Commemorazione dei defunti, giorno santo ma non per il calendario

Il giorno dei defunti non è mai stato ufficialmente istituito come festività civile; questo dovrebbe farci riflettere sulla nostra concezione della morte e perciò della Vita

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In Italia, nonostante molti lo considerino come un giorno festivo, la commemorazione dei defunti non è mai stata ufficialmente istituita come festività civile, e questo forse dovrebbe farci riflettere sulla concezione della morte e perciò della vita (!), nel nostro paese e in Occidente, nonostante la radicata e forte tradizione cristiana e cattolica.

Così come dovrebbe indurci a ragionare sulla considerazione che abbiamo per chi non è più fisicamente al nostro fianco. Eppure l’uomo da sempre seppellisce i suoi morti, compiendo un atto che è al di fuori di una funzione strettamente legata all’utile. Un atto sacro, cioè rivolto al trascendente. Un atto di confine, in quanto crea un ponte con una dimensione che però resta inaccessibile.

Per filosofo francese Michel Foucault il cimitero è luogo eterotopico, ossia “un’utopia situata”, uno spazio che al contempo rappresenta e sovverte un significato, un luogo che neutralizza o purifica tutti gli altri luoghi sociali dell’uomo.

L’intervista a Don Luigi Guglielmoni

Riportiamo qualche passo dell’intervista a Don Luigi Guglielmoni, sacerdote della diocesi di Fidenza esperto dei riti di congedo, da Avvenire. “Con la preghiera accanto alle tombe dei nostri cari possiamo imparare, anche del Covid, l’arte di ricominciare” spiega Don Luigi.

“Quello che ho potuto sperimentare durante tante esequie avvenute durante i mesi di restrizioni sanitarie e di lockdown è stato quello di raccogliere la rabbia e l’impotenza di tante persone che non hanno potuto partecipare al rito di congedo dei loro cari”.

La cosa che è mancata di più è stato il poter salutare, per l’ultima volta, i propri cari, sostare con un silenzio interiore ed esteriore di fronte alle bare, infilare un biglietto o una foto vicino alla salma che dicesse tutto di quelle vite che non ci sono più. Credo che questi gesti così semplici ma anche simbolici che sono mancati a causa della pandemia permettano ora nella normalità di questi giorni di elaborare, per quanto possibile, un lutto che rimane comunque per chi rimane qui una potatura violenta dei propri affetti”, spiega il sacerdote.

La perla della rinascita

Guglielmoni rievoca l’immagine dell’ostrica e della perla nei testi di Gustave Flaubert. Il dolore è la perla dell’ostrica: la perla è una sorta di scarto dell’ostrica, qualcosa che il mollusco deve espellere. Tuttavia per liberarsene deve fare un lavoro su questo agente nocivo. Oggi sappiamo che la perla si forma quando un corpo estraneo irrita l’animale. Ma come fa la creatura a depurarsi? Accetta, integra nelle proprie mucose quel corpo estraneo operando su di esso.

Per questo il dolore, che ci accomuna, ma che in ciascuno è unico, è una realtà di infinito pregio.

Non diciamo questo in quanto consolazione, ma in quanto opportunità di trasformazione. “Il dolore è come un raffinamento di noi stessi una più intensa e completa penetrazione la nostra anima nella nostra realtà” spiega il religioso.

Come ci spiegano anche la psicologia e l’antropologia i riti e le cerimonie ci consentono di visualizzare la perdita, elaborare il lutto, di partecipare in qualche modo all’addio, in quanto l’essere umano ha bisogno di simboli e gesti per interpretare, tramutare e convertire le proprie emozioni in un gioiello unico e prezioso, proprio come la perla di Flaubert.

Tornare al cimitero per una carezza alla lapide, donare un fiore, pronunciare una parola a chi ci ha lasciato o concentrarsi sul silenzio, ci restituisce in realtà una forza, una speranza, un canale verso la vita e non verso la morte. La morte non interrompe la vita ma la espande in un orizzonte di senso eterno. La morte è all’interno della Vita e non viceversa.

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