La forza della preghiera, coscienza di essere Figlio di Dio

La coscienza di essere Figlio di Dio matura nell’esperienza della preghiera e deve essere insistente perché si possa apprezzarne l’efficacia

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

La preghiera è un tratto peculiare di Gesù. Le preghiere di Gesù contribuiscono alla comprensione della sua filiazione divina. La coscienza di essere Figlio di Dio matura nell’esperienza della preghiera; essa deve essere insistente perché si possa apprezzarne l’efficacia.

Pregare il Padre (Lc. 11, 1-13)

Gesù prega in un luogo da solo; i suoi discepoli sono attirati dalla sua orazione ed esprimono il desiderio di imparare a pregare, così come anche Giovanni ha istruito i suoi seguaci (v. 1). I discepoli vogliono imitare l’atteggiamento orante del Maestro, e ancor di più ricevere precise indicazioni su come pregare.

La versione lucana del “Padre nostro” è più breve rispetto a quella di Matteo. La preghiera è rivolta a Dio, invocato col titolo di Padre; la preghiera è anzitutto un atto di filiazione. E’ attraverso di essa che i discepoli possono sperimentare la paternità divina, così come il perdono e la generosità consentono di imitare la compassione del Padre.

Seguono cinque brevi richieste, di cui le prime due riguardano Dio e le successive concernono le relazioni umane. Il nome “Padre” designa l’essenza stessa del divino e la “santità” esprime la sua condizione di alterità e di trascendenza rispetto alle sue creature, ma indica anche la meta a cui deve tendere ogni uomo: essere santo come Dio è santo. La prossimità del regno di Dio è proclamata da Gesù e dai suoi discepoli ed è già presente, ma il cristiano ne invoca la piena manifestazione e si impegna a vivere cercando anzitutto la regalità divina. (v. 2).

Chi crede in Dio e lo riconosce come Padre sa di poter affidare a lui le proprie necessità e i propri bisogni, anche materiali, come il pane, essenziale per il suo nutrimento. La richiesta del pane (v. 3) riguarda la quotidianità, e ricorda il dono della manna nel deserto. Il pane invocato è destinato a essere condiviso: è il “nostro” pane che contribuisce ad alimentare i legami di solidarietà fraterna.

Non di solo pane vive l’uomo: egli ha bisogno del perdono divino (v. 4), perché sa che la sua condizione di peccatore lo allontana da Dio, autore e fonte della vita. Riconciliato con il Signore, egli è in grado di condonare i debiti/peccati del suo debitore/offensore se si pente. Infine, al Padre celeste, l’orante chiede di non essere abbandonato nell’ora della prova; la preghiera è il rimedio più efficace per non soccombere alla tentazione e preservarsi nella fedeltà a Dio.

Una preghiera invadente?

Per dimostrare quanto sia efficace la preghiera, Gesù propone ai suoi discepoli di immedesimarsi nella condizione di aver bisogno di recarsi da un amico a mezzanotte per ottenere in prestito tre pani, così da poter provvedere a sfamare l’ospite che è giunto da un viaggio (vv. 5-6).

La reazione dell’amico importunato nel cuore della notte è inizialmente improntata al rifiuto: non vuole essere infastidito perché la porta nella sua abitazione è già chiusa e i bambini sono già a letto. Ciò di cui ha bisogno non sarà ottenuto per amicizia, ma per mezzo della sua insistenza. In effetti, chi bussa a mezzanotte e chiede all’amico il prestito di tre pani non demorde di fronte all’iniziale diniego da parte dell’amico; insiste, e alla fine riceve quanto chiesto. La sua è, quanto meno, una richiesta sfacciata, perché non tiene conto dell’orario tardo e delle circostanze in cui l’amico si trova.

Il Padre dona lo Spirito Santo

Le istruzioni di Gesù riprendono e approfondiscono i temi già sviluppati nella parabola dell’amico sfacciato; i verbi “chiedere”, “cercare” e “bussare” (vv. 9-10) corrispondono alla richiesta insistente che consente di ottenere i pani di cui si ha bisogno. La preghiera autentica, fatta con fede, ottiene ciò che chiede; trova ciò che cerca; spalanca le porte a cui si è bussato.

Gesù non si limita a fornire indicazioni esclusivamente sul piano teorico, ma coinvolge il suo uditorio attingendo alla relazione padre-figlio; l’esperienza della preghiera può essere paragonata alla cura che un padre riserva nei confronti del figlio, al quale garantirà tutto ciò che è necessario per la sua alimentazione e la sua crescita. Nessun padre darà una serpe al figlio che gli chiede un pesce, o uno scorpione anziché un uovo (vv. 11-12).

Gesù dimostra che se i padri terreni, che sono cattivi, sanno dare cose buone ai loro figli, quanto più il Padre celeste concederà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono. La richiesta dello Spirito Santo (v. 13) si aggiunge alla triplice petizione contenuta nella preghiera del Padre nostro, relativa al pane quotidiano, alla remissione dei peccati e alla richiesta di non essere introdotti in tentazione.

E’ l’unica volta in cui lo Spirito Santo è presentato come un dono divino da invocare nella preghiera: disceso su Maria, è descritto come la Potenza di Dio che si posa su di lei perché concepisce il Figlio dell’Altissimo; l’attività del Battista prepara il battesimo che il Cristo imporrà in Spirito Santo e fuoco; su Gesù discende sotto forma di colomba e una voce dal cielo rivela la sua figliolanza divina; la missione di Gesù è sotto l’egida dello Spirito. Lo Spirito è promesso agli apostoli in vista della testimonianza che essi dovranno rendere al Risorto e rappresenta il legame tra la missione di Gesù e dei suoi testimoni.

Sì, è proprio lo Spirito Santo il dono più grande perché è lui che apre il nostro cuore alla preghiera sincera, autentica. Lui che guida i nostri passi sulla strada che Gesù ha inaugurato con la sua vita, con le sue scelte, con la sua morte e risurrezione. Solo lo Spirto può rischiarare le nostre zone oscure e farci discernere l’essenziale che dà senso e sfocia nell’eternità.                      

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Landi, 2022; Laurita, 2022.