Quale città ci raccontano gli incidenti di Piazza Indipendenza a Roma

Dal Regno Unito lo sguardo sulla capitale di un romano doc che fa confronti, senza nostalgia né rimpianti

Le immagini degli incidenti di Piazza Indipendenza a Roma mi hanno scaraventato in un pozzo di inquietudini, ricordandomi a chiare lettere quanto sono fortunato. Spesso ce lo dimentichiamo. Polizia, Carabinieri, Forze dell'ordine da una parte e un centinaio di sfollati, eritrei disgraziati dall'altra. Qualcuno di questi forse pericoloso, smanettando bombole come armi contro i celerini, che ricordiamocelo sempre, sono pure loro lavoratori del popolo. Le sirene insistenti di Roma, gli idranti scuotono l'asfalto facendo schizzare via una donna che scivola lunga come un pesce marcio risbattuto in mare. Panico, grida, pianti. Una Roma che si rimette al lavoro, leggo, che riapre le porte avvolta di un altro caldo bestiale, porte ormai mai chiuse del tutto per le ferie di Agosto… ricordate i giri per  Roma silenziosa con le saracinesche giù per trovare un litro di latte fresco a quei tempi? Una Roma ancora ferita e derisa per l'ennesimo Assessore che se ne va, e che oggi deve piangere per questi fatti tristi e brutti.

Non voglio capire oggi, chi abbia ragione, chi abbia iniziato, per chi, per come, in quelle immagini vedo solo strazio e fallimenti di tutti. E di certo non mi rimetto in sesto sulle immagini della carezza "umana" del celerino sulla guancia della donna eritrea che piange distrutta eppure composta con la sua borsetta ancora in mano: là dove io – mille anni fa – prendevo l'autobus dall'Università. Un altro mondo. Mi chiedo solo: come si può gestire un problema gigantesco come l'immigrazione in una capitale? In questo modo? Non è una domanda retorica, la risposta è scontata. Abbiamo salvato donne, bambini e disperati dalle onde del mare. E poi? Se il risultato è quello di oggi, vuol dire che siamo bravi forse solo nelle emergenze, ma nella quotidianità precipitiamo nel vuoto assordante, dovremmo chiedere aiuto a qualcuno che sappia come fare le cose per bene.

Emergenze, emergenze, come quella del bimbo che salva dalla morte certa sotto le macerie dell'ennesimo crollo i due fratellini a Casamicciola. Medaglia al valore al bimbo. Che avrebbe preferito uno Smartphone – forse. Ormai cinico sulla mia poltrona, sfoglio le pagine di internet sulla foto notturna del Carabiniere che tira via il neonato, circondato da vigli del fuoco, curiosi, paramedici, paraculi, nel parapiglia generale, ricordate Vermicino? Nulla è cambiato. Se non è un pozzo malchiuso è una casa pericolante e abusiva. E qualcuno che delicatamente accomuna e paragona quello scatto perfetto ai dipinti di Caravaggio, Madonna del Rosario, o Deposizione dalla croce, chiaroscuri tenebrosi di un paese incredibile che vive e pare esaltarsi solo nelle emergenze. Come le vittorie ai Mondiali di calcio con Calciopoli che ci svergognava dinanzi al mondo.

E poi? Poi viene sempre domani. Un altro Assessore al bilancio, altri profughi. Qualcuno tapperà le buche? Tornando e chiudendo questo mio umile pensiero sulla bolgia dei profughi eritrei che si accalcano fradici per salvare qualche straccio contro i celerini, mi chiedo cos’avrà pensato Simon, il mio vicino che insegna calcio ai bambini – in questi giorni in giro per Roma. Quale Roma mi racconterà, quella tiepida del tramonto sul Pincio, quella degli spruzzi gioiosi su Fontana di Trevi, quella delle botteghe luccicanti di Via dei Condotti, o quella lercia e violenta di Piazza Indipendenza? Simon, tutte le Capitali vivono momenti tragici e solari. Roma Eterna è un'emergenza continua e li raccoglie tutti nei suoi mille colori. Devi prenderla così com’è. 

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