Simboli, dolci e tradizioni di Pasqua. L’uovo, la colomba e il grano

La locandina di Apicio è la rubrica di gastronomia di Domenico di Catania, consulente economista e chef

Vi sarete tante volte chiesti il perché a Pasqua ci si riempie di uova di tutti i tipi di cioccolata, di colombe dai più svariati ripieni e della famosa pastiera di grano napoletana che ormai è diventata italiana. In questo articolo, parlando un pò meno di cucina, cercherò di svelare, spero in maniera abbastanza esaustiva, quali sono i significati simbolico religiosi dei questa “triade dolciaria”.

L’uovo

La domenica di Resurrezione nei tempi antichi veniva chiamata anche Pasqua d’Uovo perché la si festeggiava donando e mangiando uova sode colorate, precedentemente benedette in chiesa; Una volta la Chiesa benediva, il sabato santo, le uova che si sarebbero mangiate la domenica. A Roma, i parroci che si recavano nelle case dei fedeli per la benedizione pasquale benedivano anche le uova che i fedeli presentavano loro.

L’uovo è il simbolo del Cristo risorto e della speranza nella futura resurrezione dei fedeli in Lui ma di fatto in ogni tradizione l’uovo è simbolo di «nascita» e di resurrezione. Omne vivum ex ovo (Ogni essere vivente proviene dall’uovo), dice un proverbio latino. Colui che sussiste per sé stesso volle creare il cosmo dalla propria sostanza: creò dapprima le acque deponendovi un uovo splendente come il sole. Dentro l’uovo galleggiante nacque Brahma che vi rimase nascosto per un anno intero; poi Dio divise l’uovo in due parti formando il cielo e la terra, e lasciando nel mezzo le acque.

Nella mitologia greca si narra che in principio esisteva la Notte nelle sembianze di un grande uccello e fecondato dal Vento depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità. Dall’uovo balzò Eros dalle ali d’oro portando alla luce quel che vi era nascosto: il cosmo intero con le sue creature.

Ma l’uovo è anche simbolo della resurrezione come un sepolcro dove stia riposando un principio di vita che un giorno sboccerà alla luce. Per questo motivo nelle tombe dei martiri, a Roma, si sono ritrovate uova simboliche di marmo: come ad esempio nei sepolcri di santa Balbina e di santa Teodora.

L’Uovo di Resurrezione per eccellenza è il Cristo stesso: in molte cattedrali si deponeva una volta, il giovedì santo, un uovo di struzzo nel sepolcro rituale insieme con l’Eucaristia, e lo si ritirava il giorno di Pasqua cantando: Surrexit Dominus vere: alleluia!

Da questo simbolismo è nata l’usanza dell’uovo pasquale.

Ugualmente antica è la tradizione di donare uova vere oppure di vari materiali pregiati. Già nel secolo XII in molti paesi europei si usava donare uova benedette mentre la nobiltà si scambiava uova d’argento o d’oro, abbellite di gemme, perle e smalti. Più tardi nascerà l’usanza di celare nell’uovo di Pasqua una sorpresa. Nel secolo XVI viene offerto a Francesco I, re di Francia, un guscio d’uovo che contiene un’incisione in legno raffigurante la Passione.

L’usanza si diffuse rapidamente nella Francia del re Sole al quale i cortigiani donavano uova raffinate la domenica di Pasqua: i maggiori pittori dell’epoca le dipingevano amorevolmente. Nel Settecento Luigi XV donò a Madame du Barry un grande uovo decorato che conteneva una statuina di Cupido creata dall’orafo di corte.

Fra il 1985 fino agli inizi del 900 continuo l’usanza regalare uova smaltate o in porcellana o in lapislazzuli o in vetro o addirittura in oro e in argento, decorate con scritte e simboli pasquali prime fra tutte le famose Uova del gioielliere Fabergé.

