400.000 interventi rinviati causa Covid: la sanità pubblica è in ginocchio

I cittadini stanno correndo il rischio di non trovarsi più a disposizione una adeguata e professionalmente valida classe medica

Corsia di ospedale

La epidemia da Covid-19 migliora continuamente in Italia e probabilmente ne usciremo presto definitivamente quando essa diventerà endemica. Tuttavia, tra le conseguenze negative da essa provocate, la più grave e che resterà a lungo è quella del deficit di ricoveri programmati ospedalieri per interventi chirurgici in elezione.

Gli interventi chirurgici elettivi: il rinvio

Si stima che oltre 400.000 – 500.00 interventi chirurgici in elezione siano stati differiti per Covid-19 durante la pandemia. Ed è noto che le Regioni durante lo stesso periodo hanno acconsentito a dirottare verso le strutture sanitarie private accreditate (cioè pagate da noi con i fondi del FSN) migliaia di interventi chirurgici elettivi e quindi i relativi rimborsi DRG. Il tutto a svantaggio degli ospedali e policlinici. Questo fenomeno potrebbe spostare buona parte della attività chirurgica elettiva, sia oncologica che non oncologica, verso il privato accreditato (laico e/o religioso). E questo potrebbe essere vero soprattutto in alcune Regioni tipo Lazio e Lombardia, dove esso storicamente pesa di più che in altre per la preponderanza del sistema privato.

Le conseguenze

Le conseguenze di questo fenomeno, davvero preoccupante a mio giudizio per gli effetti a medio-lungo termine sociali e sanitari, sono state a oggi di consentire una progressiva desertificazione professionale degli ospedali pubblici con fuga di giovani e meno giovani professionisti verso il privato. Una interruzione della vitale catena di trasmissione del sapere e saper fare dentro le strutture pubbliche dai più anziani ed esperti verso i più giovani medici. Dall’ingresso nelle compagini societarie private di partners più o meno occulti sia dal punto di vista giuridico che finanziario a volte persino schermati da società fiduciarie ed anonime.

La politica non interviene

Da sempre abbiamo chiesto, inascoltati, alla politica di provvedere a colmare questo vuoto, imponendo una maggiore trasparenza societaria e finanziaria a chi vuole operare nella sanità in regime di accreditamento autorizzatorio regionale, perché il pericolo può essere rappresentato ovviamente dalla possibile immissione di capitali proventi dell’illecita attività di riciclaggio.

Dal pubblico al privato: “cui prodest?”

Inoltre, nello specifico gestire una mole così ampia di interventi chirurgici programmati, che in questo modo si sottraggono ai compiti istituzionali di ospedali e policlinici pubblici, sposterebbe pericolosamente l’ago della sanità pubblica pagata dal contribuente, massicciamente verso il privato accreditato (anche lui pagato dal contribuente). Tutto detrimento degli enormi investimenti fin qui effettuati per le risorse umane formate e le infrastrutture sanitarie e tecnologiche biomedicali acquisite. Che fine farebbero questi massicci e decennali investimenti pubblici se non quella di essere destinati alla perdita? E soprattutto, come dicevano i Romani, cui prodest?

La collettività in pericolo

Sicuramente non gioverebbe alla Collettività. Si rischierebbe così a mio giudizio di produrre enormi voragini nei bilanci e nelle tesorerie degli enti pubblici (che andrebbero poi alla fine ripianati con esborso di ulteriore denaro pubblico a deficit). E senza un vero vantaggio competitivo in termini di prestazioni ed efficacia – efficienza. Chi pagherebbe questi disavanzi annuali e debiti accumulati se non la Collettività, a prezzo probabilmente della svendita di ciò che resta di proprietà del Popolo. E cioè terreni, mura, attrezzature ed avviamento professionale delle Asl, Ospedali e Policlinici. Badate bene, si tratta spesso di patrimoni immobiliari enormi accumulati nei secoli. Di migliaia di ettari del Demanio. Di lasciti e donazioni ereditarie anche fatte attraverso strumenti come le IPAB.

I rischi

È bene che il Cittadino, si interessi anche a questo oltre che al ristorante la sera, allo stadio la domenica e alla spiaggia il sabato. Perché potrebbe correre il serio rischio a breve termine di non trovarsi più a disposizione una adeguata e professionalmente valida classe medica ed infermieristica. E nemmeno un Servizio Sanitario Nazionale nella sua accezione universalistica così come è stato immaginato e realizzato fino a ieri e oggi.

Gli investimenti in salute

Il Covid 19 come spartiacque e come elemento che innesca il cd “Grande Reset” che altro non è che la perdita di interi pezzi di welfare sociale e sanitario. Ci s’intenda. Nulla contro un sano sistema imprenditoriale privato sanitario, ben identificato e tracciato. Esperto, efficiente, democratico e che persegua oltre al suo profitto anche il bene del Cittadino. Ma, siamo contro operazioni notturne e blitz socio-sanitari che privino la collettività del valore dei beni immateriali ed infrastrutture fin qui accumulati nella sanità pubblica. Il Fondo Sanitario Nazionale FSN vale a oggi circa 116 mld di euro del Bilancio dello Stato (tasse e fiscalità generale, IVA, IRAP ed IRPEF). Sono tanti soldi. Ma non è solo una spesa, quanto piuttosto un investimento in salute. E si traduce – se ben amministrato – in una crescita della ricchezza e del benessere del Paese.

Una possibile soluzione

A nostro giudizio sono necessarie subito, pertanto, forti ed incisive riforme del SSN, non ottenibili peraltro con provvedimenti autoritari, Leggi deleghe e Decreti Legge. Quanto piuttosto con un ampio intervento del Parlamento e delle forze sociali. La deriva spregiudicata e graduale verso un Sistema di sanità pubblica non più universalistico non può passare a nessun costo attraverso questi sistemi.

Chi vivrà vedrà. Partecipare e lottare tutti è diventato un obbligo per la democrazia.

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