Cronaca

Sanità pubblica: quando tutto sarà privato, saremo privati della salute!

La sanità pubblica viene da anni di de-finanziamenti e di crescenti privatizzazioni. È un problema nazionale al quale non sfuggono Roma e il Lazio. Carenze di personale, liste di attesa incredibili, turni massacranti. In prospettiva la minaccia dell’autonomia regionale che potrebbe peggiorare le cose.

Il pericolo per la nostra sanità pubblica non è solo la carenza dei medici e degli infermieri e la progressiva perdita di terreno del pubblico a vantaggio della sanità privata, meno 37miliardi di euro tra il 2010 e il 2019, ma anche l’autonomia differenziata, una riforma costituzionale che, se dovesse passare, sarebbe l’inizio della distruzione del Paese. Dovessimo incappare in un’altra pandemia ci troveremmo peggio di prima, nonostante tante belle parole. Pensate se ad affrontare la pandemia del Covid fossero state 20 sanità regionali differenti. Ciascuna con una impostazione differente verso la malattia. Non oso pensare che sarebbe successo!

Il definanziamento della sanità pubblica è in atto, si vuole spingere la gente a rivolgersi ai privati e a pagare le cure

Già oggi il livello del servizio sanitario è notevolmente diverso a seconda della regione. Con 20 servizi sanitari differenti si rischiano di accentuare le differenze e le diseguaglianze tra nord e sud, anziché eliminarle. Si renderebbe vano l’art.32 della Costituzione sul diritto alla salute per tutti i cittadini. In pratica il Paese sta facendo passi indietro anziché avanzare nella tutela del welfare (benessere). Il definanziamento della sanità pubblica continuerà nei prossimi anni. Se non lo fermano i cittadini. Il Def (Documento di economia e finanza) del Governo Meloni prevede di passare dall’attuale 7% sul PIL nel 2022, al 6,6% nel 2023, al 6,3% nel 2024, e al 6,2% nel 2025.

Per ora siamo al 15° posto in Europa per Assistenza sanitaria. In termini assoluti la spesa sanitaria pubblica scenderà nel 2024 a 132.737 miliardi (-2,4% rispetto al 2023). In 4 anni la riduzione della spesa sanitaria sul PIL sarà del 11,4%.  Se però si guarda ai numeri assoluti i finanziamenti alla sanità in questo paese sono in crescita da anni. Crescono i finanziamenti in termini assoluti ma in proporzione al Pil scendono. Di fatto ci sarebbe bisogno di più investimenti. Secondo i dati forniti da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), dal 2001 ad oggi il finanziamento al Servizio sanitario nazionale è quasi raddoppiato: era pari a 71,3 miliardi di euro nell’ultimo anno in cui ancora si usavano le lire, raggiungerà i 130,4 nel 2024. Questa è la previsione contenuta nella legge di bilancio. E che porta a 2.224 euro la spesa pro capite per la salute.

L’Italia diventa sempre meno Europa e sempre più Terzo Mondo

In altri Paesi la situazione è migliore: in Germania e in Gran Bretagna la spesa sanitaria sul PIL supera il 7%, in Francia l’8%. Il Pnrr non risolverà i nostri problemi, primo perché non hanno la minima idea di come gestire la spesa e mancano figure tecniche di riferimento negli enti locali per far approvare i piani di spesa. Poi perché il Pnrr non affronta la questione del personale. Le strutture territoriali come le Case della comunità sono scatole vuote, che rischiano di essere riempite con gli studi privati di medici, dentisti, pediatri, psicologi. Quasi 10 milioni di italiani rinunciano fin da ora a curarsi perché non hanno redditi sufficienti e chi si trova in condizioni di dover fare un’analisi o un esame urgente è comunque costretto a a ricorrere ad una struttura privata, per non entrare nelle liste d’attesa di mesi nelle strutture pubbliche.

Liste di attesa bloccate o troppo lunghe sono servizi che lo Stato sarebbe tenuto a fornire e invece non dà

Secondo il IX rapporto RBM-Censis, svolto su 10mila campioni, sono 19,6 milioni gli Italiani che si sono rivolti alla Sanità privata o extra moenia, per via dei tempi di attesa troppo lunghi. Ogni 100 tentativi di prenotazione nel SSN, ben 28 si rivolgono al privato. Il 36% lo fa per visite specialistiche, il 24,8% per accertamenti diagnostici. Quindi le prestazioni e i servizi che lo Stato sarebbe tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza (Lea), vengono negati a un italiano su tre! Perché paghiamo le imposte se questo è il risultato?

