Covid e paura, storia di dipendenza psicologica da qualunque restrizione

La paura, a parole hanno voluto esorcizzarla, “Andrà tutto bene”, ma nei fatti è stata coltivata, con la sfilata di bare e i bollettini “di guerra” dei contagiati e dei morti

mascherina in auto

Uso della mascherina in auto

Chi, avendo posizioni critiche nei confronti di mascherine all’aperto, vaccini per tutti più o meno obbligatori, chiusure e green pass, si sia trovato a parlarne con persone di diversa opinione, si sarà probabilmente trovato di fronte a una irrazionale resistenza ad argomentare nel merito.

Il virus della paura

Inutile parlare della Svezia e dei suoi attuali contagi ridotti a zero, senza aver imposto alcun obbligo ai suoi cittadini, inutile parlare di Israele e del suo 70% di malati gravi vaccinati a fronte di una vaccinazione della popolazione del 60%. Tutto questo non serve a nulla, ci si trova di fronte a un muro di opposizioni verbali, di carattere generico ,emotivo e fuorviante, che impediscono qualsiasi analisi pacata. Qualcuno ammette, con rara onestà: “Ma io ho paura!”.

Ecco, la paura, l’agente segreto dei nostri tempi. A parole hanno voluto esorcizzarla, “Andrà tutto bene”, ma nei fatti è stata coltivata, in maniera violenta prima, con la sfilata di bare sui camion militari, poi in modo pervasivo e costante con i bollettini “di guerra” dei contagiati e dei morti. Non a caso, per sottolineare la dimensione bellica ,è stato posto a capo della campagna vaccinale un generale che non si perita dal presentarsi in pubblico con la divisa militare, come se un magistrato avesse l’obbligo di mostrarsi, per altri uffici diversi dai suoi propri, con la toga. La paura è diventata quindi l’oggetto principale, anzi l’unico, della comunicazione governativa, con i mezzi d’informazione che, ossequienti,(quasi tutti), l’hanno doverosamente amplificata.

È istruttivo allora, vista la dimensione psicopatologica della situazione, un confronto con il fenomeno, appunto psicologico, chiamato Sindrome di Stoccolma. In breve, nel 1973 in Svezia alcuni malfattori sequestrarono delle persone durante una rapina. Esse, a differenza di quanto “logicamente” ci si sarebbe aspettato, non maturarono sentimenti di odio nei confronti dei loro sequestratori, ma di comprensione e, addirittura, di amore.
La Dott.ssa Samanta Travini, psicologa, descrive, in “La sindrome di Stoccolma, quando la vittima giustifica il carnefice (anche in amore)”, reperibile su ohga.it, le condizioni che rendono possibile la creazione di questo legame perverso fra vittima e carnefice.

Le elenchiamo brevemente:

1)Una minaccia, reale o percepita, per la propria sopravvivenza fisica o psicologica e la convinzione che il rapitore può essere pericoloso. 
2)Una piccola gentilezza da parte del rapitore alla vittima. 
3)L’isolamento della vittima da altre prospettive.
4)Incapacità percepita o reale di fuggire dalla situazione. 

È facile il gioco di sostituire alla parola “rapitore”, alternativamente “epidemia” o “governo”, là dove serve. Si è quindi creata una forte dipendenza psicologica fra le ragioni del Governo, che si presentano come esclusive possibilità di soluzione del problema, e gran parte della popolazione. L’analogia è ancora più stringente se si pensa che hanno letteralmente sequestrato l’intera popolazione italiana, in casa per lunghi mesi.

Tornando quindi al discorso iniziale, è probabilmente illusorio riuscire a spezzare questo meccanismo perverso, di carattere psicologico, che condiziona le persone dal profondo del loro essere, con argomenti razionali. Questi sono utili solo con persone (poche, rispetto alla totalità) che, per vari motivi, hanno avuto la fortuna di non cadere nella trappola. Ma loro, probabilmente, sono arrivati già alle tue stesse, identiche conclusioni.

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