Spesa alimentare: le aziende contadine vendono direttamente ai consumatori

Il consumatore è chiamato a farsi sempre più professionista della spesa alimentare, a informarsi sui flussi delle merci e sulla filiera

Vigneto

Vigna nel territorio laziale

La sfida del futuro è poter incidere, come consumatori, affinché il mercato alimentare si orienti sempre più verso la salubrità dei prodotti, inducendo chi coltiva e alleva a seguire la domanda che viene dai ristoratori e dai loro clienti. L’industria dovrebbe adeguarsi e lo farà.

Non è una rivoluzione ma una opportunità che dovremo saper cogliere, come consumatori di cibo. Tra le sfide dei prossimi anni ci sarà quella di ristabilire una appropriata dimensione del rapporto qualità (o salubrità) – prezzo nei prodotti agricoli al consumo e una difesa delle produzioni sane.

Sono cresciute parecchio le iniziative delle aziende contadine per vendere direttamente ai consumatori i propri prodotti, con ampia soddisfazione di questi ultimi, che si organizzano anche in “consorzi spontanei” di acquisto. Certamente non è una soluzione applicabile su larga scala e nemmeno può rappresentare una risposta adeguata a questo problema nel futuro.

Chi acquista determina il mercato

Si osserva un dinamismo e una selettività nel mondo della alimentazione, che fa ben sperare sul comportamento sempre più razionale dei consumatori. In fondo chi acquista ha, nel momento dell’acquisto stesso, il controllo del mercato. Ha il denaro contante (o il bancomat) in mano e sceglie. Il problema è se sceglie in base ai condizionamenti pubblicitari, marche, colori, emotività o se sceglie in base ad una valutazione commerciale logica e quindi in base al proprio interesse.

Non sempre quello che costa meno è quello che conviene. In genere i professionisti, per esempio i cuochi, sanno come spendere al meglio i propri soldi nell’ approvvigionamento quotidiano. La scelta non avviene in base al prezzo ma in base allo scarto. Si tratta di valutare quanto del prodotto va nel piatto e quanto va gettato, sia esso un pezzo di carne o un pesce o un vegetale. I legumi hanno pochissimo scarto, tra i vegetali ci sono enormi differenze tra lo scarto delle zucchine e del broccolo e quello dei fagiolini verdi o della lattuga, i pesci variano molto da caso a caso.

Bisogna saper scegliere anche in base alla qualità del prodotto: come direbbe Catalano meglio un crostaceo più grande e saporito di uno più piccolo e insapore, ma il problema è di saperlo in anticipo e di riconoscere sul bancone quale sia la scelta appropriata. Come sempre è la conoscenza che fa la differenza. Il consumatore è chiamato a farsi sempre più “professionista”, a informarsi sui flussi delle merci e sulla filiera. In questo molto possono fare i media e le associazioni di categoria.

Non si compra con gli occhi ma con la testa

Tornando al nostro momento dell’acquisto, in genere il consumatore è portato a fare il conto cosiddetto “della serva”: quello che costa meno, quello che mi fa rientrare nella previsione quotidiana o settimanale di spesa, va bene, oltre no. Così si scartano prodotti biologici, sani, gustosi e talvolta anche i più vantaggiosi, a favore di prodotti che sembrano più economici e che invece o non lo sono o non sono altrettanto “sani”. Penso a tanti articoli precotti, già pronti, da mettere in padella e che si rivolgono a chi non fa abitualmente la spesa e non sa cucinare.

L’industria alimentare viene incontro ai pigri, che non sono pochi, anzi credo siano ancora la maggioranza. In genere ti propongono dei prodotti che sembrano economici, facili da gestire, non devi fare altro che buttarli in una padella e accendere il fuoco.  Se leggi bene l’etichetta però ti accorgi che paghi cifre incredibili per la carne di pollo o per le tagliatelle. Quello che compri in realtà è il tempo che risparmi nel fare la spesa e nel cucinare. Un tempo che guadagni ma a che prezzo!

Gli additivi sono quasi dappertutto. I loro effetti si sommano nei nostri corpi.

Non escluderei nemmeno il prezzo più importante, quello della salute. Non è infatti certo se certe sostanze conservanti, o gli additivi che contribuiscono a migliorare l’appetibilità del cibo, siano del tutto innocui nel lungo periodo. Le normative europee infatti stabiliscono dosi massime per gli additivi, i famosi E 280, E 400, E 100 ecc. Una dieta fatta di prodotti nei quali certe sostanze sono presenti, a lungo andare, può dare disturbi od effetti sulla salute dei consumatori. 

Ricerche in tal senso spesso non hanno luogo perché non c’è nessuna industria che abbia voglia di fare investimenti a favore degli interessi dei consumatori. Chi oggi si lamenta della necessità di lasciare “libera” la ricerca si dimentica ovviamente di questo “strano” aspetto della realtà. L’unica ricerca che si finanzia è quella che fa guadagnare di più la grande industria, compresa quella alimentare. Ad altri toccherebbe finanziare la ricerca a vantaggio dei cittadini, ma questo è un altro discorso.

