Valerio Rossi Albertini: La scienza è di parte e non accetta compromessi

Valerio Rossi Albertini-Tiranni, detto Rossi Albertini, è un fisico italiano del CNR, primo dottore di ricerca in Italia in Scienza dei Materiali

Valerio Rossi Albertini-Tiranni, detto Rossi Albertini, è un fisico italiano del CNR, primo dottore di ricerca in Italia in Scienza dei Materiali. Specializzato nello studio di materiali e dispositivi avanzati per la produzione e l’accumulo di energia. E’ professore di Divulgazione della Scienza presso la seconda Università di Roma “Tor Vergata”. E’ stato incluso nella 37ª edizione (2010) del prontuario “Who’s Who in the World”, che raccoglie le biografie delle personalità più eminenti nei rispettivi settori di attività.

Dottor Rossi Albertini, lei viene spesso chiamato nelle trasmissioni televisive per fornire spiegazioni scientifiche su fenomeni naturali interpretabili con difficoltà dalla gente comune. A suo giudizio, la presenza dell’informazione scientifica in televisione, Rai Mediaset e altre comprese, è adeguata o insufficiente?

Limitiamoci alle reti generaliste nazionali, senza distinzione. Se calcoliamo il rapporto tra il tempo che viene dedicato alla scienza e alla tecnologia, e quello che è destinato ad altra informazione ed intrattenimento, siamo molto sotto l’1%. Ci sono trasmissioni che lambiscono i temi delle nuove tecnologie, ma in linea di massima sono descrittivi, più che esplicativi: Cronaca e non approfondimento, comunicazione giornalistica e non divulgazione scientifica.

In tv i paladini della divulgazione scientifica si contano sulle dita delle mani: Piero Angela, il figlio Alberto, Folco Quilici (ormai defunto), le trasmissioni sulla medicina di Luciano Onder (ora in pensione)… ne conosce altri? Non so Licia Colò, Mario Tozzi, Cosa pensa in proposito?

In Piero Angela, nonostante la veneranda età, riconosciamo ancora il Maestro di color che divulgano, ma viene comunque da domandarsi: dove sono i divulgatori delle tre generazioni successive? I settantenni, i cinquantenni e i trentenni? Possibile che un paese avanzato come il nostro abbia saputo esprimere così pochi talenti? I nomi che cita sono quelli di grandissimi professionisti, dotati ognuno di straordinaria personalità e con la propria specifica vocazione. Con Licia Colò, in particolare, ho appena terminato l’esperienza di “Niagara”, un ciclo di sei prime serate per Rai2 dedicate alla bellezza della Natura e ai modi per preservarla. Licia ha una sensibilità unica per le questioni ambientali, perché le percepisce profondamente e sa restituire questa suggestione agli spettatori. Mario ha un approccio differente, meno poetico e più concreto. E’ il prototipo dello scienziato-esploratore, quello che scorta lo spettatore alla scoperta della Terra. Alberto Angela sembra che attualmente sia più dedito alla divulgazione culturale, che scientifica, preferendo argomenti di storia e d’arte, ma anche lui ha svolto e svolge una funzione importante. Resta il fatto che la comunicazione scientifica in Italia è molto sottodimensionata.

Luca Mercalli, il metereologo che conduceva “Scala Mercalli” su Raitre, ha dovuto chiudere dopo sei puntate il suo programma perché – a suo dire – “non allineato su temi come le trivellazioni, la Tav, il cemento e le grandi opere”. La scienza può essere pericolosa per il potere?

La scienza ha il difetto, o il pregio, di vivere in una dimensione propria, aliena da convenienze e compromessi. Tuttavia, gli argomenti che si trattano non sono neutrali. Un conto è parlare delle galassie lontane, che non suscitano alcuna reazione ostile; un altro è affrontare argomenti sensibili, perché riguardano la vita delle persone. Nonostante i dati forniti, oggettivi e riscontrabili, si può decidere di continuare un’opera intrapresa, se si ritiene che vantaggi superino problemi e rischi. Questa però è una decisione politica, che è l’arte di valutare pro e contro e di trovare la migliore mediazione possibile. Quello che però la politica non può fare è ignorare questi dati. La scienza non è un pericolo, ma è un parametro di riferimento ineludibile.

Quali dovrebbero essere gli spazi che la tv dovrebbe mettere a disposizione della scienza, per far crescere la cultura e la consapevolezza della gente?

