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Religione, e i due discepoli seguirono Gesù

Dopo il prologo introduttivo, il vangelo di Giovanni presenta una serie di incontri del precursore di cui precisa la sequenza temporale nell’arco di una settimana. Il terzo di questi incontri è quello che viene letto (Gv. 1, 35-42) nella domenica odierna: è sempre il Battista a mettere in moto l’azione; vedendo Gesù che questa volta “passa”, si allontana, lo indica a due suoi discepoli: Andrea e l’evangelista stesso. Essi seguono l’implicito suggerimento del maestro e vanno dietro a Gesù, il quale si volta e rivolge loro una domanda: “che cosa cercate?” (v. 38).

“Maestro, dove dimori?” Riconoscendolo come maestro, i discepoli si dichiarano implicitamente pronti a seguirlo e gli chiedono dove “dimora”. La domanda, al di là di un significato locale, peraltro molto generico, ha un ricco senso teologico e cristologico: essa riguarda l’esistenza di Gesù, il mistero della sua persona e dove risiede questo mistero. Altrove Gesù dirà che egli dimora nel seno del Padre e vuole che nella casa del Padre ci siano anche i suoi discepoli. “Venite e vedrete”: Gesù che è la Via invita i discepoli a venire, e vedere la sua unità con il Padre. E’ l’invito a fare una diretta esperienza personale di Gesù che conduce alla fede.

Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio” (v. 39). Questa piccola notazione cronologica è un vivo ricordo personale, che, nella sua emotiva e ricca semplicità, conferma il fondamentale valore storico del vangelo.

Il racconto continua con un altro incontro: Andrea parla al fratello Pietro e gli comunica la sua scoperta: “Abbiamo trovato il Messia” (v. 41), in parallelo a quanto aveva fatto il Battista, sulla base non di una visione straordinaria, ma della comunione alla vita di Gesù il pomeriggio precedente. E’ curioso come si stiano accumulando titoli su Gesù senza che finora egli abbia detto una parola sulla sua dottrina. Questa idea viene rinforzata dal fatto che anche Andrea “conduce” il fratello “da Gesù”. L’evangelista Giovanni sottolinea la relazione interpersonale, l’incontro, lo stare alla presenza del Rabbì Messia. Quasi che le parole che lui potrà dire si condensino e si realizzano tutte nel suo farsi vicino e rendersi disponibile all’interazione vissuta, nel “dimorare” con Gesù.

Quanto poi Gesù dice non è una dottrina annunciata in termini generali, diretta a delle masse. Piuttosto, è una comunicazione strettamente personale, e riguarda l’identità di Pietro: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa (Pietro)” (v. 42). Le parole in realtà sono persone, l’insegnamento consiste nello stare insieme (cfr. Mc. 3, 14), ed è così forte da trasformare l’identità di quanti ne sono parte. In questo inizio l’evangelista Giovanni racconta il darsi, polarizzato su Cristo, come di un coagulo di esseri umani, il crescere della vera vite dove scorre una linfa divina, la vita del Maestro.

Il vangelo “compie” il messaggio della prima lettura (1Sam. 3, 3-10.19)

Si vede innanzitutto una corrispondenza con la chiamata del piccolo Samuele. Il mistero della chiamata si dà all’interno del dinamismo di relazioni interpersonali. E’ attraverso queste relazioni che la parola di Dio viene percepita e riconosciuta come tale, nella sua potenza e mistero. Anzi, il vangelo mostra chiaramente che quanto prima veniva rivelato attraverso voci misteriose e visioni (la voce del Padre e la visione della colomba sul capo di Gesù nel battesimo sul fiume Giordano) ora si fa presente nella persona tangibile di Cristo, nella cui casa si può abitare. Poi, il non lasciar cadere la Parola (“Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole” v. 19), diventa trasmissione di esperienze e invito a seguire, ad abitare insieme alla presenza del Maestro.

In margine a queste riflessioni ci chiediamo dove sono “oggi” i “Giovanni Battista”, gli “Andrea”, questi “testimoni – facilitatori” dell’incontro con Gesù? In generale un testimone attesta un rapporto personale con un evento o una persona non immediatamente visibili, aiutando ad accertarne l’identità. Che cosa può voler dire essere testimoni che aiutano a incontrare Gesù? Anzitutto, il testimone è “un profeta dell’incontro”, nel senso che è in grado di incontrare gli altri non per consumare o contendere le futilità strumentali (social network?) a portata di mano, ma per andare oltre, per sporgersi insieme sul mistero della trascendenza, grazie all’incontro con Gesù Cristo. Ma può incontrare gli altri solo chi si lascia davvero incontrare da Lui, continuando instancabilmente a cercarlo. Se poi “i testimoni” sono molti allora la testimonianza di una comunione fraterna fa apparire la chiesa “attraente e luminosa”. Per questo il vero testimone non è mai un “solista” malato di protagonismo, non deve confondere la radicalità della dedizione con l’eccesso di esibizione.

Infine, la testimonianza, più che un singolo gesto clamoroso, è essenzialmente un processo creativo e generativo, un dinamismo inquieto mai noiosamente ripetitivo e comodamente conformista, acerrimo nemico dell’abitudine, e che dura tutta la vita. E’ a questo genio creativo della testimonianza che dobbiamo affidarci, se vogliamo realmente contrastare le nostre stanche celebrazioni, accettando l’invito del Maestro a “rinascere dall’alto” (Gv. 3, 3).

Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Alici, 2018.

Redazione

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