Le attuali uova di cioccolato le troviamo nei supermercati e nella pasticcerie di tutti i tipi dalla cioccolata al latte al cioccolato con frutta secca ai vari tipi di fondente a quella bianca ma chiaramente non sono più benedette dalla chiesa.

La colomba

Alla fine del trionfale pranzo pasquale, già secondo l’antica usanza ebraica, un dolce in forma di colomba è d’obbligo e in questa occasione può simboleggiare sia il Cristo sia lo Spirito Santo, infatti secondo la tesimonianza del Battista riferita da Giovanni l’evangelista: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui» nella Chiesa primitiva, invece prevaleva ancora il simbolismo cristico “Il Padre, prima della venuta del Cristo” , spiegava il primo bestiario cristiano, Il Fisiologo, «ha inviato come colombe, perché chiamassero tutti alla vita, Mosè, Elia, Samuele, Geremia, Isaia, Ezechiele, Daniele e gli altri profeti, e nessuno di loro è riuscito a condurre alla vita gli uomini; ma quando è stato inviato dal Padre il Signor nostro Gesù Cristo dai cieli, Egli ha condotto tutti alla vita con il proprio sangue dicendo: “Venite a me tutti voi che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”.» Anche Tertulliano affermava: «La colomba è solita indicare il Cristo»; e Prudenzio: «O Cristo, tu sei per me la potente colomba che vince l’uccello gonfio di sangue».

Anche nel medioevo la colomba continuò a simboleggiare, oltre allo Spirito Santo, il Cristo, come testimonia il Bestiario divino di Guglielmo di Normandia, e anche quello di Filippo di Thaun che afferma: «La colomba significa Gesù, figlio di Maria, e noi siamo le sue colombe». Si usavano cibori d’argento in forma di colomba con un’apertura sul dorso, dov’erano contenute le ostie: erano simboli del Cristo che donava ai fedeli il proprio corpo.

Era, ancora, uno dei segni che simboleggiavano la Grande Madre, dea delle civiltà mediterranee, e rimandava alle idee di purezza e di pace. Per i Greci, la colomba era tra gli animali sacri ad Afrodite. Per le antiche culture mesopotamiche, e in seguito per gli alchimisti, la figura della colomba bianca indicava lo Spirito che pervade la Materia.

Che simboleggia dunque la colomba pasquale?

Occorre una premessa: un oggetto, un animale, una pianta possono suscitare simboli diversi; per capire a che cosa alludano bisogna studiarli nel contesto in cui sono situati. Ma la colomba che mangiamo al termine del pasto non è facilmente identificabile: può essere il simbolo del Cristo che porta la pace agli uomini di buona volontà, ma potrebbe essere anche il simbolo dello Spirito Santo che scende sui fedeli grazie al sacrificio del Redentore, come insegna la liturgia del battesimo e della confermazione strettamente collegata alla Pasqua.

La pastiera

La Pastiera è un dolce di pastafrolla, ricotta, uova e grano, nato ufficialmente a Napoli nell’antichissimo monastero di San Gregorio Armeno dove le monache vollero celebrare la Risurrezione creando un dolce che fosse carico di simboli. Un dolce che unisse il profumo dei fiori dell’arancio del giardino conventuale con la bianca ricotta ed il grano e le uova simbolo di nuova vita, l’acqua di mille fiori odorosa come la primavera, col cedro e con le spezie asiatiche.

Negli simbologia degli ingredienti quindi, compare oltre all’uovo, un altro elemento comune a tutti i preparati di questo periodo, il grano. Il grano è simbolo di vita; dal grano si ricava la farina con la quale si prepara il pane che è il cibo per eccellenza e che ci richiama l’eucarestia. Ma c’è un’altra cosa da considerare; per ottenere la farina, il grano deve subire un processo di battitura e deve passare per una macina per essere ridotto quasi in polvere; questo ci ricorda in simbolo la passione di Cristo che è stato umiliato e battuto prima di andare in Croce (gli schiaffi, gli sputi, le frustate, ecc.). La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo per poi consumarla il lunedì in Albis.

