Una donna adultera e Gesù

La misera e la misericordia (Sant’Agostino)

Ci avviciniamo alla Pasqua: ci troviamo nella quinta ed ultima domenica di quaresima, quella che precede immediatamente la domenica delle Palme, o domenica di Passione. Il Vangelo (Gv. 8, 1-11) che ascolteremo è quello della donna sorpresa in flagrante adulterio e condotta a Gesù dagli scribi e dai farisei perché la giudicasse. Prima di addentrarci a commentare questo bellissimo episodio della vita di Gesù, vorrei rispondere al lettore attento che si sta chiedendo perché il brano liturgico di questa domenica non appartiene al Vangelo di Luca. Ora, solo in maniera sommaria, diciamo subito che questo brano, con molta probabilità, non faceva parte della redazione originaria del Vangelo di Giovanni, dove noi oggi lo leggiamo, ma vi è stato introdotto solo successivamente. L’episodio della donna adultera con molta probabilità viene attribuito alla redazione del Vangelo di Luca e ciò perché i termini che vi si trovano come pure il messaggio teologico (cfr. le parabole della misericordia di Lc. 15) fanno pensare che esso sia opera di Luca.

L’episodio ben strutturato nella forma letteraria consta di due parti: una prima parte che gira attorno ad una domanda a proposito della legge mosaica che è stata posta a Gesù per metterlo alla prova e che Gesù riesce a sciogliere con la frase famosa che ha fatto il giro del mondo in questi duemila anni di cristianesimo: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (v. 7). La domanda assomiglia ad altre domande trabocchetto fatte a Gesù durante la settimana della sua Passione: queste domande volevano far risaltare l’opposizione tra Gesù e la Legge, e più precisamente tra la misericordia del Signore e la legge di Mosè. La seconda parte presenta un gesto di misericordia di Gesù, paragonabile ad altri narrati nella sua vita, come quello della donna peccatrice (Lc. 7, 36-50). Con tali gesti Gesù esercita praticamente la misericordia di Dio da lui affermata nella predicazione e dimostra che egli è venuto nel mondo per cercare i peccatori.

Dopo una notte trascorsa in preghiera sul monte degli Ulivi, luogo in cui Gesù aveva l’abitudine di recarvisi quando non andava a Betania dai suoi amici Maria, Marta e Lazzaro, Gesù al mattino presto si siede nel tempio e qui ammaestra il popolo. Il tempio attira sempre Gesù quando soggiorna a Gerusalemme e vi si dedica alla missione di ammaestrare il popolo dei poveri che hanno il cuore semplice aperto alla parola di Dio, in opposizione agli scribi e ai farisei, che entrano in scena subito dopo. Infatti, l’insegnamento tranquillo di Gesù al popolo viene improvvisamente turbato da un gruppo di scribi e di farisei che trascinano davanti a Gesù una povera donna sorpresa in flagrante delitto di adulterio, meritevole di essere condannata alla pena capitale della lapidazione secondo la legge di Mosè. Essi si basano su due passi della Legge: Lv. 20,10 e Dt. 22, 22-24, che prevedono appunto la lapidazione non solo della donna adultera, ma anche del suo complice. La severità di questa legge contrastava con la misericordia predicata da Gesù. Ecco, quindi, una buona occasione per metterlo in imbarazzo: “Tu che cosa ne dici?” (v. 5), tu che predichi il perdono di Dio, che affermi di essere venuto per cercare i peccatori, che cosa dici di questo caso che ti presentiamo? Se Gesù non prende partito per la Legge, verrà accusato di trasgredirla; se decide in favore della Legge, il suo insegnamento sulla misericordia viene gravemente compromesso.

Tra tutte le domande poste a Gesù nel corso della sua vita pubblica, questa appare la più decisiva, perché è messo in causa l’aspetto più originale del comportamento di Gesù, e cioè la sua misericordia. Sembrava impossibile per lui sfuggire all’alternativa: o la Legge di Mosè o la misericordia di Dio! “Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”(v. 6). Con questo gesto Gesù ha voluto semplicemente opporre un rifiuto a giudicare la donna. Questa interpretazione viene confermata da numerosi casi presenti nella letteratura araba, in cui questo medesimo gesto significa che ci si disinteressa di una faccenda e ci si vuole astenere dal prendervi parte. Ma, poiché i suoi nemici si ostinano nella loro accusa, si vede obbligato a pronunciare una parola nei loro confronti con quelle parole divenute ormai famose in tutto il mondo: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (v. 7).
Non possiamo che ammirare la saggezza, frutto insieme di giustizia e di misericordia, con cui Gesù risponde all’insistenza dei suoi interlocutori. Nella sua risposta Gesù ricorre alla Legge stessa, la quale ordina che il testimone sia il primo a lapidare il colpevole, dimostrando che essa, in fondo, è più misericordiosa e più giusta di quanto la considerino gli accusatori della donna. Al di là della lettera, occorre anzitutto cercare lo spirito della Legge. Gesù non cancella la Legge di Mosè, ma sposta il problema per portarlo sul piano della coscienza degli accusatori. Gli scribi e i farisei, accusando la donna con molta insistenza senza misericordia e mostrando di avere un astio nei confronti di Gesù perché vogliono metterlo alla prova, si dimostrano meritevoli di essere condannati: chi si atteggia a difensore della Legge non può rendersi colpevole in alcun modo. La risposta di Gesù, dunque, sottolinea la necessità di vegliare sull’intenzione che spinge ad agire in maniera tanto decisa contro la vita del fratello. L’obbligo di amare il prossimo come se stessi (cfr. Antico Testamento) non impedisce di vedere la gravità delle colpe altrui, ma esige che si tratti il prossimo con giustizia. Ora, ogni vera giustizia consiste in primo luogo nel mettere ordine nella propria coscienza!

“Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno…” (v. 9): nessuno degli accusatori osa proclamarsi innocente, e tutti si ritirano, a cominciare dai più vecchi. Nessuno ha il diritto di condannare un altro, poiché siamo tutti peccatori, e quanto più si avanza in età, tanto più lo si è.
Restano soli, l’uno di fronte all’altro, Gesù e la peccatrice, la misera e la misericordia. Gesù le domanda dove sono coloro che la condannavano, e la donna gli risponde che nessuno l’ha condannata. “Neanch’io ti condanno, và e d’ora in poi non peccare più” (v. 11): la parola di Gesù libera definitivamente l’adultera. Gesù la perdona, ma non senza rivolgerle un avvertimento la cui fermezza non ammette repliche. Il suo incontro con il Signore deve indurre la convertita a prendere una risoluzione che impegna il suo avvenire.

Bibliografia consultata: Munoz Leon, 1971.

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