A me piacerebbe che la scienza, piuttosto che avere solo degli spazi dedicati ed essere ristretta ad una specie di “riserva indiana”, avesse accesso a tante trasmissioni. Con il mio lavoro televisivo mi sforzo di dimostrare che molto spesso è possibile fare una riflessione di carattere scientifico, per fornire un’informazione affidabile, qualunque sia l’argomento trattato. La scienza, in ultima analisi, è il metodo più attendibile per interpretare la realtà del mondo che ci circonda.

Ci sono argomenti che lei ritiene prioritari rispetto ad altri?

Personalmente a me piace spaziare. Non ritengo che alcun tema sia disprezzabile, quando trattato con rigore ed imparzialità. E così non rifiuto di parlare di igiene domestica, di conservazione dei cibi, o del modo migliore di spazzolare il gatto. Sempre, beninteso, esaltando l’aspetto scientifico della questione. Detto questo, penso che le nuove conquiste della ricerca dovrebbero essere il tema più trattato, perché il progresso tende a far sentire il privato cittadino sempre più inadeguato ed alieno dal mondo tecnologico. Altrimenti, tendiamo a diventare semplici utenti inconsapevoli di app, software, motori di ricerca e mezzi di comunicazione non convenzionali, benché questi strumenti ormai occupino gran parte della nostra vita.

Si ha come l’impressione che quando lei interviene nei programmi le venga riservato un ruolo più tranquillizzante, che di informazione corretta nei confronti del pubblico. E’ così?

In effetti, mi consultano spesso quando si tratta di spiegare il motivo e le conseguenze di grandi eventi. Per riferirci al passato recente, il crollo del viadotto Morandi a Genova, la tempesta che ha abbattuto milioni di alberi nel bellunese, lo straripamento del torrente a Casteldaccio vicino Palermo, che è costato la vita a due nuclei familiari. Credo che sia dovuto al fatto che, in un momento di smarrimento e di confusione, guardare i fatti in modo obiettivo restituisce, se non la serenità, che può essere turbata dal dolore, almeno lucidità. Si sa che il panico e il disorientamento sono tra gli effetti peggiori di qualunque catastrofe. La scienza ha il merito di far inquadrare l’accaduto nella giusta prospettiva. Io non nascondo mai le informazioni disponibili al momento della disgrazia (sempre precisando che richiedono una verifica affidata ai tecnici incaricati), ma cerco di spiegare le cause e i possibili interventi futuri. Il buon medico che diagnostica una grave malattia non abbandona il paziente al suo sconforto. Gli illustra i motivi presunti della malattia e si affretta a tracciare il percorso terapeutico possibile, pur ammettendo onestamente che serviranno altre indagini, tempo e spirito di sopportazione.

La divulgazione scientifica stenta a trovare forme soddisfacenti di comunicazione e di comprensione. Dov’è la carenza? Nella preparazione della gente a seguire o nella difficoltà degli scienziati a comunicare?

Dipende sicuramente da diversi fattori. I ricercatori non sono addestrati a parlare al pubblico e spesso risultano troppo criptici o didascalici. Io tengo il corso di Divulgazione della Scienza presso la seconda università di Roma e ammonisco i miei studenti ad evitare come la peste di suscitare noia negli ascoltatori. La gente è disabituata ad ascoltare discorsi scientifici e rifugge la scienza cattedratica. Come diceva Mao Tse Tung, “bisogna andare verso il popolo”, ovvero, in questo caso, immedesimarsi nello spettatore, che spesso ha un pessimo ricordo delle lezioni di scienza a scuola.

L’Italia è un paese attraversato da problemi di inquinamento, terremoti, frane, inondazioni. In maniera ricorrente accadono episodi tragici con molti danni. La responsabilità a mio parere è degli uomini e delle istituzioni non della natura che spesso viene chiamata “assassina”. A che dobbiamo questa mancanza di capacità nella gestione del territorio?

La spiegazione più comune è che la tutela del territorio sia un’attività lunga, costosa e poco remunerativa in termini di consenso elettorale. Probabilmente, però, è anche dovuta ad una grave sottovalutazione del pericolo che l’incuria comporta e il problema viene sollevato solo in condizioni di emergenza, quando ormai il danno è fatto.

Le spiegazioni scientifiche si possono utilizzare per molti problemi comuni, familiari. Per esempio il risparmio energetico, la diminuzione dello spreco dell’acqua potabile, il riciclaggio dei rifiuti urbani. Qual è a suo giudizio la ricettività di questi problemi da parte del pubblico?

