Coisa mais linda: la telenovela brasiliana che riscatta la sciatteria del genere

A Coisa mais linda si perdonano persino volentieri certi cedimenti registici, forse citazioni ironiche delle più ingenue telenovela

Coisa mais linda

Coisa mais linda, serie tv

Coisa mais linda (La cosa più bella; sul mercato internazionale Girls from Ipanema. Brasile, 2019. 2 stagioni finora uscite, di 7 e 6 episodi rispettivamente, della durata di circa 30-35’ l’uno. Su Netflix.

Stavolta vogliamo coinvolgervi in un azzardo telecinefilo, e molti di voi ci ringrazieranno.

Netflix la cataloga come “serie”; noi diciamo “telenovela”, ma di tutt’altra qualità rispetto alla roba che va in onda sulle tv generaliste fra l’ora di pranzo e il primo pomeriggio.

E’ brasiliana; e, come ai festival, voi potrete vederla sottotitolata in italiano; il sonoro raccomandato è l’originale portoghese, musicalissimo; ma chi conosce anche solo un po’ o ama lo spagnolo potrà trovare molto gradevole (e buon ripasso) ascoltarla anche in quella lingua.

Questi due elementi vi staranno mettendo sulla difensiva, ma noi aggiungiamo subito: provate a vederla, potreste avere una bella sorpresa. I motivi sono tanti.

Prende il titolo da un verso della celeberrima Garota de Ipanema di Joao Gilberto e Tom Jobim. E questo ci fa capire quanto in questa storia la musica giochi un ruolo da protagonista.

Rio de Janeiro, 1960. Maria Luiza è improvvisamente abbandonata dal marito, che fa perdere le sue tracce proprio mentre i due si stanno trasferendo dalla moscia San Paolo in città per aprire un ristorante. Lui le ha anche sottratto tutti i suoi soldi, e questo la costringe a reinventarsi un modo per tirare avanti, lontano dalla famiglia d’origine. Agli albori della bossanova, l’idea è un club de musica, progetto che Maria Luiza, diventata Malù, intraprende controcorrente, dato l’ambiente e il momento storico, a cavallo dei primi anni ’60.

In quest’impresa le saranno vicine altre donne, coprotagoniste della storia, accomunate dalla fatica di inserirsi in un ambiente lavorativo maschilista e misogino. Percorso tortuoso e discontinuo, punteggiato come si deve da colpi di scena ben portati. La conclusione non la sappiamo, la seconda stagione ci lascia sul più bello, con un volo dai piani alti del Copacabana Palace e un cadavere in fondo alla ricca piscina.

Il tema di fondo della serie è di fatto l’empowerment femminile: Malù e l’incomprensione della famiglia ricca e tradizionalista, della gente nei confronti di una donna separata che vuol fare l’imprenditrice e liberarsi del fardello di pregiudizi borghesi della classe sociale a cui è finora appartenuta; Adélia di fronte a pregiudizi di colore e di casta (sì, anche in Brasile in quegli anni), Thereza a una pesante discriminazione maschilista sul lavoro, Ligia anche sul diritto a volerne uno invece di dedicarsi esclusivamente alla carriera del marito.

C’è poi, variamente declinato, il tema della libertà di amare chi si vuole, senza infamanti marchi sociali. C’è sesso, a differenza delle produzioni povere e bacchettone del pomeriggio.

E’ soprattutto un inno all’amicizia femminile, con alcuni momenti addirittura poetici.

Una telenovela colta, dicevamo, un esperimento intelligente e scoppiettante per svecchiare e nobilitare il genere. La storia è fresca e fin troppo animata, i personaggi ben fatti. I dialoghi – che nelle telenovelas sono tutti telefonati, prevedibilissimi, montaggi di frasi fatte che potrebbero essere assemblate da un computer, e che lì tediosamente ed in economia sostituiscono l’azione – qui sono (quasi sempre) credibili ed inseriti in una produzione che non lesina: scenari da bere, colore e ambienti molto ’60, musiche ruffiane dalla grande tradizione brasiliana che spaziano fra il colto e il popolare carioca, con inserti scritti ad hoc.

Alla fin fine, a Coisa mais linda si perdonano persino volentieri certi cedimenti registici, forse citazioni ironiche delle più ingenue telenovelas.

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