Utero in affitto e maternità surrogata, è polemica. No dei benpensanti

Nuova polemica su utero in affitto e maternità surrogata, dopo affissione di manifesti nelle città, ma il no del mondo della cultura è netto

“La gestazione per altri è forse la più sofisticata e atroce forma di schiavismo inventata dalla modernità, uno schiavismo in cui il volto della iena è nascosto dietro il sorriso del benefattore, uno schiavismo che furbescamente si ammanta della parola ‘amore’. Un amore che non si riferisce in alcun modo al bene di chi nasce ma soltanto ai desideri dei singoli individui”; è l’espressione utilizzata da Susanna Tamaro in un suo intervento pronunciato durante l'incontro «Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata, una sfida mondiale» tenuto alla Camera qualche tempo fa, una espressione che oggi si cala a pieno titolo nelle polemiche, mai sopite, riguardanti questa volta dei manifesti affissi nelle principali città italiane per una campagna shock, con tanto di hashtag #Stoputeroinaffitto, promossa dalle associazioni Provita e Generazione famiglia contro le famiglie arcobaleno. Quello dell’utero in affitto è un problema, non solo di natura giuridica ma anche e soprattutto etica, che negli ultimi tempi affligge maggiormente le nostre coscienze con riflessi politici, partitici, sociali e antropologici che non conducono ad un confronto e a un dialogo costruttivo bensì ad uno scontro e a una divisione del Paese, come se ne avesse bisogno, alimentata da una contrapposizione tra destra e sinistra politica che, ormai, sembra essere l’unico leimotiv della vita pubblica della nazione.

Tuttavia si sa, in Italia basta poco per accendere gli animi politici, per far scattare immediatamente la capacità di affibbiare appellativi, aggettivi, epiteti all’una o all’altra fazione in un crescendo che, alla fine, ben poco ha a che fare con il problema che, pretestuosamente, ha scatenato lo scontro; e così anche per l’ultimo manifesto apparso nelle città, il cui motto è “due uomini non fanno una madre”, è insorta la polemica in un caos mediatico in cui, paradossalmente, anche le stesse aree politiche si ritrovano divise tanto che la Raggi, inizialmente assente, si è vista costretta a raccogliere l'appello del Pd per la rimozione degli stessi manifesti affermando che “La strumentalizzazione di un bambino e di una coppia omosessuale nell'immagine del manifesto offende tutti i cittadini” e chiedendo agli uffici competenti la rimozione dei manifesti omofobi dell'associazione onlus Provita; in una nota del Campidoglio, inoltre, si precisa che “Il messaggio e l'immagine veicolati dal cartellone, mai autorizzato da Roma Capitale e dal dipartimento di competenza, viola… il regolamento in materia di pubbliche affissioni di Roma Capitale che vieta espressamente esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”.

Anche il sindaco di Roma, pertanto, richiamata all’ordine dal PD ed in primis dalla prima firmataria della legge in vigore sulle coppie di fatto, la senatrice Cirinnà, la quale si è rivolta alla Raggi in tono perentorio affermando: “Ancora manifesti contro diritti delle persone. Lo sa @virginiaraggi che esiste il codice etico di #RomaCapitale? Li faccia rimuovere subito e faccia una telefonata a @c_appendino per farsi spiegare cosa deve fare un sindaco contro le discriminazioni”; parliamo della Cirinnà che si metteva in mostra con una tshirt con la scritta “meglio froci che fascisti” dando un impulso esclusivamente partitico e, chiaramente anacronistico, ad un tema che di partitico e anacronistico non dovrebbe avere nulla; la Raggi è stata, pertanto, messa in riga essendo costretta ad uniformarsi all’atteggiamento del sindaco di Torino Appendino la quale, prendendo le distanze dalla campagna shock, scrive su twitter che quelle omosessuali “Sono famiglie nate dall'amore, continuerò a registrarle”.

Eppure in questo marasma la voce delle femministe tace, per lo meno di quelle femministe sempre pronte a schierarsi dalla parte di tutti ma, a quanto pare, tranne delle donne, dando spazio esclusivamente alla voce delle femministe vere, quelle della vecchia guardia, a coloro che hanno fatto la storia del femminismo in Italia, a coloro che si sono battute per veder riconosciuti i diritti delle donne, quei diritti messi seriamente a rischio dalle nuove ideologie, o meglio idee, all'interno delle quali “C’è il desiderio di generare, frustrato dalla sterilità, la potenza dei soldi su chi ne ha pochi, la potenza dei soldi in chi ne ha molti, la presenza di un mercato globale, le facilitazioni offerte dalle tecnologie riproduttive. Qualcuno ci ha messo anche l’aumento della sterilità delle coppie nei paesi ricchi. Il fenomeno della generazione di nuovi esseri umani è iniziato due milioni di anni fa. Quello di stipulare contratti e richiedere ad una donna l’esercizio della gestazione per ottenere una creatura umana nuova in conto terzi è roba di trent’anni fa” secondo il pensiero di Luisa Muraro.

