Toghe rotte, partita la vendetta del “tonno espiatorio” Palamara

L’ex Pm, espulso dall’Anm, fa subito nomi e allusioni. Una ventina di toghe sotto la lente del Csm, ma la magistratura non s’illuda di poter fingere che fosse solo una mela marcia

luca palamara

L'ex presidente dell'Anm Luca Palamara

Benché secondo un adagio la vendetta sia un piatto da gustare freddo, Luca Palamara, protagonista dell’ormai arcinoto caso delle toghe rotte, non ha perso tempo. E così, appena espulso dall’Anm – di cui era stato numero uno dal 2008 al 2012 -, ha cominciato a fare nomi e, soprattutto, allusioni. A ulteriore ed ennesima conferma di una decadenza morale e culturale che fa davvero cadere le braccia.

L’espulsione di Palamara dall’Anm

Non si può certo dire che Palamara non avesse anticipato le sue bellicose intenzioni. «Non farò il capro espiatorio di un meccanismo infernale» aveva sibillinamente anticipato durante un’intervista televisiva.

Questa mattina l’intervista a Luca Palamara espulso dall’Associazione Nazionale Magistrati dopo lo scandalo delle intercettazioni.

Pubblicato da Omnibus su Lunedì 22 giugno 2020

Non ci ha messo molto a passare ai fatti. In pratica, ha aspettato solo che l’Associazione Nazionale Magistrati ne ufficializzasse la cacciata per«gravi e reiterate violazioni al codice etico». Cosa, en passant, mai accaduta prima a un ex presidente, che infatti ha preannunciato di impugnare l’atto. Poi, come promesso, gli si è sciolta la lingua.

«Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri», il primissimo sfogo del togato romano. «Penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione», ma anche a esponenti della sua corrente, Unicost. E perfino a membri di spicco dell’attuale Comitato Direttivo Centrale del sindacato dei magistrati. «Che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento».

A Palamara non è andato giù soprattutto il fatto che gli è stato negato di difendersi davanti al parlamentino delle toghe. Che, in questo modo, lo avrebbe trasformato in vittima sacrificale per salvare «un sistema che ha fallito», quello segnato dalle degenerazioni del correntismo.

«Mi assumo la mia quota di responsabilità, ma non voglio disparità di trattamento» ha affermato l’ex consigliere del Csm. «Ho fatto parte di quel sistema, non l’ho inventato io». Ineccepibile, a dispetto della carica di ipocrisia.

Toghe rotte, la vendetta di Palamara

Ben presto, comunque, l’ex leader dell’Anm ha abbandonato l’abito della diplomazia (che del resto gli sta stretto) per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. D’altronde lo aveva assicurato: «se me li chiederanno farò i nomi, anche dei politici».

Ha comunque iniziato dal collega Eugenio Albamonte, segretario della corrente Area e a sua volta ex presidente dell’Anm. Che, a detta di Palamara, avrebbe frequentato l’allora deputata dem e attuale giudice di Cassazione Donatella Ferranti «come io ho incontrato Luca Lotti Cosimo Ferri». I due parlamentari – del Pd il primo, di Italia Viva il secondo – della celeberrima cena all’hotel Champagne sulle nomine di varie Procure. L’incontro intercettato dagli inquirenti di Perugia grazie al trojan inserito nel cellulare dell’ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura.

Albamonte ha immediatamente querelato Palamara, che dal canto suo si è detto rammaricato per la polemica. Un’uscita che sa tanto di colpo al cerchio dopo quello alla botte. Perché «la verità è che adesso non c’è trojan che tenga», come ha ammesso lo stesso Ferri. «Di certo Palamara di cose ne sa, e parecchie. Molte ma molte di più di quelle che ha iniziato a dire».

Come a intendere che più d’uno farebbe meglio a non dormire sonni tranquilli.

