Categorie: Interviste

Il padre è Paolo Villaggio, Piero racconta la storia di famiglia

Nel 1989 Enzo Jannacci cantava ‘’perché iniettarsi morte è ormai fuori moda’’ e proprio nello stesso anno Piero Villaggio, figlio del celebre Paolo,  usciva  definitivamente dal tunnel della droga, anche grazie alla vita, durissima, fatta di regole, quelle che non ha mai avuto in famiglia,  nella comunità  ‘’San Patrignano’’ di Vincenzo Muccioli, in cui è stato in cura ben cinque anni. Sono trascorsi venti anni da quando si è disintossicato, ma da questa dolorosa esperienza nasce il suo primo romanzo: ’’Non mi sono fatto mancare niente’’ ( Mondadori).  Ne parla a Visto non risparmiando critiche verso se stesso e verso suo padre, con cui negli ultimi anni si è però riconciliato.  

Cosa significa essere il figlio di Paolo Villaggio?

Per tanto tempo ho sofferto di essere ‘’il figlio di’’, perché pensavo che comunque tutto fosse sempre riconducibile a mio padre, Paolo Villaggio, anche quando mi chiamavano nel mio lavoro di fotoreporter, e in parte era anche vero. Solo diversi anni dopo, a un’età più matura, ho compreso che ‘’Villaggio’’, il nome che portiamo io e mio padre, è parte di me e della mia vita, sarebbe stato per sempre così e che prima l’avrei accettato, prima sarei stato un uomo sereno.

Che padre è stato Paolo Villaggio?

È un uomo egocentrico come tutti gli artisti. È stato un padre assente anche a causa del suo mestiere di attore, è stato molto ingombrante e non solo per il suo nome e per il suo successo.  Quand’ero bambino mettevo mio padre su un piedistallo, tutto quello che diceva era importante e spesso mi diceva che dovevo diventare un uomo di successo altrimenti sarei stato solo un fallito. Era per me una figura mitica. Il suo modo di manifestare affetto era quello di regalarmi oggetti costosi e macchine costose, oppure di darmi molto denaro, più di quanto me ne servisse. Ha avuto sempre un rapporto compulsivo col denaro. Pensava di farmi felice come i regali. Ora so che era ed è il suo modo di amare.

Quando si rese conto di essere il figlio di Paolo Villaggio, un attore celebre e amato dal pubblico?

Alla prima del film ‘’Fantozzi’’ di Luciano Salce, tratto dal libro omonimo di mio padre e che lo vedeva protagonista, mi resi conto di chi fosse Paolo Villaggio per la gente. Erano tutti impazziti per lui, per Villaggio-Fantozzi. La folla lo acclamava, chiamava il suo nome. Fu un enorme successo che non si è più fermato.  Da allora è sempre un continuo: ‘’ma tu sei il figlio di Villaggio?’’ Adesso mi fa piacere, ma c’è voluto molto tempo per riappacificarmi con mio padre e il nostro comune nome.

Si sente un sopravvissuto rispetto alla sua dipendenza dall’eroina?

Mi sento sopravvissuto a degli eventi della mia storia personale non all’eroina, né a mio padre e al rapporto con lui. Ho fatto esperienze singolari e qualcuno lassù mi ha protetto. Ho spesso  rischiato la vita  a causa dell’eroina, ho riportato chili di droga dall’India , ho fatto rapine in Usa.

Perché ha cominciato a drogarsi?

Probabilmente sono stato un bambino particolarmente sensibile.  Mi sentivo sempre a disagio, sempre un pesce fuor d’acqua. Ero timido con le ragazze, avevo difficoltà a rapportarmi agli altri. Con la droga tutto era sparito, mi sentivo sicuro. Sembrava la soluzione, avevo solo 17 anni. Avevo bisogno di una guida e non l’ho avuta. Poi quando incontri le difficoltà non sai affrontarle perché nessuno te lo ha insegnato.

Che cos’è la droga?