Cresce la ricerca di prodotti biologici

Nel dubbio, quando si trova davanti ai banconi del supermercato, il consumatore moderno tende sempre più a comportarsi come un individuo pensante. Lo indica la tendenza del mercato alimentare in questo periodo. I prezzi salgono, l’inflazione pure, la crisi induce a comprare di meno, a fare scelte oculate.  Tanto che molte aziende stanno correndo ai ripari, ritoccando i prezzi e predisponendo una gamma più vasta di prodotti, con settori di prodotti di qualità, bio o dop o igp, prodotti del territorio, con una tracciabilità certa. Quanto sia sincera questa offerta “bio” non posso giudicare. Se c’è però significa che il consumatore la vuole, la cerca. Inoltre è una tendenza internazionale.

Al ristorante il menù cita il produttore dell’ingrediente

La sensibilità del consumatore comincia a dare i suoi frutti anche nella ristorazione. Mi è capitato personalmente, dato che viaggio spesso, di frequentare i ristoranti e di incontrare “menu” molto ben dettagliati sulla provenienza dei cibi. Dopo la definizione della pietanza viene indicata la provenienza dei prodotti principali, per esempio fagioli di pigna, prodotti dall’azienda tal dei tali, di, ecc., oppure pollo proveniente dall’allevamento della tal azienda agricola, di Tizio, in località xy ecc. Pasta del pastificio artigianale tale, che utilizza grano senatore Cappelli, ecc.

Il dato è ancora eccezionale ma l’ho riscontrato un numero di volte sufficiente da poter sostenere che è un dato in crescita. Su di me, consumatore, ha avuto un effetto di notevole soddisfazione. Di sicurezza. Sapere da dove viene il prodotto che sto per mangiare e sapere che si tratta di un prodotto del territorio, mi consente di poter valutare la possibilità di rivolgermi a chi lo produce, se voglio, o di prendermela con qualcuno se il prodotto non è all’altezza. Di più, è chiaramente identificabile la filiera dal produttore al ristoratore e questo mi garantisce anche su eventuali controlli delle autorità.

Credo sia una iniziativa da lodare e da diffondere tra quei ristoratori che vogliano promuovere il territorio in cui operano. Certamente non avrebbe senso per un ristorante internazionale, vocato alla soddisfazione di un turismo di massa ma per chi si sente testimone del proprio ambito locale, per chi propone una cucina di tradizione regionale il discorso è diverso. Il turista enogastronomo va cercando proprio questo tipo di proposte e di indicazioni, proprio perché risponde alle logiche di selezione e di valutazione di cui parlavo all’inizio.

Il fenomeno è iniziato in Italia e in Spagna dopo il 2000, ma recentemente ho visto che accade la stessa cose nei Paesi in cui ci sono importanti cucine endemiche e dove giovani agricoltori hanno dato vita a cooperative di produzione di alimenti che erano stati dimenticati. L’ho visto a Santiago del Cile, a Lima in Perù, in Messico e anche in Colombia.

Anche l’oste può essere un custode della propria terra

In passato si cercò di far nascere associazioni di ristoratori o meglio di Osti Custodi. Anche nel nome si capisce che questa iniziativa facesse il verso a quella degli Agricoltori Custodi, che si sono impegnati a difendere le produzioni della propria terra. I ristoratori hanno stretto legami con i contadini singolarmente e in molti casi si sono fatti essi stessi agricoltori. Hanno acquistato aziende agricole, hanno impiantato orti, per avere sempre a disposizione le materie prime fondamentali, e sicure, della propria cucina. Non esiste ormai ristorante stellato o trattorie premiata con riconoscimenti gastronomici che non abbia una sua rete di rifornimenti alimentari sul territorio.

Il circolo virtuoso tra cliente, ristoratore e agricoltore

Il ristoratore è di fatto un alleato formidabile nella battaglia delle aziende agricole per salvaguardare la qualità e la produzione territoriale. Può ridare vita e mercato a prodotti in via di estinzione. Il rapporto diretto col casaro e col pastore – casaro diventa vitale. Sarà il ristoratore, sia esso singolo o in un’associazione di ristoratori, ad acquistare l’intera produzione, o quasi, del pastore – casaro, consentendogli di continuare la sua preziosa opera e dando al consumatore un prodotto ineguagliabile e soprattutto sano.

La stessa cosa può avvenire con i vari olii extravergine d’oliva, grani, frutta e verdure e legumi, con la stessa carne di bovino, di agnello o di maiale (razze autoctone) da continuare ad allevare senza far ricorso a insilati e mangimi con additivi chimici. Noi come consumatori non siamo esclusi da questa filiera. Anzi ne siamo il motore, se non ideativo, economico. Siamo noi clienti che scegliendo i piatti da mangiare nel ristorante diamo vita al mercato. Creiamo la domanda che poi si ripercuoterà sull’attività dell’agricoltore.  Un circolo virtuoso in cui tutti e tre, cliente, ristoratore e agricoltore, contribuiscono ad alimentare il mercato di ciò che è sano, buono e bello.