Religione

Vivere secondo lo Spirito. Tornare piccoli, per accogliere Dio

Tornare piccoli, per accogliere Dio (Mt. 11, 25-30). Gesù loda il Padre perché ha tenuto nascosto il mistero del suo Regno a coloro che sono tenuti in considerazione dal mondo, e lo ha rivelato ai piccoli. Ciò non significa che Dio conduca campagne contro l’istruzione e lo studio, oppure che Gesù si voglia scagliare ideologicamente contro le classi sociali. Qui il Vangelo ci sta solo dicendo che il mistero di un Dio che è amore, che viene a visitare l’uomo e lo salva, è una realtà che riguarda i “disponibili”, coloro che si lasciano amare, intercettare, perdonare, sollevare da lui. Riguarda tutti quelli che non fanno dipendere da sé stessi la propria salvezza, ma hanno bisogno del Signore e, avendolo incontrato, lo conoscono e lo amano.

Vivere secondo lo spirito per vincere la morte e il peccato

In un momento storico nel quale trionfano la forza, le certezze, la superiorità economica e culturale, è utile che ciascuno mediti sul proprio stato di vita, su come ritornare “piccolo”, a volte anche inutile, voce muta in un contesto di trombe che gridano e inneggiano a sé stessi. Dio, semplicemente, vuole aprirsi un varco nella vita di ciascuno e portarlo dalla propria parte, unirlo alla sua debolezza che ha vinto la morte e il peccato.

Il giogo di Gesù, mitezza e umiltà

Essere credente, oggi come sempre, significa aver incontrato e dunque conosciuto il Padre grazie al Figlio. Questo spinge ciascuno ad alzare la testa e a gridare aiuto a quel Dio che è venuto a salvarci. L’invito di Gesù non è per chi è già perfetto, ma per tutti gli oppressi che sopportano stanchezza di ogni genere. Gesù non toglie la malattia, non preserva dalla morte, non difende dalla calunnia e dal male. Gesù si carica sulle spalle la mia vita e la rende più leggera. Il suo “giogo” non è per la schiavitù, ma per la vita. Un peso addirittura leggero, se condiviso con il Salvatore. Un bagaglio trasformato in dolcezza, se la nostra vita diventa imitazione di Cristo.

Imparate da me” (v. 29): la mitezza e l’umiltà del cuore sono atteggiamenti interiori oggi in via di estinzione. Sono discepolo di un Maestro mite, che non alza la voce, non spegne il lumicino, non spezza la canna incrinata. Può darsi che sia un criterio troppo “soft”, ma è evangelico. Qualcuno potrà pensare che si debba intervenire con decisione per risanare una situazione. E’ vero. Ma solamente se si fa l’esperienza dell’essere affaticati, feriti, oppressi e solo quando c’è qualcuno che ci raccoglie, sgorgano dal cuore la mitezza e l’umiltà.

I piccoli del Vangelo

Chi sono i piccoli? Chi i sapienti e i dòtti del mondo? Non è facile rispondere. Gesù si esprime con queste parole di una semplicità disarmante, perché desidera che la vita di ciascuno sia lontana dalla sufficienza che fa essere “dio di sé stessi”. Con molta onestà ciascuno può riconoscere in sé stesso delle zone d’ombra, ogni volta che diventa seguace della sapienza del mondo, e delle zone di luce che ci trasformano in discepoli affaticati e poveri del Cristo, maestro “mite e umile ci cuore”, che prende sule sue spalle le nostre fatiche quotidiane.

La fatica dell’umiltà

Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (v. 28). Essere discepoli di Cristo significa percepire il valore morale della misericordia, che non rivendica per sé, ma è attento agli altri, attento ai loro bisogni, pronto a soccorrere anche chi ci ha procurato del male. Forse la difficoltà è diventare miti e umili di cuore nelle decisioni: nelle difficoltà e prove della vita viene voglia di non essere umili, di ribellarsi e di vendicarsi. Siamo liberi di farlo. Proviamo invece a sentirci piccoli e deboli davanti al mondo, ma forti perché ristorati dalle parole e dalla presenza del Signore.

Diventare piccoli

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro” (v. 28). Solo nella semplicità del cuore, nell’autenticità della vita, nella trasparenza dei rapporti si possono ascoltare le parole di Gesù e accoglierle. Gesù ci incoraggia a cambiare registro. E’ una vera e propria conversione quella di essere semplici, non complicati, di essere persone che si affidano totalmente alla sapienza di Dio. I “piccoli” ai quali il Padre ha rivelato i misteri del suo Regno, sono coloro che, lontani dalla logica del mondo, diventano per il Figlio di Dio i “benedetti dal Padre”.

Dio ha i suoi criteri e tocca a noi, se vogliamo diventare sempre più discepoli, cercare di capirli e di seguirne gli insegnamenti. E’ la vita stessa che cambia perché benedetta da quel Dio che si rivela non a chi crede di sapere, ma a chi rinuncia alla sua vita, ne fa dono, la mette con gioia e semplicità nelle mani del Signore. Non smettere mai di imparare da Gesù. Egli è il modello, il compagno di viaggio, la fonte che dà vita e sostegno. “Prendere il giogo su di noi”, per dichiarare ogni giorno, con la vita più che con le parole, che la sua guida è necessaria. Egli non ci chiede mai troppo, anche se talvolta la vita e le sofferenze sembrano insopportabili. Ciò che ci serve sono gli occhi stessi di Dio: un Dio apparentemente debole, fragile, piccolo, che si fa conoscere attraverso la potenza straordinaria dell’amore, che “così” si fa amare e conoscere.

Dio si rivela solo a coloro che lo amano intensamente con tutto il cuore e con tutta l’anima. Ecco perché i piccoli, coloro che non contano su se stessi, sulle proprie risorse, sulle proprie doti, sono i primi destinatari di una relazione che non nasce sui libri, ma diventa abbandono fiducioso. Ed è per questa scelta che tu benedici e ringrazi il Padre, che si manifesta a questi figli.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020; Laurita, 2020.

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