Opinioni

La Roma “gender” di Gualtieri: i bimbi indottrinati già all’asilo

Ma davvero non ha nulla di più serio e urgente di cui occuparsi, il sindaco di Roma? Non del traffico, sempre caotico? Non del trasporto pubblico? Non della pulizia della città? Non delle aree in cui il degrado regna sovrano, da quelle infestate dagli sbandati più o meno fuori controllo, come la Stazione Termini, alle piazze di spaccio in servizio permanente effettivo, come ad esempio Tor Bella Monaca?

Come contrastare le disuguaglianze

L’elenco, si intende, potrebbe continuare. La Capitale d’Italia è talmente piena di problemi, spesso incancreniti e mai risolti, che l’attenzione e le energie di chi la governa dovrebbero essere totalmente assorbite dallo sforzo di trovare dei rimedi. A partire da quelle che sono le priorità reali. Ossia le questioni che incidono di più sulla vita concreta e quotidiana dei cittadini.

La prima tentazione è di liquidarla così, la circolare con cui il Comune di Roma ha ribadito ciò che aveva annunciato nel maggio scorso. Oggetto: Piano di aggiornamento 2023/2026 “Il nido e la scuola dell’infanzia per contrastare le disuguaglianze e costruire opportunità per tutte e tutti”.

Nel calderone ci finiscono diverse cose. Ma la peggiore è questa: è la decisione scellerata con cui la Giunta capitanata da Roberto Gualtieri mira a trasformare gli asili nido in centri di rieducazione collettiva. Dove, con la scusa di “de-costruire gli stereotipi di genere ed educare alle emozioni e alle relazioni”, si spingono i bambini ad abbracciare i fondamenti della cosiddetta Teoria Gender. Vale a dire: maschi e femmine non si nasce, ma lo si diventa.

La Natura non c’entra ed è tutta questione di come si viene cresciuti: la causa (la colpa…) va fissata nei modelli dominanti. Che sono di per sé arbitrari e che perciò ingabbiano i piccini in schemi obbligatori, soffocanti, oppressivi.

Schemi dai quali, ci mancherebbe, vanno liberati il prima possibile.

Genderfluid, una teoria folle, ma dilagante

Precisiamolo meglio, questo approccio che fino a pochi anni fa sarebbe stato letteralmente impensabile. L’idea, chiamiamola così, è che i neonati vengano al mondo senza nessuna identità psicosessuale predefinita, al di là delle evidenti differenze anatomiche. Pertanto, bisognerebbe acconsentire, o persino incentivarli, a orientarsi come meglio credono. Avere un pene, o al contrario una vagina, è un mero accidente della sorte: il “maschietto” potrà diventare una “femminuccia”, se così si sente, e ovviamente viceversa.

Non solo: chi lo preferisce, fin dalla più tenera età, potrà oscillare di continuo tra l’uno e l’altro genere. A volte maschio, a volte femmina. Oppure, perché no, una combinazione assortita e mutevole di entrambi.

La definizione/lasciapassare esiste già: “genderfluid”. Il riverbero scolastico, a sua volta, è già previsto e praticato: la “carriera alias”. Il piccino sarebbe Leonardo, all’anagrafe, ma non ci si ritrova e gradisce che lo si chiami Giulietta (o magari Britney). La piccina si chiama Sofia ma siccome odia le gonne e le bambole, mentre le piacciono i pantaloni e i martelli (le pistole no, non sia mai), preferisce un gagliardo Oscar. Che è pure mezzo internazionale e perciò, wow, ancora più inclusivo.

Come usava dire Maurizio Costanzo, “Che sarà mai?”.

Vedi alla voce “Pubblica Istruzione”

L’abbiamo definita “idea”. Ma ormai si è già irrigidita in un’ideologia della peggiore specie, tanto dogmatica quanto aggressiva.

Un’ideologia che viene diffusa in mille modi e, in particolare, attraverso ciò che fa leva sull’emotività e quindi incide di più, e nel modo più subdolo, sull’immaginario collettivo: il mondo dello spettacolo. Dai prodotti mediatici, con le fiction in primo piano, ai comportamenti e alle dichiarazioni delle star di turno.

Ma il mondo dello spettacolo, se non altro, si può decidere di evitarlo. Direttamente, se si è sufficientemente grandi da ragionare con la propria testa. Indirettamente, se si è ancora troppo piccoli ma si hanno dei genitori degni di tal nome che sorvegliano con la dovuta cura ciò che i loro figli guardano in televisione, o su Internet.

Un’operazione come quella di Gualtieri, invece, non dà scampo. A meno di evitare di mandare i propri bambini negli asili comunali – cosa che per moltissime famiglie è una necessità inderogabile – li si consegna di fatto a una propaganda a senso unico. Che soprattutto su temi di questo rilievo e di questa delicatezza non può essere rimessa alle scelte di un’amministrazione locale.

Gli asili nido, infatti, sono il prologo della scuola. E la scuola, la Pubblica Istruzione, è di per sé un ambito nazionale.

Se finora si è lasciato che a gestire gli asili fossero i Comuni è solo perché non si poteva immaginare che ci si spingesse così in là, trasformando le attività di bambini tanto immaturi e malleabili – la cui età, ricordiamolo, va da zero a sei anni – in un addestramento capillare ai dettami dell’ideologia gender.

Ora che questa distorsione è emersa, in una realtà vasta e importantissima come Roma, è essenziale che il Parlamento intervenga. E che i cittadini contrari a questo indottrinamento forzato e perverso si mobilitino per far sentire tutta la potenza del loro dissenso.

Del loro rifiuto.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia

Redazione

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