Covid-19 e virologi, Crisanti stronca l’Oms e lo studio sul virus indebolito

Il medico romano contesta le nuove linee guida della World Health Organization e boccia la ricerca della Regione Veneto. Intanto dagli Usa arriva un approccio rivoluzionario

Spallanzani, andrea crisanti

Spallanzani, andrea crisanti

Quello tra Covid-19 e virologi è un binomio che abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene nel corso di questa pandemia. Costantemente sollecitati da giornali e televisioni, gli esperti sono divenuti delle vere e proprie star, con tanto di fan club al seguito. Tra quanti hanno ottenuto dei risultati davvero concreti spicca senza dubbio Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova. E, soprattutto, colui che, anche con metodi talvolta eterodossi, ha di fatto salvato il Veneto dopo lo scoppio del focolaio di Vo’.

E ora, con il suo abituale stile senza peli sulla lingua, ha stroncato in un colpo solo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il collega Roberto Rigoli. Primario del reparto di Microbiologia all’ospedale di Treviso e supervisore di uno studio che dimostrerebbe che il virus si è indebolito.

Covid-19 e virologi, lo studio di Rigoli

«Non c’è nulla da commentare: non si può commentare con un argomento scientifico una cosa che non è Scienza». Così Crisanti ha liquidato senza mezzi termini l’indagine preliminare sui risultati di 60mila tamponi realizzata dalla Regione Veneto. Che, come illustrato dal professor Rigoli, l’uomo scelto dal Governatore Luca Zaia per coordinare le attività microbiologiche regionali, evidenzierebbe due importantissime novità.

La prima è che «la quasi totalità dei positivi è asintomatica o ha sintomi lievi, paragonabili a una normale influenza». Il che significherebbe che il patogeno è divenuto «poco aggressivo»e di conseguenza«meno contagioso». Forse per il calore, benché Rigoli non sia apparso convinto, citando l’esempio del Brasile, dove «il Covid ne sta ancora combinando di tutti i colori». E dove però, essendo le stagioni invertite, al momento è inverno.

La seconda scoperta è che «una buona parte di chi risulta positivo al tampone, in realtà non è infettante – cioè non è in grado di contagiare altre persone». Questo perché nei bronchi tendono a rimanere frammenti del microrganismo che, seppur inerti, finiscono per rendere il test positivo.

Covid-19 e virologi, Crisanti contro tutti

Crisanti, però, si è mostrato scettico – e a monte, a partire dalla metodologia. «Chi parla dell’infettività di questo virus non sa quello che dice», l’attacco dello scienziato romano. «L’infettività si misura sperimentalmente, e sull’uomo non è possibile fare nessun esperimento e non esiste un modello animale. Senza numeri e senza misura non è scienza, sono solo chiacchiere».

Rigoli, comunque, non si è fatto impressionare. «La bassa/assente infettività è stata valutata su due fronti» ha controreplicato. «Il primo epidemiologico, monitorando i contatti stretti dei pazienti con carica bassa, il secondo seminando su colture cellulari i campioni appartenenti sempre a pazienti con bassa carica. Dati preliminari» ha aggiunto, «dimostrano che solo un’esigua minoranza di questi campioni risulta positiva in colture cellulari».

Secondo Crisanti, però, il fatto che le persone non si ammalino come prima si deve «all’uso di mascherina e distanza che riducono la carica virale». E, si potrebbe aggiungere, alla bella stagione che riduce l’impatto dell’influenza e, dunque, la frequenza dei veicoli di contagio come gli starnuti.

Anche a proposito degli studi che fanno riferimento a una mutazione genetica che avrebbe indebolito il patogeno, poi, il virologo è stato tranchant. «Non sono attendibili, perché basati su osservazioni estemporanee e non su un esperimento. Per capire se è vero bisogna infettare un animale e vedere cosa succede, ma per ora non abbiamo un modello animale per capirlo».

Le nuove linee guida dell’Oms

Gli esiti della ricerca co-condotta da Rigoli mostrano comunque delle affinità con le nuove linee guida dell’Oms sulla lotta al coronavirus. Secondo la World Health Organization, infatti, non è più necessario, oltre alla guarigione clinica, un doppio tampone negativo a distanza di almeno 24 ore. Le ultime raccomandazioni prevedono che bastino tre giorni senza sintomi, inclusi febbre e problemi respiratori. Pazienti con queste caratteristiche potrebbero ancora risultare positivi al tampone, ma «è improbabile che siano infettivi».

Ça va sans dire, Crisanti non ha gradito affatto questa ennesima giravolta. «Un altro elemento di confusione» diffuso da un ente che «non ha brillato per tempestività ed esattezza», la stoccata.

Non è la prima volta che lo scienziato contesta la gestione dell’epidemia da parte della WHO, e anche nell’occasione non ha risparmiato critiche all’istituto dell’Onu. Parlando di «messaggi che mancano di coerenza» e lasciano sconcertati anche i Governi. Non a caso, il Ministro della Salute Roberto Speranza ha preferito la linea della cautela, chiedendo al Comitato Tecnico-Scientifico di approfondire il documento dell’Oms.

«Non so su quali basi abbiano fatto queste dichiarazioni» ha rincarato la dose Crisanti durante un’intervista televisiva. «La scienza è misura, mi chiedo quali siano i dati su cui» si è fondata l’analisi dell’organizzazione diretta dall’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Il medico romano ha respinto anche l’idea di una scarsa trasmissibilità della malattia da pazienti asintomatici. «Dall’indagine sierologica condotta a Vo’ Euganeo, si è visto che c’erano 150 persone infette al 22 febbraio. Se è vero che il virus vi è entrato nella terza settimana di gennaio, come è possibile che nessuno sia andato in ospedale fino al 20 febbraio? Come è stato trasmesso se non da chi non aveva sintomi?»

Un approccio rivoluzionario

Intanto, mentre l’opinione pubblica continuava ad appassionarsi a Covid-19 e virologi, è passato sotto silenzio un approccio che potrebbe davvero rivoluzionare la battaglia contro il coronavirus. Si tratta di una sonda tascabile in grado di trasmettere immagini a ultrasuoni direttamente a un tablet o a un telefono cellulare. Ne ha parlato Scientific American, una delle più antiche e prestigiose riviste di divulgazione scientifiche al mondo.

Si tratta di una tecnica già usata per monitorare le funzioni cardiache, che un medico di una clinica texana ha applicato ai polmoni. In pochi minuti, questo strumento è in grado di rilevare eventuali danni polmonari in modo anche più accurato rispetto ai tamponi. Per esempio, può accertare un’infiammazione anche in caso di falso negativo o in presenza di sintomi leggeri. Inoltre, permette di svolgere i test direttamente nella stanza del paziente, in modo più rapido e più facile, accorciando anche i tempi della sterilizzazione.

Ciò non significa che questo macchinario debba sostituire gli attuali standard diagnostici, ma li potrebbe tranquillamente affiancare. E, in attesa del sospirato vaccino, qualunque arma in più contro il virus è certamente la benvenuta.

Lascia un commento