Gesù e la samaritana: simbolo e paradosso

Nell’incontro con Gesù che le parla, si realizza per la samaritana una più profonda conoscenza e comunione con Dio nello Spirito

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

L’evangelista Giovanni dimostra un interesse speciale per l’episodio della Samaritana (Gv. 4, 5-42), per lui esemplare per la progressiva autorivelazione di Gesù e per il cammino pedagogico che egli pone in atto per dispiegarla. La samaritana è posta in netto contrasto con i Giudei che poco prima non hanno avuto fede in Gesù: egli si rivolge al cuore di una nemica dei Giudei per far emettere da lei quella professione di fede che quelli hanno rifiutato di compiere.

L’acqua viva

Il testo (vv. 10-14) annuncia il dono divino di un’acqua diversa, che oltrepassa le caratteristiche naturali: ha la capacità di estinguere la sete per sempre e di diventare una sorgente interna all’uomo che zampilla per la vita eterna. L’immagine rimanda a una realtà vitale, che contiene la vita e ha la facoltà di comunicarla. L’acqua viva è il dono dello Spirito e la vita divina che viene comunicata a colui/lei che, nello Spirito, giunge a credere grazie all’accoglienza della parola di Gesù. Nell’incontro con Gesù che le parla, si realizza per la samaritana una più profonda conoscenza e comunione con Dio nello Spirito.

Il culto

Stimolato da una domanda della samaritana, Gesù annuncia che in lui inizia una nuova era quanto al culto: “Ma viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (v. 23). Nella persona di Gesù gli edifici di preghiera vengono relativizzati perché il dono della salvezza non è più connesso a luoghi specifici, ma si realizza a partire dalla relazione con lui. Le caratteristiche di questo culto sono definite con due termini: “spirito e verità”, cioè “nello spirito che è la verità”. Lo spirito di cui si parla non è l’animo umano: la dichiarazione di Gesù non è un invito a una venerazione spirituale contrapposta a un culto esteriore.

Il riferimento, invece, è allo spirito della verità, cioè lo Spirito Santo: Gesù proclama che il vero culto d’ora in poi sarà effettuato nello Spirito Santo, apportatore della rivelazione perfetta di Dio. Il vero culto, fondandosi sul legame con Cristo e avvenendo nello Spirito, mantiene una dimensione comunitaria non tanto intimistica e individuale. Fuori da questo culto nello Spirito Santo non si venera Dio nella verità.

Non è secondario che qui sia presente il termine Padre per definire Dio: il termine del culto è un Dio dal volto paterno, un volto che è possibile conoscere solo attraverso il vero unico Figlio, Gesù. Inoltre questo culto comprende anche un ribaltamento di prospettiva; se normalmente è l’uomo a cercare Dio attraverso gli atti religiosi, Gesù afferma che è Dio a cercare gli autentici adoratori, con cui intessere una relazione da Padre; così anche l’adultera samaritana, emarginata e disprezzata, si sente cercata e non rifiutata da Dio.

In questo modo, proprio la rivelazione del vero culto al Padre la conduce a partecipare dell’autorivelazione di Gesù come vero messia. In questo è agevolata anche dalle aspettative messianiche che circolavano nel suo popolo; infatti i samaritani non aspettavano, come i giudei, un messia regale discendente da Davide o una figura sacerdotale del genere di Melchisedek, bensì un messia profetico dalle caratteristiche simili a quelle di Mosè: levita, rivelatore e maestro. Gesù si adatta a questo genere di aspettativa per annunciare la sua venuta nel mondo.

La missione

Nel dialogo con i discepoli (vv. 35-38) Gesù adotta la stessa strategia messa in campo con la samaritana, partendo dal cibo materiale per condurre a una più profonda rivelazione di sé. Gesù rivela il proprio bisogno interiore di vivere secondo il progetto del Padre, un bisogno che non è frutto di una imposizione esteriore, ma un’esigenza che nasce dalla sua interiorità. L’invito ai discepoli è a entrare nella stessa sensibilità e prospettiva, guardando al mondo come a un campo dove si lavora per collaborare a un progetto che supera la capacità umana.

La stessa samaritana diventa, all’interno dell’episodio, un esempio di missionarietà, nella quale si testimonia innanzitutto il proprio incontro con Cristo. Tuttavia per gli abitanti di Sicar non è sufficiente ascoltare la donna, ma sentono il bisogno di vedere e ascoltare Gesù di persona: nessuna attività missionaria sostituisce l’incontro personale con lui (v. 42), i missionari sono solo intermediari che portano all’unico vero mediatore del rapporto tra Dio e gli uomini. I discepoli, che assistono alla scena, sono invitati ad assumere questo stile.

Simbolo e paradosso

Un’ultima osservazione può essere compiuta sulla tecnica narrativa dell’evangelista Giovanni. Egli presenta molti simboli e gioca spesso sull’equivoco e sull’incomprensione del suo reale significato. Attraverso il simbolo avviene un progressivo svelamento di una verità non immediatamente comprensibile, e così si realizzano ribaltamenti della situazione iniziale a più livelli, con esiti ironici o addirittura paradossali.

La donna esce di casa ad attingere l’acqua a mezzogiorno (v. 6), un’ora in cui sa che non incontrerà nessuno; eppure proprio in quell’ora si realizza l’incontro con la persona più importante, e lei che non voleva incrociare nessuno per strada si fa missionaria presso i suoi concittadini. La diffidenza e inimicizia nel rapporto tra Giudei e Samaritani si trasforma nell’accoglienza dell’unico messia di entrambi i popoli, portatore anzi di una missione universale come “salvatore del mondo”.

Se per i Giudei era proibito parlare con i Samaritani, proprio infrangendo questa norma Gesù porta a esecuzione il progetto del Padre. La narrazione si ribalta partendo da un Gesù bisognoso di acqua e giungendo a una donna bisognosa di vita piena; da una donna che aspetta un messia del futuro a Gesù che si autorivela come il Cristo del presente.

Il Capocordata

Bibliografia consultata: Vuaran, 2023.