Religione, Gesù, chinatosi, scriveva per terra

di Il capocordata

Come risaputo, questa pagina del vangelo di Giovanni (8, 1-11) ha conosciuto una storia complessa: nei manoscritti che la conservano si trova sia in Giovanni che in Luca, con cui ha parecchie affinità nello stile e nel contenuto, come il tema della misericordia (Luca, lo scriba della misericordia) e alcune innegabili suggestioni che consentono di affiancarla all’episodio della peccatrice in casa di Simone il fariseo (7, 36-50).

Ciò nonostante, proviamo a leggerla nel contesto del capitolo 8 di Giovanni dove l’evangelista discute sul rapporto tra Legge e peccato. Nel dialogo con i giudei che vogliono uccidere Gesù, prima li invita a giudicare con giudizio giusto, osservando per davvero la Legge di Mosè e poi ribatte ai farisei: “Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno” (v. 15). Dunque, questo brano rappresenta un’immagine straordinaria della giustizia e della misericordia di Gesù di fronte a chi ha peccato, in contrasto col modo di giudicare sommario e non conforme alla Legge proprio dei suoi avversari, non dando alcuna possibilità alla donna adultera di discolparsi.

“Mosè ci ha comandato di lapidare donne come questa” (v. 5)

Il testo dice che fanno questo “per metterlo alla prova” (v. 6). E’ una situazione ricorrente nei vangeli: gli avversari di Gesù lo insidiano per cercare di porlo in contraddizione con la Legge. Questa donna adultera diviene lo strumento per verificare, da un lato, l’ortodossia di Gesù e, dall’altro, la sua coerenza con quanto predica. La Legge prevede la pena di morte per l’uomo e la donna adulteri. Colpisce però che nel racconto evangelico venga menzionata solo la donna: nulla sappiamo di colui che ha consumato con lei l’adulterio ed è suo complice.

La domanda posta a Gesù vorrebbe coglierlo in contraddizione: è lui il vero imputato! Se non ratificasse la condanna, approvando l’esecuzione, apparirebbe come trasgressore della Legge. Nel caso contrario, contraddirebbe la sua prassi di vicinanza ai peccatori e alle prostitute. Volendo lapidare la donna, gli avversari di Gesù decidono di farlo con il minimo coinvolgimento di responsabilità personale. Ma Gesù trova il modo di far cadere le pietre dalle mani di questi giudici spietati, facendo in modo che assumano responsabilità e consapevolezza del proprio peccato.

“Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra” (v. 6)

Dinanzi alla richiesta di scribi e farisei Gesù si china e si mette a scrivere per terra, senza proferire parola. Chinandosi per scrivere con il dito per terra, di fatto, è come se si inchinasse dinanzi alla donna. Che cosa scriva Gesù per terra “con il dito”, non ci è dato sapere. Tuttavia è quello stesso “dito di Dio” che scrisse la Legge di Mosè, che ora agisce nella persona di Gesù e che è capace di ricreare l’uomo corrotto dal peccato.

L’epilogo del racconto dimostra come il cuore di quegli scribi e farisei sia lontano da Dio. Allontanandosi, uno per uno, cominciando dai più anziani, essi rinunciano a giustiziare la donna, ma dichiarano anche la propria lontananza dal Verbo di Dio e la loro indisponibilità all’ascolto. Per questo il loro peccato rimane, a differenza di quello della donna che se ne va via perdonata.

“Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (v. 7)

Gesù poi è costretto a parlare, perché i suoi interlocutori insistono nell’interrogarlo. Gesù, con la sua sentenza, apre una voragine nella presunta sicurezza dei suoi interlocutori: per compiere quel gesto della lapidazione occorre essere senza peccato. Dunque, quegli scribi e farisei non hanno l’autorità per lapidare la donna. Solo Gesù, il Verbo di Dio che toglie il peccato del mondo ed è senza peccato, potrebbe scagliare una pietra. Egli ha l’autorità per farlo ma non condanna. Dinanzi all’insidioso trabocchetto inscenato da scribi e farisei per metterlo alla prova, egli sceglie di confermare la sua prassi di misericordia verso i peccatori. La sua parola colpisce nel segno: gli accusatori se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani.

“Và e d’ora in poi non peccare più” (v. 11)

Quando tutti se ne sono andati, Gesù può finalmente parlare a colei che gli sta davanti. La chiama “donna”, come fa con sua madre a Cana e sotto la croce, con la samaritana e con Maria Maddalena il mattino di Pasqua. Questo appellativo restituisce una dignità a questa persona: non è anzitutto un’adultera e né una peccatrice, ma una donna. Chi l’ha trascinata lì non le ha chiesto nulla e non ha voluto sentire nulla da lei. Gesù, invece, le rivolge la parola e la ascolta: “Dove sono? Nessuno ti ha condannata?” (v. 10).

La donna gli risponde: “Nessuno, Signore” (v. 11). Gesù allora le offre il suo perdono e la invita a non peccare più, accogliendo nella libertà il dono ricevuto. Egli non condanna, perché Dio non condanna. Questa misericordia è un atto di nuova creazione, sufficiente perché la donna possa cambiare. Gesù la perdona, affermando con i fatti che tra Legge e Misericordia vince la seconda. Tuttavia Egli distingue il peccato dal peccatore: però con i suoi gesti e le sue parole dimostra che l’unico modo possibile per estirpare il male del peccato è l’incontro con la Misericordia di Dio.    

Bibliografia consultata: Rossi, 2019.   

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