Inizialmente la gente era poco attenta, anche a causa dell’insufficiente informazione. Ma un po’ alla volta concetti come riciclo, riuso, lotta agli sprechi, economia sostenibile, conversione a fonti di energia rinnovabili si stanno sedimentando nelle coscienze. Quando si dice che nel giro di pochi decenni la massa della plastica nei mari supererà quella dei pesci, a chiunque corre un brivido lungo la schiena.

E da parte dei programmi della tv? Ritiene che autori e dirigenti televisivi siano sensibili a questi problemi? O non li utilizzino per motivi di audience?

Forse in passato. Per quello che ho appena accennato, la domanda di informazione ambientale sta crescendo e, se un argomento “fa audience”, non può essere ignorato. Certo, la partita di pallone, la fiction e il grande fratello hanno platee più vaste, ma programmi di divulgazione di qualità possono comunque vantare un pubblico molto più ampio di prima

Lei usa spesso dei modellini autoprodotti per spiegare i fenomeni fisici naturali e le loro conseguenze. Questi modellini le vengono commissionati o sono a suo carico?

Alcune produzioni fanno affidamento sulla mia capacità di fornire “il prodotto” già preparato, altre mi mettono a disposizione personale e mezzi per realizzarli. La proposta è quasi sempre mia, perché occorrono pratica e competenza scientifica per tradurre concetti scientifici, anche complessi, in modelli semplici ed eloquenti. A volte gli autori propongono l’argomento e lasciano a me il compito di convertirlo in una dimostrazione pratica.

Che tipo di feed back ha riscontrato nelle sue apparizioni in tv? Vi sono orari e trasmissioni che funzionano più di altre come ritorno da parte del pubblico?

Il gradimento da parte del pubblico è soddisfacente, altrimenti la mia carriera avrebbe avuto vita breve… Studio la composizione della platea televisiva delle trasmissioni in cui intervengo e mi sforzo di presentare argomenti ed utilizzare un linguaggio appropriati per quel tipo di pubblico. La mia massima è che nessun tema, se trattato con serietà scientifica è indegno e nessuno spettatore è così indifferente, da non poter essere interessato, se la sua curiosità è stimolata nel modo opportuno.

Pensa sia meglio che la scienza si diluisca in apparizioni brevissime in tante trasmissioni o debba avere spazi suoi specifici, magari con la spettacolarizzazione necessaria a far si che il messaggio sia più comprensibile?

Penso che le due alternative non si escludano reciprocamente. Un conto è spiegare le modalità di contaminazione di una falda acquifera, o l’importanza del riciclo dei materiali, un altro è spiegare l’importanza della scoperta della Particella di Dio, o delle onde gravitazionali. Inutile specificare che le prime sono adatte ad un programma di informazione e di cronaca; le seconde, ad una trasmissione dedicata alle conquiste della scienza.

Non ritiene che la sua presenza in tv sminuisca il suo ruolo di scienziato agli occhi dei suoi colleghi? Ha avuto questa sensazione o il suo impegno viene riconosciuto come valido e utile?

Questa è una domanda molto interessante. E’ vero che gli scienziati, in passato, hanno visto con sospetto, o addirittura con sufficienza, i colleghi che dedicavano una parte del loro tempo alla divulgazione. La divulgazione era considerata la parente povera della docenza, quella sì alta e nobile.

Eppure alcuni tra i maggiori scienziati, come Albert Einstein, o Richard Feynman, hanno dedicato cura ed attenzione a divulgare la loro scienza. Addirittura Einstein riteneva che la divulgazione fosse la riprova della piena comprensione. Diceva: “non puoi dire di aver capito davvero una teoria, se non sei in grado di spiegarla a tua nonna…”.

In questa società, nonostante l’avanzamento tecnologico che permea ogni aspetto della vita, tante persone sono ritrose nei confronti della scienza (“io queste cose di fisica non le ho mai capite”). Il divulgatore è quindi – mi si passi il paragone irriverente- un po’ come il Buon Pastore della parabola evangelica: lascia le novantanove pecorelle al sicuro nell’ovile della consapevolezza scientifica e va a recuperare quella smarrita lungo i sentieri della superstizione e del pregiudizio. Solo che, nel caso reale, la proporzione è ben più sfavorevole di 99 ad 1 ! Il giro d’affari di maghi, veggenti e guaritori in Italia è stimato 8 miliardi di euro l’anno (dato fornito ieri a Domenica In)…

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