Terremoto, il dramma di Accumoli nelle parole di chi l’ha vissuto e vive

Essere donna ed essere madre mi ha dato la forza di reagire, mio figlio doveva vivere, e io dovevo assicurargli il domani

Arriva sempre quel giorno che faresti a meno di non vivere, è il giorno dell’abbandono, della fine di ogni cosa, della tua storia come individuo,  e del mondo che ti circonda. Non è la morte che ti chiama, è l’attimo in cui percepisci che tutto quello in cui credevi viene distrutto senza un minimo di pietà. Macerie e polvere è tutto quello che rimane di Accumoli, Amatrice e Arquata.

Sono scampata dal terremoto con la mia famiglia, e questo mi rende felice. Qualcuno però non ce l’ha fatta, ed erano amici, parenti, compagni d’infanzia. Il terremoto insegna che le cose materiali non servono per vivere, che tutto quello che conta è esserci su questa terra. Anche se poi qualcosa di confortevole farebbe comodo averlo; chiedere almeno una casa decorosa  non è chiedere tanto, non dico ricca, ma adatta a esseri umani non ratti. 

Essere stata la testimone diretta di tanta distruzione è qualcosa che non riesco a perdonarmi. 

Spesso mi chiedo perché proprio io ho dovuto ricordare la fine del mio paese. Quale tragico destino mi riserbava la sorte. Vedere che attorno a te non esiste più niente, significa un po’ come morire. Dopo il sisma infatti molti anziani sono morti, vivere senza il proprio paese, le proprie radici fa male al cuore. Essere donna, ed essere madre mi ha dato la forza di reagire, mio figlio doveva vivere, e io dovevo assicurargli il domani. 

Quindi ti alzi in piedi, sporca di polvere e provata dal dolore, e cominci a gridare la tua rabbia, il tuo dolore. Le donne sono state le vere protagoniste di questo terremoto, nonostante il nulla visibile a occhio nudo. Nessuna ha mai pensato solo per un momento di mollare, di andarsene, malgrado le avversità che dovevano sopportare.

La terra è madre, e questa terra è la nostra da sempre. Fin dall’inizio è stato tutto difficile, prima vivere in tenda in condizioni poco favorevoli alla salute. Non si respirava all’interno, troppo caldo, poi troppo freddo. Ho subito capito che sarebbe stata dura, le cose non procedevano come previsto

Le persone spaventate dopo quello che era accaduto chinavano il capo e si lasciavano abbindolare da promesse vane. Perdere ogni bene, la propria attività, tutto quello che ti eri costruito in una vita di sacrifici, fa paura soprattutto se non si è più giovani, e non si hanno più le forze per ricostruire. Quindi ti raccomandi al primo ciarlatano che ti promette almeno di lavorare. Gente onesta si ritrova in balia di gatti e volpi che piovono sul territorio da tutta Italia.

Dopo un anno di esilio a San Benedetto del Tronto ospitata dagli alberghi della costa, finalmente sono potuta entrare nella SAE che mi era stata assegnata.

Non mi sembrava vero, finalmente potevo abitare una casa, vivere del mio silenzio e respirare l’aria che mi aveva cresciuta. Ho ripreso anche a dormire la notte, prima quando ero in albergo, mi svegliavo in continuazione, tossivo e avevo bisogno di bere. Purtroppo rivivevo il trauma del  24 agosto del 2016, quando pensavo di non farcela perché la camera si era riempita di polvere dovuta dall’apertura di una crepa nella stanza.

Comunque dopo una felicità iniziale, durata molto poco, ogni giorno c’era qualcosa che non funzionava, che si rompeva. Prendo così coscienza che le SAE sono delle grosse fregature, inadatte per zone montane, e per farci vivere le persone troppo a lungo. 

Abbiamo sperimentato di tutto: funghi in casa, muffa, topi, fogne costruite male, pendenze fatte al contrario, acqua che si ghiaccia l’inverno, caldaie collocate fuori casa che si spaccano, boiler sopra i tetti, e nelle nostre zone ventose sono a rischio perché potrebbero cadere in testa a qualcuno.

Non mi soffermo ancora sulle Sae perché dovrei riempire fogli interi. Aggiungo solo che una famiglia composta da due persone, marito e moglie, gli spetta una casa da 40 metri, così dice la legge. 

Sarebbe stato opportuno cominciare dai 60 metri, anche perché chi vive in spazi così angusti non può ospitare i figli che lavorano fuori e non sono residenti in paese, quindi sono costrette a stringersi nelle abitazioni. Le persone anziane sono quelle più penalizzate da questi spazi, infatti se vogliono stare assieme ai propri familiari debbono lasciare il proprio paese per recarsi altrove. 

La comunità di Accumoli diventa ogni giorno più piccola.  Anche il problema del lavoro non è stato trattato seriamente. Chi sceglie di rimanere e adattarsi alla vita delle SAE dovrà pur lavorare per mantenersi? Accumoli ha una popolazione composta l'80 % da anziani quindi rimane un 20 % di persone da dover ricollocare nel mondo del lavoro.

Peccato però che non è stato impiantato niente di nuovo in paese. Quindi tanti si ritrovano senza lavoro e parliamo di padri di famiglia, di donne non più giovani che è difficile inserire in attività che per la loro età non sono più capaci di svolgere. Intanto in questo clima di desolazione non si sente parlare di Ricostruzione, sembra una parola dimenticata dai vocabolari locali. Abbandonati dalle Istituzioni, senza nessun accenno a quello che verrà, viviamo le nostre giornate, sperando che qualcosa cambierà.

Visto che i Commissari alla ricostruzione passati sono stati una grossa delusione, idem per i  politici, speriamo che il Governo del cambiamento si ricordi di noi, di una popolazione che da tre anni nascosta dentro a delle montagne chiede giustizia per la propria terra. Non si può vivere in queste condizioni, siamo arrivati tutti ad un punto di non ritorno, è il momento che la politica si assuma le proprie responsabilità e ci dica di che morte dobbiamo morire. 

Non si possono lasciare in queste condizioni persone già lungamente provate emotivamente e fisicamente, non è degno di un Paese civile. Visto il trattamento che ci hanno riservato, viene quasi spontaneo chiedersi: ma volete proprio che abbandoniamo queste terre?…sono secoli che le nostre famiglie le abitano e solo un montanaro può resistere nel corpo e nell’anima al freddo e al dolore del silenzio di uno Stato che dice di essere democratico. 

Qualche cittadino propone di saldarci il prezzo delle nostre abitazioni per poi andarcene, il mio cuore invece sente che Accumoli deve ancora vivere, perché è qui che sono nata, è qui che la mia famiglia da sempre lavora, perché ho una casa in arenaria che ricorda il passato di un borgo medievale che deve Rinascere!

Roberta Paoloni, da Accumoli

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