La gastronomia a Rieti, acqua, olio, vino e grano, è la base della dieta mediterranea

La base dell’alimentazione mediterranea si produce nella provincia di Rieti. L’apporto di Rieti e della Sabina alle eccellenze alimentari del Lazio è determinante

Pasta amatriciana

In pratica la base dell’alimentazione mediterranea si produce in questa provincia che, originariamente, non era neanche laziale ma umbra. L’apporto di Rieti e della Sabina all’eccellenze alimentari del Lazio è però determinante.

Nell’antichità si pensava che Rieti fosse il centro geografico della penisola. In realtà non è così. È una credenza che questa città condivide con Foligno, Monteluco e Orvieto. Nessuna di esse ha ragione. In un articolo pubblicato su questa rivista il 2 ottobre scorso, dal titolo Vivere in provincia: Rieti, la mamma storica di Roma, ho chiarito come stanno le cose grazie ad alcuni studiosi che hanno analizzato la questione.

“Secondo una serie di verifiche condotte da Giuseppe Angeletti, studioso e appassionato geografo di Perugia, e l’Istituto geografico militare (I.G.M.) di Firenze, il centro geografico d’Italia peninsulare sarebbe posizionato lungo il percorso dell’acquedotto romano della Formina, vicino a uno dei ponti romani più suggestivi della città di Narni, Ponte Cardona. Né Rieti né Foligno, né altri quindi ma il centro d’Italia si troverebbe in provincia di Terni, che come città dell’amore spero vorrà sedare il conflitto. Il luogo è attualmente segnalato da un cippo con rilievo a spirale terminante con un elemento in acciaio, che permette al visitatore di toccare materialmente questo punto ideale, con nessun valore simbolico, a parte chi ci crede.”

L’acqua la prima vera specialità “alimentare” di Rieti

Il fatto di sentirsi centro d’Italia però è ormai nel DNA dei reatini. Che di fatto, originariamente, non sarebbero neanche laziali ma umbri. Dopo l’annessione nel 1860 al Regno d’Italia infatti Rieti fu aggregata alla provincia di Perugia, finché nel 1927 fu istituita la provincia di Rieti passando però nel Lazio. La città sorge a un’altitudine di 405 m s.l.m. nella fertile e verde piana alle pendici del monte Terminillo, sulle sponde del fiume Velino, in un territorio ricco d’acqua della quale una parte consistente serve a dissetare Roma. Il territorio circostante il comune di Rieti è caratterizzato dalla presenza di massicci montuosi che superano i duemila metri, come la catena dei monti Reatini con il Terminillo, i monti della Duchessa e i monti della Laga.

Tutta la pioggia che raccolgono i monti va poi a finire, per filtrazione, nel bacino di Rieti, dove oltre alle Fonti di Cottorella c’è anche la sorgente del Peschiera. L’acqua potabile si potrebbe definire eccellenza? Penso di si, vista la sua sempre maggiore importanza per la nostra salute e per la sopravvivenza futura. Senza considerare poi il ruolo dell’acqua nella gastronomia. In pratica entra in tutti i cicli preparatori della produzione di alimenti. L’acqua è la componente principale di ogni alimento, compreso carni, vegetali, vino e olio.

Una carrellata di eccellenze reatine

Tra i prodotti tipici di Rieti troviamo lo straordinario Olio Dop della Sabina, spesso utilizzato per condire piatti come le stracciatelle in brodo, gli spaghetti alla carrettiera, il pollo alla diavola, l’abbacchio in guazzetto. Tra i dolci locali i terzetti alla reatina, la copeta (noci e miele tra foglie di lauro) e la pizza di Pasqua. Gli spaghetti all’amatriciana sono il primo piatto principe conosciuto a livello nazionale. Tra i piatti tipici, il farro al tartufo nero di Leonessa, gli strengozzi alla reatina, i marroni e gli stracci di Antrodoco, le fregnacce alla sabinese, i fagioli di Borbona e le sagne scandrigliesi. A Rieti si possono gustare anche ottimi pesci di acqua dolce, come trote e gamberi insaporiti con differenti salse. Tra i formaggi tipici di Rieti il pecorino, fresco o stagionato, la ricotta, in particolare il fiore molle di Leonessa allo zafferano.

