Religione, SS. Corpo e sangue di Cristo

di Il capocordata

Al centro del capitolo 14 del vangelo di Marco si trova la cena pasquale di Gesù (Mc. 14, 12-16.22-26) e l’istituzione dell’eucaristia, il brano scelto per la festa del Corpus Domini. Nella narrazione di Marco degli ultimi momenti della vita di Gesù, Egli si trova alternativamente tra persone che gli vogliono bene e persone che vogliono la sua morte. E’ in questo contesto di incertezza che Gesù dona se stesso ai discepoli come pane spezzato e vino versato; uno degli ultimi gesti che compie di propria iniziativa prima di essere preso, processato e condotto a morte. In questo senso il suo dono si rivela come interpretazione anticipata del significato di quanto subirà in seguito, e chiarisce che egli dona la sua vita da se stesso e nessuno gliela toglie (Gv. 10, 18).

Nella prima parte del brano l’evangelista insiste sul fatto che quella sera Gesù mangia la cena pasquale. Il che tra l’altro significa che la Pasqua ebraica di quell’anno cadeva il giorno seguente, il venerdì, giorno della crocifissione del Signore, giorno che a sua volta, era la Preparazione, la Parasceve del sabato immediatamente seguente. Nella notte della prima Pasqua il sangue degli agnelli aveva protetto il popolo eletto dall’angelo sterminatore. Il rito rievoca l’evento, e dopo la riforma di Giosia si collega ai sacrifici del Tempio, dove gli agnelli vengono sgozzati prima di essere portati nelle case per la celebrazione familiare.

Echi veterotestamentari

Quanto l’evangelista riporta dei gesti e delle parole di Gesù supera qualsiasi sfondo storico o cultuale dell’Antico Testamento. La frazione e la consegna del pane può avere riferimento al pane azzimo che il popolo ha portato via dall’Egitto; il calice di vino può trovare riferimento anche nel calice della libagione con cui si accompagnavano i sacrifici. Le parole di Gesù che interpretano il suo gesto fanno riferimento al sangue dell’agnello pasquale.

Stupisce ancora di più il fatto che Gesù, dopo aver dato loro il calice, dica che hanno bevuto il suo sangue. Il sangue è la vita, e in quanto vita espia. Bere il sangue è bere la vita, bere l’espiazione. I discepoli si trovano animati da una vita che ha preso possesso di loro e li ha trasformati, rendendoli partecipi dell’atto dell’espiazione ad opera di Cristo. Le parole “in verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” (v. 25), esprimono la sicurezza di Gesù di vedere immediatamente la gioia dell’avvento del Regno, e da là attendere i discepoli. Bere al calice sembra, d’ora in poi, quasi valere come un passare per un luogo misteriosamente di dolore e di gioia insieme, con l’effetto di giungere subito a quel Regno atteso fin dalle prime parole del Vangelo: “il Regno di Dio è vicino” (Mc. 1, 15).

Che cos’è l’Eucaristia?

L’Eucaristia è “la fonte e apice di tutta la vita cristiana” (Vaticano II). I primi cristiani perseguitati, interrogati sul perché avessero celebrato l’eucaristia anche se vietato, risposero: “Senza la domenica non possiamo vivere”, che voleva dire: se non possiamo celebrare l’eucarestia la nostra vita cristiana morirebbe.

E’ l’eucarestia che fa la Chiesa. Tutti coloro che mangiano dell’unico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo. “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane“ (1Cor. 10, 17). Sottolineare la dimensione comunitaria potrebbe rivelarsi utile nel contesto contemporaneo sempre più individualista e privo di legami.

Nel mangiare il suo corpo e nel bere il suo sangue Cristo Gesù ci dona la sua vita, entriamo in comunione con lui. L’eucaristia ci assimila, ci conforma a Cristo, ci fa divenire membra del suo corpo, una cosa sola con lui. Questo significa che, come lui, anche noi dobbiamo farci pane spezzato per i nostri fratelli. E’ necessario alimentarsi al “pane della vita” per poter promuovere una società più giusta e solidale, che sappia mettere al centro il bene del fratello bisognoso, e non i propri interessi.

Gesù, tu sapevi quello che stava per rovesciarsi su di te quella notte e tuttavia eri pronto, deciso ad andare fino in fondo. Non volevi sottrarti miracolosamente alla violenza che si stava scatenando e che ti avrebbe tolto di mezzo. Ma prima di affrontare la passione e la morte, hai voluto offrire ai tuoi il gesto che riassume tutta la tua vita, il che continua a renderti presente, il gesto che accompagna il tuoi discepoli lungo il cammino della storia.

Sì, la tua esistenza è stata proprio questo: un pane spezzato per la salvezza del mondo, un pane offerto e donato fino all’ultimo, un pane di felicità e di pace, un pane di solidarietà e di misericordia da condividere come fratelli, figli della stessa famiglia. Perché arrivasse proprio a tutti, il tuo corpo doveva essere frantumato, il tuo sangue doveva sgorgare, essere versato dalla croce.

Attraverso il pane e il vino, sui quali ripetiamo le parole di quella sera, tu continui a renderti presente, Gesù, in mezzo a noi, tuoi discepoli. E diventi nostro cibo e nostra bevanda, nostro viatico nel pellegrinaggio terreno, nostro nutrimento per affrontare le difficoltà e raggiungere un approdo di grazia.                                                                                                                  

 

Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Massimi, 2018; Laurita, 2018.

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