutivo del progetto “Tartaruga” con i bambini dello spettro autistico', pubblicato sulla rivista Autism – Open Access (consultabile sul sito www.ortofonologia.it). Al centro del lavoro dell’IdO c’è quindi l’infanzia e ad essa l’Istituto romano dedicherà una tre giorni di riflessioni dal 21 al 23 ottobre nella Capitale, in occasione del XVII convegno nazionale dedicato al delicato passaggio che va dalla diagnosi alla terapia, utilizzando sempre un approccio mirato al singolo bambino. L’evento ha già superato le 3.000 iscrizioni alla diretta streaming, che sarà trasmessa gratuitamente sul sito www.ortofonologia.it.

Redazione

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