A 30 anni da Vermicino, Riviviamo la storia che commosse l’Italia

Erano gli anni del terremoto in Irpinia, delle Brigate Rosse, ma il dramma di Vermicino strinse tutti gli italiani attorno al quel maledetto pozzo

Il 10 giugno del 1981 è una data destinata a rimanere nella memoria degli italiani. Sono passati 37 anni, ma il nome di Alfredino Rampi risuona in modo chiaro nelle menti di quanti all'epoca hanno assistito attraverso il televisore alle drammatiche fasi dei tentativi di salvataggio del piccolo Alfredo. Una storia che ha segnato profondamente tutti quelli che l’hanno vissuta, anche solo come spettatori. Da quella storia terribile, da quei momenti carichi di angoscia e dolore vide la luce la Protezione Civile che tutti conosciamo.

Riviviamo, con l'aiuto della Protezione Civile, la triste vicenda che commosse un Paese intero, iniziata alle porte di Roma, a Vermicino, con una passeggiata di Alfredo Rampi, un bambino di 6 anni, con il suo papà, in località Selvotta, una zona di campagna nel territorio di Frascati, in provincia di Roma. Il bambino chiede e ottiene il permesso di rientrare da solo a casa. Soltanto pochi metri lo separano dall’abitazione dei nonni, ma non vi farà mai ritorno.

Allarmati dal ritardo, i genitori Fernando e Franca Rampi iniziano le ricerche del figlio nella campagna circostante. Alle 21.30 decidono di chiamare la Polizia, che accorre sul posto con unità cinofile. Gli agenti localizzano il bambino intorno alla mezzanotte. I lamenti del piccolo Alfredo, per tutti Alfredino, provengono da un pozzo artesiano, coperto con un bandone di lamiera. Poco dopo arrivano da Roma anche i Vigili del Fuoco. Il pozzo è largo 30 centimetri e profondo 80 metri. Alfredino è bloccato a 36 metri.

Subito si studia un modo per parlare al bambino, per confortarlo, per fargli capire che presto sarà libero. Viene calato nel pozzo un microfono. Per ore il Vigile del Fuoco Nando Broglio cerca di tenere sveglio Alfredino e di non fargli perdere le speranze, raccontandogli delle storie, promettendogli di portarlo con sé su un mezzo antincendio dei pompieri, e instaurando con lui un rapporto di fiducia. Un primo frettoloso tentativo di salvataggio si compie in queste ore: i Vigili calano nel pozzo una tavoletta di legno.

L’obiettivo è fornire un appiglio al bambino, per poterlo issare, ma a 25 metri di profondità la tavoletta si incastra, a causa di un restringimento del pozzo. Giovedì 11 giugno, alle quattro del mattino, si attiva anche un gruppo di speleologi del Soccorso Alpino con l’obiettivo di raggiungere la tavoletta incastrata, rimuoverla, ed estrarre Alfredino dal pozzo che è diventato la sua prigione. Il primo a tentare è Tullio Bernabei – un ragazzo di 22 anni – che resta venti minuti nel cunicolo senza raggiungere la tavoletta. Dopo di lui prova Maurizio Monteleone, ma neanche il suo tentativo va a buon fine.

Entrambi riescono a stabilire un contatto con il bambino, che è vigile, parla, risponde alle loro domande. La situazione di partenza è dunque ulteriormente complicata da un ostacolo che fa da“tappo” e rende ancora più delicate le operazioni di salvataggio. È a questo punto che l’allora comandante dei Vigili del Fuoco di Roma, Elveno Pastorelli decide di scavare un pozzo parallelo, e una galleria trasversale, in modo da raggiungere Alfredino e liberarlo.

Per eseguire lo scavo occorre con urgenza una trivella e i soccorritori lanciano un appello attraverso le emittenti radio-televisive. Alle 8.30 la trivella è disponibile e prendono il via i lavori di scavo. Nel frattempo, nella sede Rai di via Teulada iniziano ad arrivare le prime immagini dei soccorsi, con la voce del bambino catturata da un microfono calato nel pozzo. In chiusura del Tg1 delle 13.30 il bambino sta per essere tratto in salvo.