Toghe rotte, il terremoto nella magistratura

Intanto, neppure a Palazzo dei Marescialli stanno con le mani in mano. La prima commissione del Csm, da cui dipendono i trasferimenti d’ufficio «per incompatibilità ambientale», ha infatti avviato una ventina di istruttorie preliminari. Destinatari, altrettanti magistrati presenti nelle chat dell’ex Pm romano. Se si verificasse il superamento di determinate «soglie di inopportunità e imbarazzo», il plenum dell’organo di autogoverno delle toghe potrebbe valutare anche la rimozione. Provvedimento già attuato per l’ex sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Cesare Sirignano, coinvolto «nelle intenzioni e nelle strategie» di Palamara. Tra cui il condizionamento della nomina del nuovo Procuratore di Perugia, competente per le inchieste che coinvolgono magistrati romani (compresa, quindi, la sua).

Nel frattempo, a proposito di nomine non esattamente “cristalline”, potrebbe tornare presto in ballo quella della Procura di Roma. Attualmente, a piazzale Clodio siede Michele Prestipino, ma le rivelazioni sulle trame dell’ex numero uno dell’Anm non potevano lasciare indifferenti i candidati sconfitti.

Così, il Procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo è stato il primo a depositare il proprio ricorso al Tar del Lazio. Seguito subito dopo dal Pg del capoluogo toscano Marcello Viola.

Toghe rotte, quali rimedi?

«L’espulsione di Palamara dall’Anm è un buon segnale, ma non basta» ha attaccato via social la leader di FdI Giorgia Meloni. «Fratelli d’Italia continua a chiedere le dimissioni immediate di tutti i magistrati coinvolti nello scandalo e un sorteggio per le nomine in seno al Csm».

L’espulsione di Palamara dall’Anm è un buon segnale, ma non basta. Anche alla luce delle sue gravissime dichiarazioni di…

Pubblicato da Giorgia Meloni su Domenica 21 giugno 2020

Sulla stessa lunghezza d’onda il critico d’arte e deputato del Gruppo Misto Vittorio Sgarbi. Il quale ha puntato l’indice contro il fatto che i beneficiari del sistema incarnato dall’ex presidente dell’Anm sono ancora al loro posto. «Hanno infilzato il tonno Palamara, ma tutti gli altri pesci che gli nuotavano attorno?»

Il riferimento ittico trae origine da un vecchio battibecco tra l’allora sostituto procuratore presso il Tribunale capitolino e l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga. Il quale lo aveva asfaltato affermando, per l’appunto, che gli ricordava una marca di tonno e che non capiva nulla di diritto. Tanto che, giornalisticamente, c’è chi ha preso a definire l’ex Pm romano tonno espiatorio.

Boutade a parte, la Meloni è tornata su una proposta, quella del sorteggio, condivisa anche da (ex) membri di spicco della magistratura quali Carlo Nordio e Luigi De Magistris. Senza dimenticare che il compianto Giovanni Falcone riteneva necessaria la separazione delle carriere tra giudici e Pm.

La riforma del Csm

Peccato che l’attuale Ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, sia allergico a entrambe le soluzioni. Al momento, quindi, permane la curiosità attorno all’impianto di una riforma forse mai così attesa. Nonché lo scetticismo, visto che la sta predisponendo un Guardasigilli che ignora la differenza tra colpa e dolo e pensa che gli innocenti non finiscano in carcere.

Fino ad allora, comunque, sarebbe inutile anche sciogliere l’organo di autogoverno delle toghe – come auspicato da molti. Il nuovo Csm, infatti, non potrebbe che essere eletto con gli stessi criteri attuali.

Resta quindi solo l’amaro in bocca per quella «modestia etica» di cui hanno parlato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il giurista Vladimiro Zagrebelsky. Perché Palamara ha certamente ragione quando afferma di non aver «agito da solo». E le istituzioni non si illudano che basti fingere che, allontanata la “mela marcia”, si sia risolto il problema. Anche perché potrebbero scoprire che la polvere nascosta sotto al tappeto proviene proprio dagli scheletri nell’armadio di Palamara.

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