Religione, Pasqua: Questo è il giorno di Cristo Signore

di Il capocordata

Il testo liturgico del giorno di Pasqua (Gv. 20, 1-9) è parte di un dramma in tre scene che si sviluppano intorno a un sepolcro. I protagonisti sono una tomba vuota e tre discepoli: Maria di Magdala, Pietro e Giovanni. Il racconto traccia il loro percorso dal dolore, per l’assenza del Maestro, all’esperienza della sua presenza. Seguiamo i diversi protagonisti nel loro cammino di fede.

Maria di Magdala (vv. 1-2)

“Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro” (v. 1). Dai racconti degli altri tre evangelisti, sappiamo che alcune donne attesero il termine del sabato per recarsi al sepolcro. L’evangelista Giovanni focalizza il suo racconto soltanto su una di esse: Maria di Magdala. Ella non si reca al sepolcro col desiderio di completare il rito della sepoltura, che era già stato fatto subito dopo la deposizione dalla croce: “Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura” (19, 40). Tuttavia, l’unzione delle donne sul cadavere di Gesù era già stata anticipata e sostituita dal gesto di un’altra Maria, la sorella di Lazzaro, sei giorni prima della Pasqua. Una famiglia che aveva sperimentato l’odore della morte respira un anticipo di risurrezione. Maria di Magdala, dunque, non si reca al sepolcro per “fare” qualcosa, ma per continuare a “stare” con Gesù, a seguirlo.

“Il primo giorno della settimana”: ponendo questa indicazione all’inizio del racconto, l’evangelista evidenzia il significato teologico più che cronologico. Il “giorno primo” suggerisce un nuovo inizio, una nuova genesi (creazione). La novità creatrice di Dio irrompe nella storia umana per compiere una nuova creazione che, come all’origine del tempo, scaturisce dal buio.

“Quando era ancora buio”: pur essendo l’alba di un giorno nuovo, l’evangelista segnala la presenza del buio. Nel quarto vangelo, le tenebre (buio, notte) sono indici di oscurità interiore: l’incarnazione del Verbo scatena una lotta tra luce e tenebre. Anche Maria si reca al sepolcro con la notte nel cuore: in questo giorno nuovo vive il dolore dell’assenza del suo Signore, morto violentemente sulla croce. Giunta al sepolcro, la sua notte si fa più cupa perché anche l’ultimo legame con lui, il corpo, è scomparso.

Maria vede la tomba aperta e vuota, ma non entra. Corre dai discepoli portando l’annuncio dell’assenza: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” (v. 2). E’ bello pensare che al termine del racconto, Maria ripercorrerà quella stessa strada come testimone della presenza, con la luce nel cuore e una proclamazione di vita sulle labbra: “Ho visto il Signore!” (v. 18).

Pietro e l’altro discepolo (vv. 3-9)

Alla corsa di Maria corrisponde la corsa in senso contrario dei due discepoli: il loro movimento viene descritto con una serie di verbi: uscirono, si recarono, correvano. L’altro discepolo arriva prima di Pietro: Giovanni corre verso il sepolcro, dove precede Pietro non soltanto fisicamente, ma anche nella fede: “Vide e credette” (v. 8).

Vedere: il quarto vangelo sottolinea l’importanza dello sguardo. Utilizza diversi verbi per esprimere livelli sempre più profondi di un “vedere” che conduce alla fede e alla testimonianza: essi vanno dal vedere fisicamente, al vedere che conduce all’adesione di fede e alla percezione del mistero, di ciò che sorpassa la mente umana. Giovanni giunge al sepolcro, ma non entra: chinandosi vede il sepolcro aperto e i teli posati. Quando giunge Pietro, entra, vede ma non comprende. Finalmente anche l’altro discepolo entra nel sepolcro: egli vede e crede. La stessa situazione che ha generato l’angoscia di Maria e il silenzio di Pietro conduce ora il discepolo amato alla fede: “credette”. Entrambi lasciano il sepolcro e ritornano a casa.

Credere: è un verbo molto caro a Giovanni, con il quale intende sottolineare l’aspetto dinamico della “sequela Christi”: seguire Gesù crea inquietudine, pone in cammino. Il vangelo stesso è stato scritto come un percorso di educazione alla fede, di crescita nella fede. L’evangelista si rivolge a una comunità che aveva bisogno di continuare a credere, di perseverare nella fede: possiamo pensare a credenti stanchi, disillusi, che avevano perduto l’amore di un tempo. Giovanni scrive perché ritrovino il coraggio di rimanere, riscoprendo l’incontro che ha cambiato la loro vita.

“Vide e credette” (v. 8). L’amore apre alla fede, persino in un luogo dove tutto parla di morte. Per amore Maria rimane e il suo rimanere diverrà incontro (vv. 14-17) e testimonianza (v. 18). Come Maria e il discepolo amato, ognuno di noi è invitato oggi a entrare nel sepolcro per percepire l’assenza del Cristo; è invitato a rimanere e a cercarlo per rinnovare la nostra adesione a lui. Siamo invitati a uscire dal nostro lutto per incontrare il Risorto. La chiusura in ciò che è consueto è il rischio che la comunità credente ha sperimentato fin dai primi passi. Eppure, Parola e Spirito costringono la comunità, e noi con loro, ad uscire dalla tomba del “si è fatto sempre così” per abbracciare una Presenza che ci comprende conducendoci per sentieri inattesi. Buona Pasqua!

Bibliografia consultata: Gatti, 2018.

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