Shoefiti di Caterina Falconi, inaugura “I romanzi della Black List”

Una storia di alleanze, assenze, rincorse e rivelazioni. E’ “Shoefiti” di Caterina Falconi

Una storia di alleanze, assenze, rincorse e rivelazioni, Shoefiti di Caterina Falconi, che inaugura la neonata collana "I romanzi della Black List" dell’editore Lisciani. L’autrice abruzzese ha un percorso editoriale composito e fortunato che passa dai titoli ad alto contenuto erotico – di qualità, ma ormai abbandonati – per Pizzo Nero, ai testi per bambini (coautrice delle sceneggiature di Carotina), a quelli per ragazzi, come E invece sì, scritto con Gianluca Morozzi e le illustrazioni del maestro Carmine Di Giandomenico, o Narciso per la collana I miti, sempre per Lisciani. Una scrittura appassionata e raffinata, quella della Falconi, che si piega evidentemente a generi diversi con inalterata e anzi rinnovata efficacia.

  • Shoefiti, il titolo è ripreso da una moda tra i giovani. Vuole dirci di più?

Lo Shoefiti è la moda di lanciare delle scarpe sui cavi della luce, sugli alberi o i lampioni, in modo che restino appese per i lacci. È diffusa principalmente negli Stati uniti e in Inghilterra, ma ultimamente sta diffondendosi anche in Italia. Nessuno conosce il significato della pratica, legata comunque al mondo giovanile. Per me le scarpe volanti sono una metafora dell’attitudine degli scrittori a volare nel cielo. Per questa ragione desideravo “metterle” in uno dei miei libri. Cosa che ho fatto.

  • Il romanzo è attraversato da un clima di solitudine, come se i ragazzini protagonisti fossero abbandonati a se stessi dagli adulti.

Credo che la solitudine sia una condizione che accomuna i ragazzi restii all’appiattimento negli stereotipi giovanili correnti. In Shoefiti poi racconto di sedicenni. Un’età dolorosa, problematica, vulnerabile, che pare a chi la vive quasi interminabile e induce talvolta a riparare in una solitudine difensiva. In uno scollamento da contesti, come la famiglia, ai quali non si appartiene più completamente, ma anche in una diffidenza verso nuove forme di appartenenza.

  • Senza rivelare troppo, nella storia mette in scena una sorta di presa di coscienza dei nonni. Da cosa nasce questo spunto?

C’è stato un momento i cui mia madre, forse un po’ stanca di assecondare le richieste dei familiari, ha attraversato un periodo di ribellione. Davanti a quei no così inaspettati, impensabili per lei, sempre tanto dolce e generosa, le nipoti erano colte da ammirato stupore. La cosa ha sorpreso anche me, da qui è partito lo spunto per raccontare delle nonne ribelli in Shoefiti.

  • E l’apparizione della regina Elisabetta deriva dal successo di The Crown su Netflix?

No. Elisabetta II per me rappresenta la regalità della vecchiaia. L’autorevolezza che oggi si nega all’anziano, e che tuttavia l’anziano ha, in quanto detentore di saggezza, esperienza e conoscenza del mondo.

  • Nella sua produzione editoriale lei è molto eclettica. Scrivere per ragazzi è più facile o più difficile?

È più facile dal punto di vista della lingua e dell’impianto delle storie. Ma più difficile perché inchioda a un’autenticità, risponde a imperativi etici, deve riuscire a fare presa sui giovani lettori, così disincantati, così distratti.

  • Un altro suo titolo è il mito di Narciso, perché lo ha scelto?

Il mito di Narciso ha molti rimandi interessanti. Dallo psicoanalitico, al botanico. Racconta di disamore, di quello che l’amore non è. Ed è un monito più che mai attuale in un momento, come questo, caratterizzato da un ego riferimento eccessivo, dall’incapacità di rispecchiarsi nell’altro, di ascoltare e rispondere. Per questo mi è sembrato educativo riproporlo ai bambini. Come spunto di riflessione.

  • Prossimamente cosa leggeremo di suo?

Leggerete un riadattamento per bambini dell’Iliade, un noir per adulti e una collanina di storielle molto originali di cui non sono autorizzata a parlare.

  • Cosa significa per lei scrivere?

Scrivere è, semplicemente, la mia vita.

  • In Italia può essere un mestiere?

Talvolta. Tuttavia è molto difficile vivere di scrittura e spesso gli scrittori sono costretti ad affiancare al lavoro autoriale altre attività.

  • Cosa le piace meno del mondo editoriale?

Mi infastidisce l’egocentrismo bellicoso di certi autori che paiono animati dal bisogno di sminuire i colleghi per dimostrare, non si sa bene a chi, quanto invece loro siano fighi. Io credo che non vi sia bisogno di contrapposizioni denigratorie e linciaggi mediatici. Il valore di uno scrittore è testimoniato dalle pagine.

 

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