E infine le ricette…

Per i miei lettori voglio regalare la ricetta della Pastiera di grano tratte da un vecchio libro di pasticceria napoletana

INGREDIENTI

INGREDIENTI PER LA FROLLA (PER UNO STAMPO DA 20 CM ALLA BASE E 26 IN SUPERFICIE )

Farina 00 315 g

Strutto freddo 180 g

Zucchero 135 g

Tuorli 3

PER CUOCERE IL GRANO

Latte intero 250 g

Grano cotto 350 g

Strutto 30 g

Scorza di limone 1

PER LA CREMA

Ricotta vaccina 200 g

Ricotta di pecora 200 g

Zucchero 350 g

Uova 3

Cedro candito 50 g

Arancia candita 50 g

Acqua di fiori d’arancio 15 g

Cannella in polvere 1 pizzico

Baccello di vaniglia 1

PER UNGERE E INFARINARE LO STAMPO

Strutto q.b.

Farina 00 q.b.

PREPARAZIONE

Per preparare la pastiera napoletana iniziate dalla pasta frolla. In una ciotola versate la farina e lo zucchero, poi unite lo strutto e iniziate ad impastare a mano. Non appena avrete ottenuto un composto sabbioso unite anche i tuorli. Lavorate ancora con le mani e non appena avrete ottenuto un composto uniforme trasferitelo su un piano di lavoro. Continuate a lavorare l’impasto, giusto il tempo di compattare gli ingredienti, fino a che avrete ottenuto un panetto liscio ed uniforme. Avvolgete nella pellicola per alimenti e lasciate riposare per un’oretta in frigorifero. Nel frattempo versate il latte in un pentolino, aggiungete il grano precotto, lo strutto e la scorza del limone grattugiata. Accendete il fuoco e mescolando spesso, lasciate cuocere per circa 20 minuti a fuoco medio fino ad ottenere un composto cremoso e lasciate raffreddare. Solo quando sarà ben freddo iniziate a preparare la crema. In una ciotola setacciate sia la ricotta vaccina che quella di pecora; Unite lo zucchero e mescolate con una frusta o con una spatola. Aggiungete poi le uova e il grano ormai freddo. Aggiungete anche i semi della bacca di vaniglia; poi tagliate a cubetti sia l’arancia che il cedro candito e inseriteli nel composto, insieme ad un pizzico di cannella e all’acqua di fiori d’arancio. A questo punto mescolate il tutto per amalgamare tutti gli ingredienti e passate alla composizione della pastiera. Ungete con lo strutto e infarinate uno stampo in alluminio da pastiera da 20 cm alla base e 26 cm in superficie. Poi riprendete la pasta frolla e iniziate a stenderla con il mattarello fino ad ottenere uno spessore di circa mezzo cm. A questo punto trasferitelo nello stampo e con le mani fate in modo che aderisca bene su tutta la superficie. Eliminate poi l’eccesso di pasta con un coltellino e impastatelo nuovamente, servirà per realizzare le losanghe. Versate poi la crema all’interno del guscio di frolla e livellatela. Quindi stendete il resto della pasta, sempre fino ad ottenere uno spessore di mezzo cm e realizzate le losanghe, larghe circa 1 cm e mezzo con una rotella taglia pasta. Poi posizionatele sulla pastiera prima in un verso e poi nell’altro, avendo cura di far coincidere le estremità con i bordi dello stampo. A questo punto cuocete in forno statico preriscaldato a 180° per circa 80 minuti, avendo cura di spostare la pastiera sul ripiano più basso negli ultimi 20 minuti di cottura. Se le losanghe dovessero scurirsi troppo coprite la pastiera con un foglio di alluminio. Poi sfornate la pastiera napoletana e lasciatela raffreddare completamente. Prima di servirla potete spolverizzare la superficie con dello zucchero a velo a piacere.

Buona Pasqua di pace e serenità

Domenico di Catania

Food Consultant

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