Categorie: Cultura

Il mio ’68 insieme a Fracchia e Cochi & Renato

Quarantacinque anni di storia corrispondono al periodo intercorrente tra la fine della seconda guerra mondiale e il dopo caduta del Muro di Berlino. Del resto, non è un caso che più di qualcuno s’è già esercitato sui giornali a ricordate cosa accadeva proprio quarantacinque anni fa, quando correva l’anno di grazia 1968. Personalmente avevo otto anni e frequentavo – allora si diceva così – la seconda elementare. E se faccio uno sforzo di memoria mi viene in mente l’entusiasmo per l’Odissea in tv, con i riassunti delle puntate precedenti affidati sul Canale Nazionale (così si definiva l’attuale Rai Uno) nientemeno che a Giuseppe Ungaretti, che nella mia immaginazione si confondeva quasi con Omero.

Poi, non posso dimenticare le canzoni dell’anno di cui avevo di tutte il 45 giri: La bambola di Patty Pravo,Azzurro di Celentano, Canzone di Don Backy, Balla Linda di Battisti, e poi Applausi dei Camaleonti e La nostra favola, cover cantata da Jimmy Fontana di Delilah di Tom Jones. Poi i film che andai a vedere al cinema con mio padre: I quattro dell’Ave Maria e Il pianeta delle scimmie, Un Maggiolino tutto matto e Il fantasma del pirata Barbanera…

Ma indubbiamente il ricordo più indelebile del mio ’68 è quello di una trasmissione televisiva di cui vedemmo a casa tutte le puntate, ben ventiquattro, dal 21 gennaio al 30 giugno: Quelli della domenica. “Il Sessantotto della comicità in Italia – ha scritto il critico Enrico Giacovelli in Comicità degli anni Settanta (Edizioni ETS – va in onda sul piccolo schermo ed è legato soprattutto a Quelli della domenica, un varietà di rottura che rivoluzionò la televisione: il modo di farla, ma soprattutto di riceverla da parte del pubblico”.

Fino ad allora, infatti, il varietà televisivo era stato decoroso, ricco, teatrale, modellato sull’avanspettacolo, simpatico, spiritoso, ma sostanzialmente morbido, buono. La trasmissione era intanto diretta da Romolo Siena, con testi del grande Marcello Marchesi, di Italo Terzoli e di Enrico Vaime e la collaborazione di Maurizio Costanzo.Collocato nella domenica pomeriggio alle ore 18, al termine della tv per ragazzi e prima del secondo tempo di una partita di calcio di serie A, il programma si basava su una serie di numeri comici di giovani talenti e sull’orchestra diretta dal jazzista Gorni Kramer. Fu la ribalta d’esordio televisivo per Paolo Villaggio (allora trentaseienne), per Cochi e Renato per Ric e Gian.

Ma mentre Ric e Gian si rifacevano a una tradizione umoristica già consolidata, il giovane Villaggio portava in tv improbabili personaggi come il professor Krantz ("tetesco di Cermania"), un impresentabile presentatore che parla con uno spiccato accento tedesco gridando ogni tanto “Chi fiene foi atesso ?” e promettendo al pubblico, come premio, un “cammellino di pelouche”, o come Giandomenico Fracchia, il servilissimo impiegato molto simile a Ugo Fantozzi (di cui Villaggio raccontava le peripezie in terza persona in un altro momento del programma), angariato dal capoufficio interpretato da Gianni Agus. Ma oltre a Villaggio, la rivoluzione veniva dalla coppia di cabarettisti milanesi Cochi e Renato, con le loro canzoncine piene di nonsense, a volte scritte con Enzo Jannacci, come La gallina che “non è un animale intelligente, lo si capisce da come guarda la gente”, o con le loro scenette scolastiche, nelle quali Renato interpretava il maestro e Cochi l’alunno, con i vari tormentoni di “bambini presenti e assenti, attenti”.

Alla terza puntata, quella del 4 febbraio 1968, arrivò in studio addirittura il mitico Louis Armstrong, reduce dalla sua partecipazione a Sanremo. L’altra attrazione della trasmissione era poi la soubrette e ballerina italo-eritrea Lara Saint-Paul. Poi, le canzoni fisse: quelle delle sigle – “È domenica la gente / Per le strade se ne va / Quante piazze, tanti luoghi / Di domenica / Che domenica / È domenica si sa…” e, alla fine, “Il pomeriggio della domenica / Mi voglio divertir / Il pomeriggio della domenica / Il cuore potrà dormire” – e quella che introduceva la “gara” delle "pastarelle", poco prima della fine della trasmissione: “la domenica / non è domenica / se non ci son… / le pa-sta-reel-leee”.

Indimenticabili le battute, i modi di dire, i tormentoni che cambiarono davvero il linguaggio televisivo in Italia. Dalla domanda “Chi viene voi adesso?” di Krantz a “Voi non vi meritate niente! Poi dite che sono io il cattivo! Vi siete giustamente meritati, come sempre, il tragico trio di Ric e Gian e Lara Saint Paul” (ripetuto quasi sempre da Paolo Villaggio), dal “Come è buono lei!” e al “Mi si sono intrecciati i diti” di Fracchia al “Bene, bravo, sette più” di Cochi. Villaggio, poi chiudeva, all’opposto di tutte le altre trasmissioni, in nome del cattivismo: “La canzone della sigla finale dice: il pomeriggio della domenica io mi voglio divertire. Ma io – ripeteva – non mi sono divertito affatto…”.

Per tutta quella primavera seguimmo quella trasmissione molto di più che la tv dei ragazzi. Alcuni miei amici di classe iniziarono anche a imitare quelle scenette e, l’anno successivo, andammo in una specie tournée per le altre classi, come volle il mio maestro. Io, in giacca e cravatta, che presentavo e i miei amici che “facevano” Fracchia, Krantz, Cochi e Renato. E non c’è che dire: fu davvero un bel ’68, al quale poi siamo sempre rimasti fedeli.

Redazione

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