Governo, Di Maio e la solitudine dei numeri due

Il leader M5S prova a uscire dall’angolo, confidando anche in Rousseau per salvare la faccia. E rifilare un secco vaffa a Grillo

luigi di maio

Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Per dare un’idea delle alte vette raggiunte dal dibattito istituzionale, il fondatore del M5S (Beppe Grillo) ha paragonato le pretese del capo politico del M5S (Luigi Di Maio) ai punti della Standa. L’eventuale varo del Conte-bis, in effetti, sembra ruotare in toto attorno all’incarico che Giggino ricoprirà nell’esecutivo rosso-giallo (molto più rosso che giallo, per la verità). Con buona pace del tanto sbandierato disinteresse del MoVimento per le poltrone.

Una simile giravolta avrebbe potuto mandare in tilt anche gente più preparata dei pentastellati, e infatti uno come Carlo Sibilia era dovuto ricorrere a un contorsionismo dialettico per cercare (invano) di salvare capra e cavoli. «Per Di Maio chiediamo un ruolo di primo piano» ha affermato il sottosegretario all’Interno, salvo poi dirsi certo che l’attuale bi-Ministro avrebbe potuto rinunciare – come poi ha effettivamente fatto – alla carica di vicepremier perché «per noi la priorità è risolvere i problemi dei cittadini, e tutto, anche le poltrone, è subordinato a quell'obiettivo».

D’altra parte Sibilia è sempre quello che farneticava di «matrimoni di gruppo e nozze tra persone e specie diverse», che vaneggiava a proposito dello sbarco sulla Luna bollato come «una farsa», e ragliava a proposito dell’attentato di Ottawa del 2014 che non sarebbe stato opera di un pazzo ma di «qualcuno che ha ritrovato la ragione». Questo per fornire un contesto che permetta di liquidarne le fantasie con un’alzata di spalle, oppure di assecondarlo perché non diventi pericoloso.

Colpisce comunque, in queste ore, la solitudine del numero due del Conte-semel Giggino, difeso a spada tratta dal solo Gianluigi Paragone che lo vorrebbe ancora «centrale anche a Chigi». È vero che anche questa presa di posizione lascia il tempo che trova, considerando che il senatore grillino ha già annunciato l’intenzione di non votare la fiducia al nuovo Governo. Però ha colto il punto: il leader grillino dovrà avere una funzione cruciale, a maggior ragione dopo la rinuncia al posto di vice.

È qui che entra in gioco Rousseau. Il voto online è ormai imminente, con gli iscritti che dovranno esprimersi sul seguente quesito: “Sei d’accordo che il MoVimento 5 Stelle faccia partire un Governo, insieme al Partito Democratico, presieduto da Giuseppe Conte?”

Piccolo particolare: da statuto del MoVimento è il capo politico che decide la formulazione della domanda. A ciò si accompagna la dichiarazione perentoria di Stefano Patuanelli, presidente dei senatori Cinque Stelle, secondo cui la piattaforma privata è «pari ad una direzione di partito»: tanto che, «se dovessero prevalere i no, il Presidente del Consiglio dovrà sciogliere la riserva di conseguenza: in modo negativo».

Agli iscritti, insomma, l’ardua sentenza che permetterebbe a Di Maio di smarcarsi senza perdere la faccia da un grigio futuro da passacarte, pensionato senza neppure Quota 100. Non a caso si vocifera che il suo entourage sia pronto a brandire l’esito della consultazione digitale come una clava contro il Premier incaricato Giuseppe Conte, con cui del resto pare che i rapporti siano ai minimi storici.

Non solo: per il leader M5S sarebbe anche un modo elegante per sottrarsi all’asfissiante pressing di chi lo invita a lasciar lavorare il Capo del Governo – a cominciare proprio dal padre nobile Grillo. Al quale, visto che si autodefinisce “l’Elevato”, Giggino sbatterebbe in faccia, nel puro stile vaffa, un secco e tranchant “e-levati”.

Foto dalla pagina Fb di Luigi Di Maio

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