Le motivazioni sono le liste d’attesa troppo lunghe, mesi o anni, spesso vissute come un limite invalicabile. Si va dai 128 giorni per una visita endocrinologica, agli oltre tre mesi per una mammografia, fino ai due mesi e mezzo per sottoporsi a una gastroscopia. Inoltre, il 35,8% degli intervistati, provando a prenotare una prestazione sanitaria, ha trovato almeno una lista bloccata in un anno. Di fronte al problema ci sono anche cittadini (10 milioni) che rinunciano alla visita o all’esame. Non è giusto.

A Roma i precari della sanità sono cresciuti dell’87% in 20 anni

Però accade e la motivazione è nella carenza del personale che non riesce a stare al passo con le necessità dei cittadini. Lasciando incancrenire il problema si devia di fatto il malato verso la struttura privata a pagamento. Difficile pensare che non vi sia una complicità e un interesse diretto. Il caso Formigoni in Lombardia fu abbastanza esplicito. Non vorremmo che poi venissero fuori altri casi del genere.

Prendiamo il caso di Roma. In 20 anni i precari della sanità sono cresciuti dell’87% e il personale stabile è diminuito del 12%, i posti letto sono diminuiti del 24% e chi non è autosufficiente ha una aspettativa inferiore del 25% degli anni di vita. E quello che succede a Roma, accade in molte altre città italiane, soprattutto nel Mezzogiorno, dove i tassi di emigrazione sanitaria (il trasferimento in altri ospedali del centro nord per curarsi) sono altissimi.

Secondo il Sindacato dei Medici: mancano 20mila medici e 70mila infermieri

Il Servizio Sanitario Nazionale entrò in vigore il 23 dicembre 1978. A distanza di tanti anni siamo qui a raccogliere le ceneri di un Servizio che era il fiore all’occhiello di questi Paese. Ogni anno si perdono pezzi importanti. I medici che dal 2020 al 2023 hanno lasciato il Servizio Sanitario sono più che raddoppiati.  “Nel 2024 possiamo stimare in 7mila medici che lasceranno le corsie”. Lo annuncia Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao-Assomed, il maggiore sindacato dei medici ospedalieri e dirigenti del Servizio sanitario nazionale. A fronte di chi se ne va c’è un vuoto preoccupante, quello delle borse di studio per specializzazioni, che vanno deserte.

Il Servizio Sanitario Nazionale ha perso la forza di attrazione. Il Governo Meloni parla di aumenti sulle risorse del Fondo sanitario ma non si interviene a sufficienza sul personale. Nella manovra del governo si trovano a malapena 80 euro per gli straordinari dedicati all’abbattimento per le liste d’attesa. Una cifra ridicola. Il personale è allo stremo, sono pochi medici e infermieri e non ce la fanno più a fare gli straordinari. Per il rinnovo del contratto si parla di un aumento netto che vedranno forse fra un anno, di 150 euro lordi al mese. Intanto si finanzia il settore sanitario privato.

Ma se sono privati perché li deve finanziare lo Stato? Se lo chiedono sempre più spesso i cittadini che sono costretti a pagare per farsi curare. Non basta che lo Stato ti prelevi percentuali altissime di imposte, se poi non ti dà più i servizi sui cui almeno prima potevi contare.

I sindacati denunciano il pericolo della paralisi del servizio

In una nota dei sindacati di categoria Cgil, Cisl e Uil redatta a dicembre si sottolineava come la carenza di personale stia mettendo in ginocchio la Sanità del Lazio e ancora la Regione non è riuscita a prorogare i contratti a tempo indeterminato in scadenza al 31 dicembre 2023. È un fatto gravissimo: l’anno nuovo si è aperto con 2.000 lavoratori a casa e servizi sanitari al collasso.

