Tuscia. Scatta “l’allarme nucleare”per il Deposito nazionale rifiuti radioattivi

A luglio consultazione della Sogin per indicare il sito dove collocare le scorie nucleari. Alfiero Grandi: “Pericolo concreto per la Tuscia”

Deposito scorie nucleari, mappa

Deposito scorie nucleari, mappa

È allarme rosso per la Tuscia: il rischio che nella zona si collochi il “Deposito nazionale scorie nucleari e rifiuti radioattivi” è alto. Infatti all’inizio di luglio si concluderà la consultazione prevista dalla Sogin, che l’anno scorso ha pubblicato la Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), individuandone 67 su tutto il territorio nazionale, di cui oltre 20 solo nella Tuscia, e che successivamente indicherà il sito dove collocare le scorie nucleari radioattive.

Ad intervenire è Alfiero Grandi, presidente nazionale dell’Associazione “Si alle rinnovabili No al nucleare” all’epoca della campagna referendaria del 2011 contro il nucleare.

La scelta dei siti

“La Sogin – spiega Grandi – all’inizio del 2021 ha reso pubblici i 67 luoghi ove ritiene possibile costruire il deposito delle scorie nucleari in Italia. Numerosi sono nella Tuscia e a Montalto di Castro. Tra questi, 3 luoghi sono indicati dalla carta dei siti con colore verde, quindi sono di prima scelta. L’amministratore delegato della Sogin, parlando alla Commissione ambiente della Camera all’inizio di aprile, ha dichiarato che la scelta dei 67 siti è avvenuta sulla base di conoscenze e mappe esistenti, confermando che non sono stati effettuati studi e verifiche. In sostanza non ci sono basi scientifiche e sociologiche aggiornate che consentano di ritenere effettivamente idonee queste aree, perché individuate con un lavoro approssimativo e carente”.

I timori sono fondati

Se non bastasse “L’amministratore delegato della Sogin – evidenzia Grandi – nell’audizione alla Camera ha indicato il Lazio come baricentrico nelle scelte, commettendo un fallo preoccupante, perché fino ad allora aveva sempre sostenuto di non aver maturato una decisione. In realtà si era già definita una scelta non esplicitata. Per questo non ci si deve fidare delle rassicurazioni del tipo: ‘ma tanto non si farà qui’. Il rischio è concreto e in altre aree si stanno sviluppando forti reazioni negative che nella Tuscia sono ancora troppo deboli e incerte”.

Il deposito: da provvisorio a permanente

“Va sottolineato – commenta Grandi – che le scorie ad alta intensità radioattiva richiedono trattamenti continui per un lunghissimo periodo e una conseguente custodia blindata. Il problema è che per queste scorie più pericolose, che emetteranno radioattività fino a 10.000 anni e non c’è al momento alcuna destinazione definitiva. È quindi evidente il rischio che il deposito cosiddetto ‘provvisorio’ diventi permanente”. 

Il conseguente “annichilimento” della zona

“Costruire il deposito delle scorie a Montalto di Castro e nella Tuscia è inaccettabile perchè le caratteristiche socio-economiche della zona soprattutto dopo la bonifica (vocazione agricola specializzata e turismo) e quelle socio-culturali (parco di Vulci, area di Tarquinia, Ansedonia ecc.) obbligano a farsi carico delle condizioni attuali della zona, che non può essere degradata”.  

La proposta di Greenpeace

Greenpeace – propone poi Grandi – ha avanzato una proposta alternativa semplice e ragionevole. È necessario bonificare precedenti aree nucleari, con rifiuti già presenti in loco che possono contaminare il territorio. Tra queste, le aree ex nucleari potrebbero essere utilizzate per uno o più depositi delle scorie radioattive, con l’impegno contestuale a bonificare le zone già inquinate. Così si eviterebbe di deturpare altro territorio che attualmente non lo è e finalmente dopo decenni inizierebbe il risanamento delle aree in questione”.

È necessario agire

“La popolazione della Tuscia – ha concluso infine Grandi – non deve subire altre vessazioni sul suo territorio. Le scorie nucleari radioattive sono pericolose, le emissioni e i relativi pericoli sono reali e la gestione dei problemi deve essere all’altezza delle preoccupazioni e dei pericoli e soprattutto non ci può essere una gestione all’insaputa delle popolazioni che ne subirebbero le conseguenze”.

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