Termovalorizzatori. Salvini e M5S ai ferri corti, e non solo per Napoli

In gioco la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini. Problemi che nel Lazio sono tuttora in sospeso

C’è il caso locale: lo smaltimento dei rifiuti in Campania.

C’è una questione generale ma che riguarda lo stesso ambito: gli inceneritori, e i termovalorizzatori, in Italia. Che attualmente sono un totale di 41, stando al Rapporto Ispra 2017, e che nel 63 per cento dei casi sono ubicati nel Nord, mentre nel Lazio ce ne sono tre: Roma-Malagrotta, Colleferro (RM) e San Vittore (FR).

C’è, infine, un problema ancora più ampio. Che rimanda a contrapposizioni di principio ma che allo stesso tempo è quanto mai concreto: cosa fare, e cosa non fare, per migliorare le infrastrutture nazionali, dalle vie di comunicazione alle altre innovazioni in chiave più o meno tecnologica.

La diatriba si è accesa in questi ultimi giorni tra Salvini e il M5S, e non va assolutamente sottovalutata. Non è un incidente di percorso e non lascia grandi margini di mediazione. Inoltre, è in palese contrasto – per quanto riguarda il leader leghista – con quello che è scritto nel Contratto di governo.

Al punto 4 del documento, intitolato “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (l’indice comprende 30 paragrafi ma è in ordine alfabetico e quindi non rispecchia nessuna gerarchia di importanza), si afferma in termini inequivocabili che non bisogna limitarsi a gestire l’esistente, ma che bisogna cambiare approccio: “È necessario che ogni intervento del decisore politico si collochi in una strategia di economia circolare, intesa quale sistema ambientale ed economico in cui un bene è utilizzato, diventa rifiuto, e poi, a valle di un procedimento di recupero, cessa di essere tale per essere riutilizzato quale materia seconda per la produzione di un nuovo bene, in contrapposizione al modello di ‘economia lineare’ in cui i beni divenuti rifiuti sono avviati semplicemente a smaltimento dopo il loro utilizzo”.

Lo scenario è questo. E adesso lo esploreremo.

Lo scontro tra Salvini e i M5S

Partiamo dall’attualità. Dalla discussione che è divampata all’improvviso tra gli alleati di governo.

Mentre in Campania si discuteva di come affrontare l’ennesima ‘emergenza rifiuti’ (che però, come in tanti altri casi, non andrebbe chiamata ‘emergenza’, visto che ormai è una situazione permanente) Salvini se ne è uscito con una delle sue tipiche semplificazioni: “Ci vuole un termovalorizzatore per ogni provincia”. Argomento, o strumentalizzazione, di supporto: “Chi dice ‘No’ provoca roghi e malattie”. Come se l’unica alternativa fosse quella tra il mancato smaltimento, che porta ai cumuli di immondizia sparsi qua e là e agli incendi appiccati da chi vuole liberarsene, e i termovalorizzatori. Già che c’era, poi, ha preso la palla al balzo per far passare un messaggio, anzi un richiamo, a tutto campo: “Dicono no agli inceneritori, ditemi su qualcosa di sì”. Ogni riferimento alla Tav non è per nulla casuale.

Dal M5S gli hanno risposto compatti. E con toni tutt’altro che accomodanti. Roberto Fico, che essendo napoletano è particolarmente coinvolto, gli ha dato del ‘provocatore’ e lo ha ammonito a cambiare innanzitutto i toni: “Un ministro dell’Interno non arriva qui a dice al sindaco di Napoli che i rifiuti se li mangia, perché è il primo cittadino della capitale del sud. E non definisce ‘quattro scemi’ gli attivisti dei centri sociali, che in questa città hanno fatto anche un lavoro sociale importante. Le parole di Salvini sono uno schiaffo per Napoli e per la Campania”.

Di Maio si è detto rammaricato, ma in realtà è andato all’attacco: “A me dispiace che Salvini abbia deciso di lanciarsi in questa polemica e di creare tensioni nel governo”. Traduzione: egregio Matteo, non tirare la corda che poi si rompe. O quantomeno si logora.

Di Battista, nel suo consueto stile tranchant, e col vantaggio di non avere nessun ruolo istituzionale, è stato brutale: “Salvini fa dichiarazioni sugli inceneritori e dimostra che non sa di cosa sta parlando”.

Appunto: di cosa stiamo parlando, quando parliamo di inceneritori?

Termovalorizzatori: i pro e i contro

Nelle discussioni superficiali vengono messi spesso in antitesi, inceneritori e termovalorizzatori, come se fossero due impianti completamente diversi. In realtà non è così: i termovalorizzatori sono anch’essi degli inceneritori, che servono appunto a bruciare i rifiuti (o meglio: certi tipi di rifiuti), ma in aggiunta producono energia. Invece di limitarsi a distruggere, togliendo di mezzo ciò che in precedenza era destinato alle discariche, utilizzano il processo di combustione per ottenere qualcosa di utile.

Basta questo, però, a concludere che essendo ‘vantaggiosi’ sono la panacea di cui c’è bisogno?

La risposta è no. Perché comunque generano diossine. Che finiscono nell’atmosfera. Provocando, come sottolinea il sito specializzato informazioneeambiente.it, “gravi danni alla salute delle persone che vivono in prossimità di questi impianti. Ma non finisce qui: le diossine filtrano anche nel terreno, inquinando le falde acquifere e il cibo che mangiamo tutti i giorni quindi nessuno può dirsi al sicuro da queste sostanze”.

Il fatto che in alcune località la popolazione abbia accolto con favore i termovalorizzatori, e ci conviva tranquillamente, non significa dunque che i problemi del loro utilizzo siano definitivamente superati. L’apprezzamento dipende invece da due fattori principali: il primo è che si vedono i vantaggi e si tende a sopravvalutarli, dimenticando gli aspetti negativi; il secondo è che ci si lascia risucchiare, in linea con lo schema dialettico adottato da Salvini, nella logica del male minore: visto che le discariche sono alla saturazione, e poiché gli inceneritori non restituiscono alcun beneficio, ci teniamo i termovalorizzatori. E ne siamo anche contenti.

Quello che non si capisce, alle solite, è che la chiave di volta è altrove. È nel riformulare il problema nei suoi elementi costitutivi: anziché produrre quantità immani e incontrollate di rifiuti, per poi doverli eliminare, bisogna produrne molti di meno e rendere il riciclo dei materiali una prassi costante.

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