Il ritardo accumulato, spiegavano i sindacati, è una spada di Damocle che pende sull’intera comunità regionale e non solo. Non si può permettere la paralisi dei servizi alla salute, tanto più in considerazione del fatto che si avvicina un evento globale come il Giubileo, a fronte del quale l’amministrazione regionale ha già incassato i finanziamenti destinati all’implementazione del Servizio sanitario regionale. Non vogliamo neanche pensare a cosa potrebbe succedere nelle aziende sanitarie e negli ospedali se venissero a mancare duemila unità tra infermieri, tecnici, ostetriche oss, personale amministrativo e di assistenza. Senza contare il dramma di queste famiglie“.

Francesco Rocca ha risposto con 169 posti letto in più

Intanto con il documento di Programmazione della rete ospedaliera 2024-2026, la Giunta Regionale del Lazio ha approvato l’aumento di 169 posti letto nell’offerta sanitaria della Regione, rispetto alla precedente programmazione.

Il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, in proposito, ha dichiarato: “Finalmente, dopo dieci anni, si torna a programmare: con la Rete Ospedaliera 2024 – 2026, supereremo la media di 3 posti letto ogni mille abitanti. Rispetto al passato si tratta di posti effettivi e reali, per soddisfare un fabbisogno che riguardava in modo omogeneo tutta la Regione”.

L’obiettivo è orientare la capacità di ricovero verso le province e l’Area metropolitana, con lo scopo di gestire in prossimità,  le attività di media complessità e la continuità assistenziale. Un investimento complessivo per la Regione, pari  a oltre 511 milioni di euro. Roma avrà 17.719 posti letto, ossia 4,11 ogni mille abitanti. La rete sanitaria della provincia di Latina avrà 1.690 posti letto, che assicurerà 3,26 posti letto ogni mille abitanti nella programmazione 2026. Frosinone potrà contare su 1.479 posti letto, ossia 2,97 ogni mille abitanti. Rieti avrà 465 posti letto, ossia 3,02 ogni mille abitanti e Viterbo raggiungerà 949 posti letto, ossia 2,80 ogni mille abitanti.

Pronto soccorso ingolfati e snaturamento della mission dell’Ospedale

I dati sui Pronto Soccorso nel Lazio mostrano che oltre il 90% degli accessi regionali vien classificato secondo la procedura di triage, in quattro codici di urgenza: rosso (1%), giallo (15,7%), verde (72,9%), bianco (9,7%).  Risulta che la maggior parte degli accessi sono per casi non urgenti: verde e bianco insieme (82,6%). Tutti pazienti che si potevano visitare e curare con urgenza differibile o proprio non urgenti. Questo succede perché la popolazione residente usa il pronto soccorso ospedaliero in alternativa al medico di famiglia.

Sono anziani fragili con più patologie, con problemi economici o sociali, o problemi assistenziali che si potrebbero gestire in altra maniera. La gran parte dei ricoveri dell’Ospedale San Camillo, per fare un esempio, dell’ordine del 95% per Medicina Interna viene dal Pronto Soccorso. Questo snatura e penalizza il compito dei reparti ospedalieri rispetto ai casi più gravi. Incide sul fenomeno anche l’aggravamento socioeconomico e l’invecchiamento della popolazione.

I medici di famiglia sono sotto assedio: 4 milioni di telefonate al giorno!

Se i Pronto Soccorso sono in emergenza anche i medici di famiglia sono sotto assedio. Si cercano per sciogliere dubbi, avere una rassicurazione, una visita, un certificato. Sono raddoppiate le telefonate degli utenti, si parla di 4 milioni di telefonate al giorno ai medici di famiglia, che sono solo 40mila in tutta Italia. Ma se il medico sta al telefono quando visita? Questa situazione è figlia di una mancata programmazione.

Nei prossimi anni in Italia passeremo da 60,7 milioni di abitanti a 53,7 milioni ma il dato non è confortante perché la popolazione invecchia, i giovani se ne vanno all’estero, gli immigrati hanno bisogno di tempo per sostituire le competenze di chi emigra.  Così ci saranno sempre più over 65enni. A sua volta questo comporterà che, mentre fino a circa 10 anni fa avevamo ancora circa 3,2 persone in età da lavoro per ogni pensionato, rischiamo di averne 1 per ogni 1,2 pensionati. Chi pagherà le pensioni? E chi curerà questa popolazione invecchiata? Siamo ancora in tempo a invertire la situazione?

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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