E’ questione di minuti, dicono i soccorritori, e il giornalista inviato a Vermicino chiede di non interrompere il collegamento. La realtà si rivela però molto diversa dal pronostico dei Vigili del Fuoco. Sotto un primo strato superficiale, infatti, il terreno è roccioso, e i lavori di scavo proseguono a rilento. Il caso di cronaca locale, di cui si attendeva rapidamente il lieto fine, si trasforma in un dramma partecipato, che si consuma sotto gli occhi di milioni di persone e stravolge i palinsesti per 18 lunghissime ore di diretta televisiva. C’è una sola telecamera Rai sul pozzo. Rai1 e Rai2 seguono l’evento a reti unificate.

Nel pomeriggio del 12 giugno anche Rai3, nata nel 1979, si collega da Vermicino per alcune ore. Da quel momento Alfredino entra nella vita degli italiani. Un bambino a cui milioni di persone danno un volto grazie a quell’unica fotografia che lo ritrae magro, sorridente, con una canottiera a righe orizzontali. Per accelerare i tempi di scavo la ditta “Geosonda” mette a disposizione una nuova e più potente trivella ma, anche con questo attrezzo, che entra in funzione alle 16.00, il tempo stimato per scavare la galleria alla profondità necessaria è di 8-12 ore.

Nel frattempo cresce anche la preoccupazione per la salute del bambino che, affetto da cardiopatia congenita, alterna silenzi a momenti di vigile partecipazione e si trova nel pozzo in gravissime condizioni da 21 ore.

Sono migliaia le persone accorse sul posto, assiepate attorno al pozzo per seguire da vicino le operazioni di soccorso. Curiosi, in gran parte, ma anche autorità locali e volontari. Gli stessi volontari che intasano i centralini della Rai e dei Vigili del Fuoco offrendo il loro aiuto o i loro suggerimenti per salvare il bambino. Alle 21.30 dell’11 giugno Alfredino è nel pozzo da 27 ore. Pur continuando a scavare il tunnel parallelo con la trivella, si decide di fare un nuovo tentativo di soccorso calando nel pozzo un volontario, Isidoro Mirabella.

Dopo questo ulteriore fallimento, le speranze di salvare il piccolo Alfredo si assottigliano. Il bambino è intrappolato a 36 metri di profondità, alimentato attraverso un tubicino con acqua e zucchero. Gli scavi, invece, sono ancora fermi a 25 metri come racconta la madre – disperata – in un collegamento televisivo all’alba di venerdì 12 giugno. Nel corso della mattinata, dopo 40 ore di permanenza nel pozzo, le condizioni di Alfredino appaiono sempre più preoccupanti. I medici spiegano che non c’è molto tempo per sperare di portarlo fuori dal cunicolo ancora in vita.

Alle 16.30, arriva a Vermicino l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il Capo dello Stato si fa largo tra la folla, intenzionato a restare accanto ai familiari del bambino fino alla fine delle operazioni di soccorso. La presenza del Presidente della Repubblica stringe ancora di più il Paese attorno al piccolo Alfredo. Il terremoto in Irpinia, la crisi di Governo, l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, lo scandalo della lista P2, il rapimento di Roberto Peci, fratello del primo pentito delle Brigate Rosse. È questo il contesto storico su cui galleggia la storia di Alfredino.

Ma per 60 ore gli italiani accantonano il difficile momento che la nazione sta attraversando, uniti da un comune sentire. È alle 19.00 del 12 giugno, dopo 48 ore di tentativi, che i Vigili del Fuoco decidono di accelerare gli interventi e di abbattere la parete che separa il pozzo artesiano dal tunnel. È un momento di grande speranza, che si spezza davanti a una durissima realtà dei fatti: al di là del “diaframma” che separa i due cunicoli, Alfredino non c’è. Probabilmente i lavori di scavo accanto al pozzo artesiano hanno provocato delle vibrazioni nel cunicolo e hanno contribuito a far scivolare il bambino molto più in basso.