Eppure la Muraro non è una femminista dell’ultima ora, è una filosofa punto di riferimento del femminismo della fine anni 60 e anni 70, un femminismo che senza negare il valore dell'uguaglianza di donne e uomini di fronte alla legge insiste sulla differenza tra donne e uomini come fulcro per individuare le varie aree dell'esperienza umana; è lei che considera quello del linguaggio il nodo che strozza la verità intorno alla pratica dell’utero in affitto, senza che vi sia una vera teoria; è lei che, da femminista convinta, vede la maternità praticata per contratto non più come lo spettacolo della vita concepita, gestata, partorita, accudita ma come un modo brutale e frettoloso di etichettare la produzione di un bambino rendendone possibile insieme ad altri fattori la sua “commercializzazione”; e qui ritorniamo ai manifesti, da ultimo affissi nelle città, in cui appare un bambino contrassegnato da un codice a barre come un qualsiasi prodotto commerciale, un manifesto shock, è vero, ma non è così scontato sia una offesa e che lo sia per tutti i cittadini come affermato dalla Raggi e da Secci, presidente del Circolo Mario Mieli o dalla Grassadonia, presidente Famiglie Arcobaleno, i quali parlano di “strumentalizzare i bambini per una propaganda intrisa di odio e omofobia”.

Sembra, pertanto, che non ci sia posto per il femminismo vero inteso come il tendere alla parità politica, sociale ed economica tra i sessi ma ci sia posto soltanto per un neo femminismo, se così possiamo definirlo, opposto a quello degli anni 60 e 70 e inteso come parità sessuale tra uomo e donna che tende a sostituire e a sostituirsi alla differenza biologica tra i due sessi; se poi il tutto viene condito con le parole omofobia e odio che saltano fuori ad ogni dissenso, espresso da una parte della società, assolutamente non nei confronti dell’omosessualità allora è chiara la mancanza di una vera teoria per come espresso dalla Muraro.

Lascia riflettere l'appello delle consigliere comunali PD Valeria Baglio, Ilaria Piccolo e Giulia Tempesta che parlano di “ripetuti e provocatori attacchi contro i diritti delle persone di questi mesi, a tutti i livelli di governo; è necessario controbattere e ribadire che due genitori fanno due genitori. Questa è l'unica verità”, un assunto categorico ed imperativo quest’ultimo che cozza con la circostanza che poco tempo addietro una rete di associazioni e personalità del mondo della cultura e dell’impegno civile ha chiesto ai politici di schierarsi apertamente contro l’utero in affitto e la maternità surrogata; addirittura in una loro petizione le donne del movimento femminista “Se non ora quando” sostengono, sotto forma di dura condanna, che “il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce” richiamando una sentenza della Corte Costituzionale che, a fine 2017, ha respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata contro il divieto di maternità surrogata previsto dal nostro ordinamento sostenendo che l'utero in affitto “mina le relazioni umane e rappresenta un elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.

A coloro che oppongono l’amore della coppia omosessuale e la loro felicità quale fondamento per l’accesso alla maternità surrogata e all’utero in affitto la Tamaro risponde che “L’idea che il fine di ogni vita sia la felicità e che tutto sia giustificato in nome dell’amore è una delle perversioni del pensiero post moderno, oltre che uno dei chiari sintomi della condizione più che crepuscolare del mondo occidentale. L’amore è il cavallo di Troia attraverso il quale vengono condizionate le coscienze. Ma di quale amore stiamo parlando? Un amore che reclama diritti. Ma un amore che reclama diritti che razza di amore è? L’unico amore è quello oblativo che si dona senza pretendere nulla in cambio, vive e prospera soltanto sotto il cielo della libertà, ed è proprio grazie a questa libertà che offre ad ogni vita, piccola o grande che sia, la possibilità di rinascere ad ogni istante. Questo è il vero spirito di maternità, questo è l’amore che dobbiamo coltivare dentro di noi ed intorno a noi, questa è l’unica arma che abbiamo per contrastare il sinistro business della riproduzione”. Una Tamaro in linea, pertanto, con la Muraro per la quale “La surrogazione di maternità vera e nobile cioè il fatto di rendersi disponibile a sostituirsi in una relazione, a continuare coi propri mezzi la relazione che il figlio aveva con la madre vera, è quella dell’adozione. I genitori adottivi nella loro dolente generosità, si rendono disponibili a dire ad un figlio altrui, amato abbastanza da essere messo al mondo, che ne saranno i genitori non generanti”.