Olio extravergine di oliva e vini della Sabina

Sono molti i prodotti di eccellenza, a cui sono stati attribuiti i marchi DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Tipica), PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) e De.Co. (Denominazione Comunale). Primo fra tutti l’oro della Sabina, l’olio extravergine d’oliva, un vero vanto per il territorio. Fra le varietà di olive della Sabina, primo territorio a conoscere l’ulivo, la carboncella, con sentori di erbe aromatiche, mandorla e carciofo, il frantoio (più balsamico) e la raja, con note di erba tagliata e mandorla amara. Nella zona delle Colline Pontine è l’itrana la regina indiscussa della produzione locale, dai profumi di pomodoro, mela verde ed erbe aromatiche.

Le uve sono spesso una produzione associata a quella delle olive. Sulle colline i filari di viti si alternano a quelli di ulivi segnando il paesaggio agricolo con le gradazioni di verdi e argentei del fogliame e contribuendo a creare un microclima favorevole a entrambe le colture. Nella Sabina si trovano vini come la Malvasia del Lazio e il Trebbiano della Toscana per il bianco, mentre per il rosso il Sangiovese e il Montepulciano. I bianchi hanno note fruttate, con un sapore che va dal secco all’amabile. I rossi, anch’essi con note fruttate, hanno un sapore deciso, secco.

In commercio possiamo trovare molte varianti, tuttavia in genere il vino Colli della Sabina DOP è poco amaro, non eccessivamente alcolico, con una buona struttura e un’acidità nella norma. A Poggio Mirteto si produce il vino Otio Lazio, grazie all’impiego di uve Montepulciano, Cabernet Sauvignon e Merlot, che vengono lasciate macerare per poi maturare in piccoli fusti di rovere. Il prodotto finale è un vino dal rosso intenso, profumato di note di fiori e frutti rossi, che anticipano un sapore pieno e consistente.

Il Domina Sabinae è un vino bianco di carattere, molto alcolico, e con un gusto avvolgente. Un blend composto da Malvasia del Lazio al 50%, Trebbiano toscano al 35% e Falanghina al 15%. Infine c’è il bianco Pecorino, che nasce dal vitigno autoctono omonimo. Giallo paglierino, sia all’olfatto sia al gusto regala un sentore di frutta e fiori.

La ricerca dei grani migliori iniziò proprio con il Rieti Originario

Tutto ebbe inizio con le ricerche dell’agronomo Nazareno Strampelli che, dalla sua Cattedra di Agricoltura a Poggio Mirteto, fu attratto dal grano di produzione locale: il Rieti Originario. Dalla provincia reatina questo tipo di grano s’è diffuso nella penisola. I grani antichi erano stati abbandonati dagli agricoltori perché fragili e poco redditizi. A seguito della moda bio degli anni ’80, dovuta ai problemi ambientali e allo spreco di alimenti, sono stati rivalutati prodotti che possono portare beneficio alla nostra salute, non processati con additivi, che ne migliorano la produttività ma non la qualità salutare.

È il caso del grano Senatore Cappelli, che porta il nome di Raffaele Cappelli. La forza di questo grano risiedeva nella sua resistenza alla malattia della ruggine, mentre il punto debole era il suo essere soggetto all’allettamento, ovvero al progressivo piegarsi delle piantine sotto la forza di vento e pioggia. Gli studi genetici misero Strampelli sulle tracce di altri grani, provenienti da tutte le parti del mondo, per cercare di introdurre, tramite incroci, nel Rieti Originario, caratteristiche che attenuassero i suoi difetti.

Il grano Senatore Cappelli e la sua riscoperta

Nel 1907 Raffaele Cappelli, allora deputato del neonato Regno d’Italia, si fece promotore di una riforma agraria a cui dobbiamo la prima distinzione fra grano tenero e grano duro. Incuriosito dagli studi all’avanguardia dello Strampelli, Cappelli decise di permettergli di effettuare le sue semine sperimentali in un terreno in Puglia. Ed è per questo che la varietà rilasciata nel 1923, che prese piede rapidamente in molte parti della penisola, prende il suo nome, nel frattempo divenuto senatore.

Il grano Senatore Cappelli negli ultimi anni sta subendo una riscoperta. È alla base della stragrande maggioranza dei grani attualmente prodotti in Italia, che progressivamente lo sostituirono negli anni Sessanta, essendo decisamente più produttivi.

Lo chiamano antico ma questo grano è poco più che centenario. Forse lo si fa per contrapporlo idealmente a quelli attuali, ottenuti con mutazioni non solo di tipo genetico ma con irradiazione di raggi gamma e altre operazioni, dovute a una tecnologia moderna dove il fine che conta è più la produttività delle aziende che la salute dei consumatori. L’opera dell’agronomo marchigiano fu innegabilmente innovatrice e pionieristica. Lui comprese che le caratteristiche giuste per una nuova agricoltura si trovavano già nei prodotti esistenti, bastava solo unirle in nuovi prodotti ibridi.