In fondo a un abisso che toglie il respiro e accorcia ulteriormente le possibilità di trarre in salvo Alfredino. Il Capo dei Vigili del Fuoco Elveno Pastorelli chiama nuovamente sul posto il gruppo di speleologi intervenuto nella primissima fase dei soccorsi. Tullio Bernabei viene calato nel pozzo con il cestello ancora una volta e resta lì sotto per il tempo necessario a rendersi conto della situazione. Un tempo lunghissimo e in difficili condizioni, durante il quale riesce a vedere il bambino e a misurare, attraverso un cordino, i metri di profondità che li separano.

Dai 36 metri iniziali, il piccolo è scivolato ad oltre 60 metri. A questo punto, l’unica possibilità di salvezza per Alfredino è trovare un volontario di corporatura talmente esile da potersi calare in un pozzo largo 30 centimetri, raggiungerlo, imbracarlo, e riportarlo in superficie. Il primo a tentare, in queste ore disperate, è Claudio Aprile, uno speleologo di 28 anni, scelto anche perché in possesso delle competenze tecniche necessarie per muoversi in un ambiente sotterraneo e in condizioni così critiche. Il passaggio del pozzo è però troppo stretto per lui, nonostante il fisico sottile.

Il secondo volontario individuato è un giovane sardo di 28 anni. Coraggioso, determinato, attento alle indicazioni dei soccorritori e di corporatura minuta, Angelo Licheri appare agli occhi di tutti l’ultima vera, concreta speranza di liberare il bambino. Sono passate 54 ore da quando Alfredo Rampi è caduto nel pozzo. A mezzanotte del 13 giugno Angelo Licheri si cala nel tunnel, il suo corpo esile si ferisce con le pareti di roccia, c’è fango, si scivola, i suoi movimenti sono estremamente limitati.

Licheri vede il bambino, gli parla, cerca di rassicurarlo, ma Alfredino non risponde. Il volontario sente Alfredino respirare a fatica, libera la sua bocca dal fango, prova a cingerlo con una imbracatura ma purtroppo, con uno strattone della corda, la cinghia si sfila dalle braccia del bambino. Anche il tentativo di Angelo Licheri, un tentativo che tiene l’Italia con il fiato sospeso per 45 lunghissimi minuti, si conclude con un fallimento. È un momento drammatico, il tempo corre sempre più veloce, Alfredino è sospeso tra la vita e la morte.

Si arriva persino ad imbracare un ragazzo di soli 15 anni per calarlo nel pozzo, ma un magistrato blocca l’iniziativa data la giovane età e l’inesperienza del volontario. Alle 4.51 di sabato 13 giugno il Presidente Pertini è ancora lì, con la folla silenziosa, con i soccorritori, con la famiglia di Alfredino. È l’ultimo disperato tentativo. Il volontario è Donato Caruso. Uno speleologo di 28 anni. Alle 5.02 il volontario scende incoraggiato e supportato dai soccorritori. Raggiunge il piccolo, tenta di imbracarlo, fallisce. Tenta ancora una volta, dopo una pausa di recupero nel tunnel parallelo.

Caruso torna in superficie senza il bambino e porta con sé una notizia terribile: Alfredino è morto. Il dottor Evasio Fava del reparto di rianimazione dell'ospedale San Giovanni di Roma, presente sul posto, comunica la presunzione di morte. La macchina dei soccorsi si ferma davanti all’evidenza di una giovane vita interrotta. Alle 10.00 di sabato 13 giugno la gran parte della folla sciama lentamente lontano dal pozzo e i riflettori si spengono su Vermicino con le parole di Giancarlo Santalmassi nell’edizione straordinaria del TG2:
“Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte.

"Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all'ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi."

L’11 luglio 1981, a 31 giorni dalla sua caduta, il corpo senza vita di Alfredino Rampi viene recuperato dai minatori della miniera di Gavorrano. Sei giorni più tardi, con la partecipazione di una folla immensa, si tenne il funerale nella Basilica romana di San Lorenzo fuori le mura.  (Foto di repertorio)

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