Gigi Proietti è morto, lasciandoci proprio il giorno del suo ottantesimo compleanno, con un piccolo, doloroso colpo di teatro. Le luci si abbassano e il sipario cala su uno degli attori più amati degli ultimi tempi. La sua ironia romana, il suo grande talento, la sua straordinaria voce che Gigi era padrone di dominare a suo piacimento, sia quando cantava che quando recitava, la sua mimica facciale, capace di trasmettere qualsiasi sentimento, la sua tecnica sopraffina che gli permetteva di inventare linguaggi Gramelot e infine la sua risata, sarcastica e pungente al tempo stesso a completare una maschera inimitabile.
Le biografie raccontano di un personaggio venuto su attraverso mille esperienze, dal teatro sperimentale alle notti passate a cantare con le orchestre nei night club romani, suonando anche il contrabbasso, fino ad approdare al successo popolare, quando ebbe l’occasione di sostituire l’ammalato Domenico Modugno in “Halleluja Brava Gente”, in coppia con l’altro grande romano, Renato Rascel.
Da allora non si era più fermato. In 50 anni di attività aveva collezionato 33 fiction, 42 film, 51 spettacoli teatrali (di cui 37 da regista), oltre ad aver registrato 10 album come solista e diretto 8 opere liriche. Una carriera teatrale, da “A me gli occhi, please”, passando per Shakespeare, che aveva riassunto in uno spettacolo, “Cavalli di battaglia” scelto per festeggiare nel 2016 i suoi 50 anni in scena. Fu direttore dal 1978 del Teatro Brancaccio di Roma insieme a Sandro Merli e, grazie alla sua vocazione di Maestro, diede vita ad una scuola attoriale che fu una fucina di talenti, tra i quali figurano Flavio Insinna, Chiara Noschese, Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano, Massimo Wertmüller, Paola Tiziana Cruciani, Rodolfo Laganà, Francesca Reggiani, Gabriele Cirilli e Sveva Altieri.
Ho avuto la fortuna di lavorare con lui subito dopo il grandissimo successo di “A me gli occhi, please”. Il suo impresario Elio Gigante, alla fine degli anni ’70, gli organizzò una tournèe estiva, dal titolo: “Serata con Gigi Proietti”, che riassumeva i pezzi migliori del fortunato spettacolo, campione d’incassi nei teatri tenda.
Viaggiavamo spesso con la macchina insieme, e avere Gigi a disposizione per ore era un vero spasso. Barzellette, “cazzeggio”, battute, ma soprattutto i ricordi della sua Roma, quella degli anni del dopoguerra, con i suoi night club, la Dolce Vita, i suoi personaggi tipici, in un racconto che, dalla viva voce di Gigi, era malinconico ed esilarante a tempo stesso.
Mi diceva che ero un po’ pazzo e che secondo lui tutti i bassisti lo erano. Io gli rispondevo che anche lui aveva suonato il contrabbasso, quindi non poteva parlare. “Nu lo so, perché – chiosava sorridendo – forse sarà er suono che te pja nello stomaco e te se riflette nella capoccia. Ma voi bassisti siete tutti matti”.
Per molti anni non ci siamo visti, poi l’ho rincontrato otto anni fa e avemmo modo di parlare. Mi disse sconsolato: “A Pie’ nun me va più de lavorà, sarà che me so’ invecchiato…”. Chissà, forse ancora non aveva superato bene la malattia che poi lo avrebbe ucciso otto anni più tardi, il giorno della sua nascita, beffardamente, come a chiudere un ideale cerchio. Un tradimento proprio di quel suo cuore, così grande unico e generoso che ce lo farà amare per sempre. Addio Gigi.
Piero Montanari
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