Roma, suicidi in metro. Psichiatra spiega perché farla finita in un luogo pubblico

L’ennesimo tragico gesto di una persona che decide di togliersi la vita lanciandosi sui binari, è successo il 13 marzo

Metro A di Roma

“Ecco qua, si sarà buttato qualcuno sui binari”, dice un pendolare della Metro A di Roma a un altro quando, per un motivo qualsiasi, il treno inaspettatamente si ferma. “Speriamo di no, altrimenti qui facciamo notte”, risponde l’altro. È tra le voci dei viaggiatori della metropolitana che si cela la preoccupante sequenza dei suicidi, tentati o riusciti, nelle Capitale attraversata da tre linee metropolitane. Quello di ieri mattina, 13 marzo, è soltanto l’ultimo di una lunga sequela di episodi.

La sequela dei suicidi nella Metro di Roma

Un 72enne alle 6 circa, dalla banchina della stazione Cipro, in direzione Battistini – sulla linea A – si è lanciato sui binari al sopraggiungere di un convoglio. Pochi dubbi sulla sua volontà di farla finita. Il suo gesto è stato immortalato dalle immagini delle telecamere. Estratto ancora vivo da sotto al treno, è morto poco dopo.

Altri incidenti sospetti – sempre linea A – il 2 marzo nella stazione Lepanto, dove è morto un 74enne, e il 21 febbraio nella stazione Vittorio Emanuele dove il tentativo di suicidio per un giovane è invece, e per fortuna, fallito. Addirittura giovanissimo, appena 19anni, l’aspirante suicida scampato alla morte il 2 novembre nella stazione Bologna, oppure l’84enne che lo scorso 14 gennaio si è lanciata sui binari nella stazione di Pietralata ma si è salvata grazie alla prontezza del macchinista che è riuscito a fermare il treno poco prima di travolgerla. La città inizia a interrogarsi sui tanti casi di suicidio in stazione.

Per ulteriori informazioni ecco i dati dell’Osservatorio Suicidi e tentati suicidi.

Il suicidio, evento multifattoriale

Il suicidio è un evento multifattoriale, che non è legato a un’unica spiegazione ma che ha una serie di variabili che pongono l’individuo in una grande sofferenza mentale”, spiega il professor Maurizio Pompili ordinario di psichiatria dell’Azienda ospedaliera e universitaria Sant’Andrea La Sapienza di Roma, interpellato da “Agenzia Nova” .

“Una sofferenza che diventa insopportabile, per la quale il soggetto non vorrebbe morire ma essere aiutato da qualcuno per risolvere il dramma nella propria mente. Un dramma fatto di angosce, disperazione e di emozioni negative. Una situazione per cui vede il suicidio non come un mezzo per avvicinarsi alla morte, ma per allontanarsi da quella sofferenza”.

Togliersi la vita in un luogo pubblico

In merito alle scelta di tentare di togliersi la vita in un luogo pubblico, Pompili sostiene che “metodo e circostanza sono legate alle caratteristiche dell’individuo. Arrecare disturbo o disagio ad altri sono elementi secondari, e anche irrilevanti, rispetto alla sofferenza della mente che non permette di tener conto di questi fattori. Il soggetto, quando si trova in sofferenza estrema, perde i punti di riferimento e la lucidità. Non riesce a fare valutazioni”.

Ci sono campanelli d’allarme che possono essere letti prima dell’estremo gesto. “Nei mesi o settimane prima, ci sono cambiamenti di abitudini repentini; frasi che fanno riferimento al suicidio, alla voglia di farla finita; si danno via le cose care come in un testamento oppure, un cambiamento di umore repentino come, ad esempio, una persona molto angosciata che improvvisamente diventa serena, come se avesse preso una decisione”.

Le soluzioni ci sono e vanno adottate per tempo. “I soggetti in questo stato possono essere aiutati portandoli all’attenzione degli operatori della salute mentale. C’è sempre una soluzione, che può essere anche chiedere aiuto ad un pronto soccorso o anche al numero unico di emergenza”, conclude Pompili. Il numero è 06 77208977.