È un lenitivo al dolore, alla solitudine che però è letale. Io ho pensato davvero: ‘’smetto quando voglio’’. Quando ebbi la prima crisi di astinenza non seppi nemmeno cosa mi stava succedendo, era la fine degli anni Settanta. Il mio amico, già tossicomane, che nel romanzo chiamo Carlo e che è morto a causa dell’ eroina, mi disse che stavo avendo una crisi di astinenza. Quando ti rifai e con un istante ti passa tutto, capisci che sei drogato. La droga è un paradiso che nasconde un inferno. È  come fare l’amore con una bellissima donna e poi scoprire che è malata o che è una mantide religiosa che ti uccide.  È un orgasmo in cui muori.

Chi o cosa l’ha salvata?

Solo noi possiamo salvarci da noi stessi. Però una volta mi ha salvato anche il mio spacciatore dell’epoca, Body. Un periodo in cui vivevamo a Los Angeles, io, lui e una puttana, ho preso un’arma, me la sono messa in tasca,  e sono uscito per fare non sapevo bene nemmeno io cosa. Body ha visto che ero armato e mi ha fermato dicendomi che non sapevo usarla e che mi avrebbero ammazzato se avessero scoperto che giravo armato.  Di stronzate del genere ne ho fatte tante.

Uno spacciatore che le salva la vita è sicuramente un fatto singolare, non trova?

In quel momento Body mi ha fatto da padre. Mio padre era assente, ancora una volta. Anche se in quel caso  si trattava di un’assenza voluta, meditata. Aveva deciso di non darmi più soldi e di non mandarmi in nessuna clinica per disintossicarmi se non avessi finalmente deciso io stesso di smetterla con la droga. Ha  finto di non occuparsi più di me che ero a Los Angeles, ma mi faceva sorvegliare da lontano. Quando stavo per tornare in Italia, dove mi sarei curato dalla tossicodipendenza nella comunità di San Patrignano da Vincenzo Muccioli,  sapevo che non avrei più rivisto Body, lo sapeva anche Body e mi ha detto: ‘’ Non sei fatto per questo posto, ne sono felice.  Forse ti salverai’’.  

Invece, il rapporto con sua madre Maura com’è stato?

Mia madre è stata assente nella stessa misura di mio padre, perché era sempre con lui. Più di una volta ha cercato di mediare tra me e mio padre, dicendomi che non dovevo seguire tutto quello che lui mi  diceva sul successo e sul fallimento. Però non l’ho ascoltata,  perché mi faceva anche comodo non farlo.

Oggi il rapporto con suo padre?

È un rapporto fatto di tenerezza, soprattutto da parte mia che lo vedo invecchiare, e di assidua frequentazione. Io vivo a Città delle Pieve e lui a Roma, ma vengo a Roma tutte le settimane e curo la sua agenda da anni, i suoi appuntamenti, gli faccio da manager e da ufficio stampa. Ora purtroppo sta molto male, soffre di diabete di primo grado, incurabile, e poi è anche depresso, non reagisce. L’ultima volta, qualche giorno fa gli ho detto di tirarsi su di morale per me e per mia madre e lui ha risposto: ‘’Io non faccio questo genere di favori’’.

Che cosa avrebbe desiderato fare da grande Piero Villaggio se non fosse stato il figlio del popolare ‘’Ragionier Fantozzi’’?

L’attore. Un paradosso, vero? Mi dicono che somiglio un po’ a Sean Penn. Chissà, magari non è troppo tardi.

 

*Di Mariagloria Fontana. Intervista già pubblicata sul settimanale ''Visto''.

Mariagloria Fontana

Scrittrice e giornalista. Laurea magistrale in Storia e Critica del Cinema. Consegue il Master in Giornalismo e Comunicazione Pubblica all'Università di Tor Vergata di Roma. Nel 2017 pubblica il suo primo romanzo "La Ragione era Carnale" (Armando Curcio editore). Ha scritto per "Il Fatto Quotidiano", "MicroMega", "Viaggi del Corriere della Sera", "Huffington Post", "Affaritaliani". È stata fondatrice e direttrice del sito femminile di costume "Le città delle donne". Ha un programma di libri, "Affari di libri", in cui intervista gli scrittori in onda sulla emittente radiotelevisiva "Radio Radio".

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