Alternare gli alimenti in ogni campo è la regola che ci preserva dalle malattie

Non c’è consenso unanime rispetto alla superiorità dei grani antichi rispetto a quelli moderni. Non convengono ai produttori e da lì nasce l’opposizione. Come i fautori dell’energia atomica e dell’energia fossile cercano di contrastare le energie pulite rinnovabili, anche chi si oppone ai prodotti bio lo fa per conservare fette di potere e di guadagno. La risposta certa, che la scienza ha dato, è che possiamo alternare il più possibile i cereali tra loro e non fermarsi alla pasta industrialmente prodotta ed essiccata rapidamente, ma introdurre riso, farro, orzo, ovviamente tutti possibilmente integrali. È una regola che vale per tutta l’alimentazione, comprese le acque minerali e i vegetali. Alternare.

Il grano Senatore Cappelli viene prodotto con metodo biologico. Pesticidi e fertilizzanti lo danneggiano, facendo crescere troppo alte le spighe che, quindi, si spezzano. È facilmente digeribile, in quanto presente poco glutine, e, secondo alcuni studi, contiene molti flavonoidi e antiossidanti. Notevole è anche l’apporto proteico. Oggi lo potete trovare un po’ dovunque.

A Rieti c’è anche il Museo del Grano a Rieti, testimonianza concreta del forte legame tra questo prodotto e la piana reatina. Il museo è un luogo virtuale, un sito internet, basato sul libro La scienza del grano di Roberto Lorenzetti, edito grazie al supporto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Si parla di Strampelli e delle sue scoperte, e vi sono riportate integralmente le schede originali redatte dallo studioso.

Nei monasteri medioevali di Leonessa, in particolare quello delle Clarisse di San Giovanni Evangelista, nascono poi i pencarelli, una pasta all’uovo simile agli spaghetti, ma più erta e più corta, pensata come dono natalizio, e ancora oggi uno dei prodotti più diffusi fra i cesti regalo.

Barbabietola da zucchero di Rieti o rapa reatina

A Rieti sorse e si sviluppò il primo zuccherificio italiano, grazie all’opera di Emilio Maraini, unanimemente considerato il padre dell’industria saccarifera italiana. Nella piana reatina si produceva barbabietola da zucchero che poi veniva trasformata nel vicino stabilimento. Un fiore all’occhiello per la Sabina fino al 1973, quando lo stabilimento venne abbandonato. L’industria dello zucchero è attualmente in crisi e il prodotto è sotto accusa da parte di dietologi e alimentaristi. Ma la barbabietola sta avendo un tentativo di rilancio avviato dalla Regione Lazio.

La barbabietola da zucchero è una pianta biennale: il primo anno è in una fase vegetativa, il secondo in una riproduttiva. La radice può essere anche molto lunga, fino ai 2 metri, e presenta due solchi longitudinali, da cui si ricava, nella lavorazione post raccolta, lo zucchero.

Da terzo stabilimento italiano nel 1900, quello reatino oggi è chiuso

Quello di Rieti era uno stabilimento industriale all’avanguardia, che venne abbandonato nel 1973, quando gli indirizzi commerciali degli allora proprietari dell’azienda concentrarono i loro sforzi in altre aree del Paese. Da allora, rimane questo grande edificio, su un viale intitolato al suo principale animatore, che è stato bonificato dall’amianto, ma che rimane precluso alla cittadinanza, pur rimanendo oggetto del desiderio di chi ne vorrebbe fare un centro commerciale.

L’intera industria zuccheriera italiana, ad oggi, risente della legislazione europea, modificata nel 2006, che ha determinato, per i membri dell’UE, la libertà di commercializzare nelle quantità desiderate, senza attestarsi ad alcun vincolo. Gli stabilimenti italiani, che prima della riforma soddisfacevano circa il 75% del fabbisogno nazionale, sono stati surclassati da quelli francesi, tedeschi e polacchi, liberi di accumulare surplus commerciale. Tuttavia, gli italiani stanno rispondendo con le innovazioni, con il biologico e con campagne di informazioni mirate ai consumatori.

Nel Lazio è stato avviato un piano di risanamento, con fondi destinati alle imprese che vogliano investire in questo settore così penalizzato. Ma che potrebbe averte ancora un futuro. In un prossimo articolo parleremo delle altre specialità reatine.