“Your Honor”: Giungere all’impensabile, a fin di bene. Bryan Cranston colpisce ancora

Serie americana, Your Honor, 10 episodi con Bryan Cranston, Hunter Doohan, Hope Davis, Margo Martindale. In Italia su Sky Atlantic e Now Tv

Your Honor

Your Honor, serie tv su Sky Atlantic

Your Honor. Serie, USA 2020-21, 10 episodi, durata totale 545’. Con Bryan Cranston, Hunter Doohan, Hope Davis, Margo Martindale. Adattamento dalla serie israeliana Kvodo. Distribuito in Italia dal 24 febbraio su Sky Atlantic e Now Tv.

Brian Cranston, colpito sulla via di Damasco dal suo stesso personaggio ormai mitico di Walter White in Breaking Bad, torna ad offrirci in Your Honor – di cui è anche produttore esecutivo e ha diretto personalmente l’ultimo episodio – la figura problematica di un uomo tranquillo portato dai casi della vita a cambiar pelle per assumerne una dai contorni estremi.

Difficile parlare di quest’opera senza fare spoiler. Ma, poiché molto dell’appeal della serie è proprio nei colpi di scena, ci imponiamo vaghezza riguardo alla trama. Limitandoci a dire che l’uomo tranquillo è stavolta il potente e rispettato giudice di New Orleans Michael Desiato. Una carriera in difesa strenua dei diritti negati, bella casa, bello e buono l’unico figlio, il ricordo devoto di una moglie che non c’è più.

Ma la bizzarria del destino può portarlo, da un momento all’altro, a dover fare scelte che, proprio in virtù dei suoi principi, sono estreme. Quando sui piatti della bilancia ti ritrovi – perché è questa l’implicita domanda che la serie fa a ciascuno spettatore – da un lato un monumento edificante di valori astratti (i tuoi valori), dall’altro la sopravvivenza stessa di quanto hai di più caro, quale pesa di più? Cosa scegli di fare, per giunta sotto pressione?

E’ tutto qui; fin dai primi minuti – esemplare incipit da magone – e per tutto il dipanarsi della vicenda. Uno dei cui meriti è nell’intreccio: il bussolotto della vita mescola i bastoncini di esistenze individuali mai state a contatto, e li ridistribuisce sul tavolo da gioco come uno shanghai inestricabile, ciascuna pedina diventando determinante nel destino delle altre.

La serie paga dazio a un vasto repertorio di temi di grande presa attuale: black lives matter, la corruzione tra le fila della polizia, perfino il sopraggiungere del coronavirus, qui mai nominato ma ambiguamente presente in alcune scene (d’altro canto la lavorazione dovette interrompersi per alcuni mesi proprio a causa del sopraggiungere del virus). Ma lo fa con naturalezza, senza forzature.

Bryan Cranston si conferma attore di razza (ma dove si era nascosto prima di Breaking Bad? ci chiediamo). Nessuno più di lui è capace di dare incarnazione viscerale al brav’uomo sotto stress, nessuno fa meglio quello che nel nuovo calcio è chiamato il gioco senza palla: nei dialoghi ascoltare con intensità, non preparando catatonicamente la propria battuta successiva ma reagendo somaticamente a quello che dice o fa il suo interlocutore.

La confezione è di quelle di lusso, da cosiddetta prestige tv: star anche in ruoli secondari; interpretazioni impeccabili; fotografia dolente, specie negli esterni-notte.

Ma quello che ci resta a ronzare in testa a fine visione è soprattutto il contenuto di fondo: cosa è giustizia? legale coincide sempre con giusto?

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