Dad, non solo perdita di contatto: aumenta anche la dispersione scolastica

I ragazzi hanno bisogno di tornare in contatto con la terra, i loro coetanei e gli spazi aperti

Dad e istruzione. Da oltre un anno in balia di una pandemia da coronavirus che ha colpito tutto il mondo, alunni e insegnanti si misurano con la Dad, didattica a distanza, un modo diverso di studiare attraverso un computer. Una metodologia utile per evitare i contagi, ma che espone a disaffezioni, limita la socialità e la verifica da parte dei docenti sull’efficacia della comunicazione. Inoltre stare tanto tempo davanti ad uno schermo, non giova alla salute, alla vista, al benessere psicofisico. Non capire le lezioni a causa dei problemi di connessione, perdersi passaggi importanti di una spiegazione, non avere i compagni vicini, non sempre facilita il compito del corpo docente che si sta facendo in quattro per garantire la continuità scolastica. Per non parlare poi delle verifiche, dove risulta quasi impossibile comprendere il vero grado di preparazione degli alunni. Un bel rompicapo.

Mezzi affollati e altre contraddizioni: ma le scuole restano vuote

L’anno scorso, con il primo lockdown di marzo, le scuole di tutti gli ordini e gradi sospesero le lezioni in presenza e conclusero l’anno in DAD.  Quest’anno invece, almeno prima dell’ultimo Dpcm di Draghi, le scuole erano aperte, anche se il liceo ha studiato quasi sempre da casa. Il problema principale resta l’affollamento dei mezzi di trasporto che sgretola tutti i sacrifici del distanziamento sociale e delle sanificazioni degli ambienti. Scogli insuperabili a quanto pare per la nostra classe politica.

Dad: dispersione scolastica e disuguaglianze sociali

La DAD resta dunque l’unica soluzione percorribile e si sta rivelando abbastanza efficace, anche se con zone d’ombra che s’intravedono all’orizzonte. Quanto questo possa influire sulla preparazione e sulla psiche dei giovani lo abbiamo chiesto allo psicologo, psicoterapeuta e scrittore, Paolo Raneri, che segue diversi studenti provenienti da ogni regione d’ Italia e raccoglie materiale utile per un libro di prossima uscita, un romanzo educazionale, ambientato in Giappone che parla di overdose da tecnologia.

“Come ricercatore e analista credo che il problema non sia tanto se la DAD sia funzionale o meno, ma quali solchi lasci. Iniziamo col dire che per prima cosa ci vuole un dispositivo adeguato , fatto che genera una difformità di accesso fra chi ha le risorse economiche e tecnologiche e chi invece deve accontentarsi. Informiamo i genitori su questo valore, prepariamoli a scelte consapevoli. Ho visto miriadi di mamme che impazzivano per comprendere su quale tablet orientarsi, badando al prezzo e non alle caratteristiche, mentre i figli indifferenti giocavano al reparto cuffie.

In Italia il supporto tecnologico è ad oggi molto scarso e questo crea differenze sociali fra gli allievi (…) Il mondo digitale divide e a volte accresce una dispersione scolastica meno presente in aula. Per la situazione del momento la DAD è un’ottima risorsa, ma le lacune restano e i ragazzi non potranno recuperare in un tempo incongruo quello che hanno perso in uno o due anni”.

I videogiochi sono nemici o alleati della situazione attuale?

“Teniamo a mente che i neurotrasmettitori usati per i videogiochi sono gli stessi che servono nell’apprendimento. L’adrenalina poi manda in blackout la memoria ‘’.

Perciò o studi o stai alla playstation? Esattamente , molti studenti lo fanno anche durante la DAD. Non solo si distraggono, ma con addosso quello stato adrenalinico da sfida non sono più in grado di memorizzare i concetti. I videogiochi remano contro lo studio.

Al contrario di quanto si possa pensare, invece, a sorpresa, alcuni scolari con il deficit dell’attenzione sono migliorati; avendo il professore tutto per sé si sono concentrati meglio mentre nel contesto classe si distraevano con maggiore facilità. Sono allievi che daranno il meglio di loro stessi all’università dove potranno dedicarsi a una materia per volta senza disperdersi in molti rivoli”.

Com’ è cambiata la DAD rispetto al passato?

“La DAD di oggi è un collegamento in videochiamata con l’intera classe , un’idea diversa da quella universitaria dove gli specializzandi, venivano esortati a scaricare materiale on line per arricchire lo studio. Quello che credo sia facile comprendere è che la DAD rappresenta uno strumento più adatto ai ragazzi grandi che non ai bambini delle elementari, dove si rende necessaria la presenza in casa di un adulto con il compito di mediare”.

Poi allo psicologo viene chiesto: il dibattito sulla validità pedagogica della didattica a distanza continua a presentarsi. C’è il rischio di un ottundimento digitale?

“Non ci dimentichiamo che parliamo della generazione Z. I nostri ragazzi sono abituati alla tecnologia, alla comunicazione a distanza, ma ricordiamo che l’astronauta per reggere l’isolamento che dura due anni, per sopravvivere, insomma, deve contattare gli affetti familiari. I nostri studenti, che non si muovono più dalla loro camera, sono in quella stessa capsula e cercano contatti con la terra. Purtroppo dopo la DAD, non escono, non hanno relazioni sociali . Terminata la lezione vanno su Tik Tok, su Instagram, fanno videochiamate, scrivono su Whatsapp, stanno su Zoom, perciò il loro mondo sta diventando sempre più virtuale. L’elettronica di consumo, lo smartphone, Netflix, Spotify sono il loro pane quotidiano. La DAD dovrebbe essere uno strumento emergenziale di breve durata per restituirli quanto prima alla vita vera, a un cortile, a una partita a pallone, a un gelato con gli amici, a una corsa sulla spiaggia”.

Anna Mirabile

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