Antonello Colonna: “La Roma? È come la Carbonara”

Intervista esclusiva allo chef stellato Antonello Colonna che parla del suo amore per la Roma e molto altro

Questa mattina la nostra Redazione ha contattato lo chef Antonello Colonna che ci ha concesso un’intervista esclusiva. Antonello Colonna, chef di fama internazionale, è una delle punte di diamante della cucina italiana che è riuscito a conquistare l’ambitissima stella Michelin. I suoi ristoranti, da Istanbul a Londra, sono la meta di molti personaggi famosi. Da ottobre dello scorso anno, Colonna è anche presentatore del programma televisivo Hotel da Incubo in cui lo chef tenta di aiutare gli alberghi in crisi. Nel cuore dello chef, però, non c’è solo la passione per la cucina, ma anche quella per il calcio e nello specifico per la Roma.

Lei ha sempre affermato di essere un tifoso della Roma. Come è nata la sua fede giallorossa?

«La mia passione per la Roma nasce nel lontano 1974 quando all’età di 18 anni, appena diplomato alla scuola alberghiera, ebbi la fortuna di lavorare in un albergo ai Catelli Romani in cui veniva in ritiro la Roma. Prima probabilmente, come succede un po’ in tutti i ragazzini, la fede calcistica era legata alle squadre più forti. Per un ragazzo giovane, di 18 anni, come me ritrovarsi a lavorare in un ristorante in cui veniva una squadra di serie A, in cui a quell’epoca militavano Cordova, Spadoni, De Sisti e tanti altri fu un vero e proprio colpo di fulmine. Da lì cominciai ad innamorarmi della Roma che spesso quando partiva da Villa Fiorio mi portava con sé sul pullman sino all’Olimpico dove andavo a vedere le partite. Da quegli anni le emozioni sono cresciute sempre di più riuscendo a coinvolgere anche mio figlio Andrea e mio nipote Gianluca, anche loro romanisti doc. Essendo stato cuoco ufficiale di Italia 90, portavo con me Andrea e Gianluca in ritiro, dove c’era anche il capitano della Roma Giannini, e quindi la fede è sempre più cresciuta sino a coinvolgere loro. Sono stato, dunque, sempre vicino alla società, sono amico, difatti, della famiglia Sensi, della famiglia Viola, a cui ho avuto l’onore di organizzare il matrimonio del nipote del presidente Viola. Ho avuto anche una rubrica sul Romanista dal titolo “Vi rubo un Minuto”, in cui in un minuto presentavo la storia di una ricetta romana. La Roma per me è una missione, sono abituato a gioire e soffrire e sono felice di questo. Io amo il calcio come una disciplina scientifica che ha un linguaggio che spesso uso anche in cucina con i miei ragazzi».

Dunque, in cucina usa delle metafore calcistiche per dare delle indicazioni al suo personale?

«Uso sempre metafore calcistiche anche nella vita. La sera si scende in campo per affrontare un nobile avversario che è il cliente che non ti da margine di errori. Spesso uso il linguaggio del calcio sia in sala che in cucina con i miei ragazzi, tutti appassionati di calcio, che percepiscono alla perfezione queste metafore. Uso questo linguaggio per fare degli esempi, per citarne uno la cucina per me è oggettiva non soggettiva, un po’ come gli allenatori che riescono sempre a creare qualcosa di nuovo. Esiste il calcio moderno che in cucina può significare degli ordinamenti che prendono pieghe diverse, o il catenaccio che in cucina potrebbe essere la tradizione popolare. Inoltre, per esempio, non esistono più i punti di riferimento che nel calcio erano i numeri 2, 3, 4, adesso ci sono le maglie con i numeri 70, 60, questo in cucina potrebbe essere accostato al fatto che non esistono più gli antipasti, i primi, i secondi. ».

Qual è il giocatore a cui si sente più legato della squadra capitolina?

«Uno dei giocatori a cui mi sento più legato, forse perché l’ho conosciuto quando avevamo all’incirca la stessa età, 18-19 anni, è Francesco Rocca. Rocca è un giocatore che nessuno può dimenticare per la sua forza, per il suo agonismo e per la sua passione. Non posso fare il nome di Francesco Totti perché non lo conosco personalmente. Altri giocatori a cui sono legato sono Cordova e De Sisti, ma non sicuramente a livello di Rocca. Sono rimasto più legato alle società che ai giocatori, conoscevo bene i Viola e i Sensi che sono stati sempre miei ospiti nel mio ristorante. Io amo la maglia e la Roma, è difficile innamorarsi di un giocatore soprattutto vedendo il mercato odierno. Prima era differente, i calciatori si legavano più facilmente alle maglie. Adesso basta vedere Napoli, città molto legata al calcio, in cui Higuain stava per prendere il posto di San Gennaro, ma ora veste la maglia dell’acerrima rivale, la Juventus. Sono cose con cui bisogna convivere e accettare, oggi è  tutto orientato verso il business».

A suo avviso, quest’anno la Roma, attualmente seconda in classifica, dove può arrivare?

«Beh, male che vada potremmo arrivare secondi ![ride]. La squadra potrebbe essere pronta a conquistare lo scudetto e il 18 dicembre, in occasione dello scontro diretto, potremmo sorpassare la Juventus che è adesso a più 4 punti, ma quattro punti sono nulla. Negli ultimi anni, la Roma sta lì vicino la vetta ed è una squadra pronta per il titolo. L’anno scorso, per esempio, se il campionato fosse durato tre giornate in più, magari saremmo arrivati secondi davanti al Napoli. La Roma ha una continuità che le altre squadre non hanno e i sondaggi, difatti, confermano che l’anti-Juve è la Roma».

Lei è un famosissimo chef, se dovesse associare la Roma ad un piatto quale pietanza sarebbe?

«La carbonara. Sicuramente la carbonara in tutti i sensi come i moti carbonari. Questo è un piatto popolare come lo è la città di Roma. È un piatto pieno di misteri, c’è chi dice che sia nato in un certo modo rispetto ad un altro. L’ultima associazione è quella che c’è chi ritiene che la carbonara sia stata inventata dagli Americani dopo lo sbarco e adesso la squadra giallorossa è proprio in mano ad un gruppo americano ».

 

Intervista a cura di Marco Spartà

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