Non bisogna dimenticare quali sono le origini dell’utero in affitto e che padre di questa pratica è universalmente considerato Il'ja Ivanovič Ivanov il quale puntava all’obiettivo di creare lo Scimpauomo come ultimo risultato di un percorso lungo il quale, per divertire lo Zar e la corte, aveva già creato diversi ibridi, conigli e porcellini d’india, zebre e asini, mucche e antilopi. Nel suo pensiero Ivanov era fermamente convinto che gli animali non fossero altro che macchine e gli uomini soltanto macchine più complesse e che come macchine dovessero essere trattati.

Il mondo della filosofia, nella sua accezione etimologica composta da φιλεῖν (phileîn), amare, e σοφία (sophía), sapienza, non può restare impassibile davanti a tale importantissimo tema e anche un filosofo schierato politicamente a sinistra, quale è Cacciari, esprime la sua contrarietà di uomo colto ed illuminato identificando punto per punto i motivi del suo netto dissenso partendo dalla considerazione della donna e della sua dignità riguardo alla quale “una legge che permettesse simili pratiche sarebbe una totale mercificazione del corpo della donna. Una cosa che avviene per motivi di guadagno da parte di poverette semi disperate. Pratiche di questo genere producono una mercificazione pazzesca e orrenda del corpo umano.” Se da un lato secondo Cacciari “la crisi dell'istituzione matrimoniale è talmente grave che si arriverà all'utero in affitto, ma anche peggio. Arriveremo ad interventi durante la gravidanza per magari modificare determinati tratti del bambino, siamo solo all'inizio di cose che ci sembrano fantascientifiche, ma come sempre avviene la fantascienza finisce poi per realizzarsi” dall’altro vi è l’elemento di coloro che non riuscendo a collegare un'idea con le sue conseguenze “fanno senza comprendere in quali nessi logici si pongono i propri pensieri e le proprie azioni, quello mi scandalizzava del dibattito sulla legge Cirinnà. Tutto impostato in astratto sui diritti senza collocarlo in un contesto storico, senza discutere della crisi del matrimonio. Anche nel caso dell'utero in affitto il dibattito continua ad essere questo, cioè non se ne calcola il contesto. Questo è il discorso tremendo, letteralmente tremendo. Uno spettacolo sconvolgente, una mutazione antropologica e culturale”. 

Intanto un sonoro no alla pratica degli uteri in affitto, accompagnato da un rifiuto totale e inappellabile alla legalizzazione della gravidanza surrogata, in qualsiasi sua forma, proviene da decine di organizzazioni senza scopo di lucro, molte di stampo femminista; 89 organizzazioni non governative di 17 Paesi, infatti, hanno chiesto alla comunità internazionale mediante una petizione di moratoria all’Assemblea generale dell’ONU di considerare l’utero in affitto una pratica lesiva dei diritti umani delle donne e dei bambini mentre anche dall’Italia emerge un No forte e trasversale che potrebbe rappresentare una svolta decisiva per la società italiana.

Identici pensieri uniscono donne e uomini provenienti da ambienti diversi e lontani per molti altri aspetti, concordi però nel giudicare la pratica dell’utero in affitto l’ultima frontiera dello sfruttamento del corpo femminile; uno sfruttamento abominevole che vede vittime soprattutto le donne del Terzo mondo, in particolare in India, che per pochi dollari al mese sfornano neonati per coppie, etero e omosessuali, di ricchi occidentali. Sicuramente il concetto di “surrogata” non si lega a quello di madre ancor più quando, per motivi apparentemente ideologici, si sorvola su quanto sia importante e profondo il legame che unisce una donna al bambino che porta in grembo; significherebbe ridurre, forse questa è l’intenzione globale e nascosta, il ruolo della madre a qualcosa di inesistente, a un semplice strumento di procreazione, mentre sappiamo quanto per ogni essere umano sia fondamentale l’origine della sua vita.

Forse tutto ciò ha fatto sì che la coscienza umana abbia iniziato a guardarsi allo specchio, facendo i conti con sé stessa, comprendendo che “all’ideologia marxista leninista – che appoggiò Ivanov nei suoi esperimenti – si è sostituito un capitalismo senz’anima e questo nuovo totem idolatrico riconosce solo una legge: quella del desiderio del singolo individuo e del profitto che si può ricavare per soddisfarlo” per usare le parole della Tamaro.

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