Gesù e il nuovo Tempio

Gesù instaura un nuovo regime di sacrifici, non più basati sugli animali ma sul dono di sé stessi: il santuario non sarà più quello di pietra ma è il proprio corpo

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

Gesù e il Tempio

Per Gesù si sta avvicinando la sua prima Pasqua a Gerusalemme (Gv. 2, 13-25). Nel vangelo di Giovanni ritroviamo Gesù che partecipa a diverse feste dell’anno liturgico sempre nel Tempio di Gerusalemme. Anche diversi miracoli si svolgono in prossimità del Tempio durante la festa delle Capanne. Ciò significa che Gesù ama Gerusalemme e il suo Tempio e se parla contro di esso non è per disprezzo del culto. Come bene affermano i suoi discepoli, Gesù ha compiuto tutto quanto raccontato in questo brano perché divorato dallo zelo per la casa del Signore (v. 17).

Ma entrato nel Tempio Gesù si trova davanti uno spettacolo che lo turba nell’intimo e lo indigna profondamente. Vi trova gente che fa commercio vendendo e comprando gli animali destinati ai sacrifici e i cambiavalute seduti ai banchi dove cambiare ai pellegrini il denaro nella moneta accettata al Tempio per pagare la tassa del culto. Invece dell’amore di Dio vi trova l’amore a “Mammona”, al dio denaro. Invece del senso della presenza di Dio trova il senso del commercio.

Gesù scaccia tutti fuori dal Tempio, getta a terra il denaro e rovescia i banchi dei cambiamonete. Attraverso gesti furiosi (v. 15) condanna l’uso della casa di Dio per ottenere guadagni e profitti. Affermare che la casa del Padre è stata ridotta a un mercato (v. 16), significa denunciare un comportamento “idolatrico”: Dio è usato e sfruttato a vantaggio del profitto personale.

Pei i Giudei presenti (v. 18) la questione non sta tanto nel gesto brutale di Gesù, non hanno incertezze nell’interpretarlo come gesto profetico, ma nell’autorità di Gesù. E per questo gli chiedono un segno: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” (v. 18). Questa richiesta è perversa, perché richiederebbe che la fede sia sottomessa a dei segni (miracoli): invece l’atto del credere deve essere totalmente libero. E infatti Gesù non cede a questa tentazione. Chi crederà in lui, vedrà molti segni realizzarsi, però i segni non si vedono prima dell’atto di fede, ma dopo!

Ai discepoli che oseranno stare con Gesù fino in fondo, egli mostrerà un culto nuovo, che nessun dominatore straniero potrà più distruggere. Gesù instaura un nuovo regime di sacrifici, non più basati sugli animali ma sul dono di sé stessi: il santuario non sarà più quello di pietra ma è il proprio corpo. Ecco il segno: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere… egli parlava del Tempio del suo corpo” (vv. 19.21).

Per credere bisogna attendere: solo dopo l’evento pasquale, a ritroso, possiamo scoprire quanto le parole di Gesù fossero vere. Le logiche della fede si comprendono dopo, solo grazie allo sforzo della memoria. Chi invece, come i Giudei, pretende di avere prima della fede dei segni che la fondino, entra in un cortocircuito che uccide la possibilità stessa di credere.

Chi non osa credere, resta fuori, sulla soglia: per chi invece si fida e acconsente a seguire il Signore, non mancheranno i segni che confermeranno che quella strada intrapresa è quella che dà senso alla propria vita. E il segno più bello della verità della nostra fede sarà la libertà di donare sé stessi, totalmente, anima e corpo, senza paura. Perché è dando la vita, che la si riceve per la vita eterna.

Ma il gesto iconoclasta di Gesù non ebbe alcun impatto. Realizzato oggi, il risultato sarebbe lo stesso. Fino a quando ci saranno templi e chiese saranno minacciate dall’interno. Finché ci saranno persone in preghiera tormentate dall’amore per la “casa del Padre”, esse saranno perseguitate o ridicolizzate. A noi, cambiavalute dello spirito, Gesù continua a rovesciare i banchi di valutazione, di calcolo e di scambio, per rammentarci che la vita non si lascia confinare da previsioni, cifre e conteggi. Getta a terra il denaro, ricordandoci che il denaro appartiene al mondo, che è proprio di tutti i Cesari della terra, e che restituirà alla polvere qualsiasi valore noi gli attribuiamo idolatrandolo.

Nel cammino di conversione quaresimale, questo gesto di Gesù risuona in noi come un vigoroso invito a non trasformare la casa del Padre in un mercato. Quella casa di Dio che non è più il Tempio di Gerusalemme, né tantomeno ogni chiesa, ma che, da quando Cristo è risorto, è il corpo di ogni suo discepolo: “Voi siete il tempio di Dio” (San Paolo). Il nostro cuore, la nostra coscienza sono l’unico e inviolabile santuario.

Non barattiamo la vita, non impoveriamola permettendo alle perverse logiche del mercato, dell’economia e del tornaconto personale di dissacrarla. Non svendiamo i nostri cuori riducendo i loro sogni a oro e argento. Non vendiamo dignità, verità e libertà in cambio di idoli falsi. Anche noi con la frusta della resistenza dello spirito scacciamo tutti fuori dal Tempio che è la nostra più sacra interiorità. Rovesciamo i banchi di quanti fanno della nostra vita un mercato. Casa di Dio è ogni vita umana e chi disumanizza l’umano profana Dio.

No, Dio non è in vendita e pertanto nessuno può comprarlo. No, Dio non può essere tenuto in ostaggio dai nostri traffici, dai nostri interessi, dai nostri guadagni, dai nostri teatri. Egli è libero perché ama smisuratamente e l’unico modo di onorarlo è di rendergli culto con la nostra vita, con le nostre scelte, le nostre decisioni, che profumano di misericordia, di generosità, di spirito fraterno. E dunque, se vogliamo incontrarlo e spezzare il cerchio delle nostre illusioni non ci resta che gettare via gli idoli che ci siamo abilmente costruiti e ascoltarlo con cuore sincero.

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Flori, 2024; Vita Pastorale, Marzo 2024; Laurita, 2024.