Delitto Serena Mollicone, la difesa: tentativo stupro finito nel modo peggiore

“La famiglia Mottola e i carabinieri sono sempre stati prosciolti nei primi processi, finché non è uscita la storia della porta”

Non c'è ancora pace per il padre di Serena Mollicone, la vittima del delitto avvenuto ad Arce, in provincia di Frosinone, il 1 giugno 2001. La 18enne, secondo l'accusa sarebbe stata uccisa in caserma e i colpevoli sono ancora ufficialmente ignoti anche se ci sono degli indagati, il maresciallo Franco Mottola, accusato di omicidio, sua moglie e il figlio Marco, accusati di favoreggiamento. Il sottoufficiale Vincenzo Quatrale è indagato per concorso in omicidio e il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento.

Secondo l'accusa inoltre l'arma del delitto sarebbe una porta.

Leggiamo la versione di Carmelo Lavorino, criminologo, investigatore, giornalista e consulente della difesa della famiglia Mottola. 

L'abbiamo vista anche ieri sera 16 novembre nel programma di Rete 4 “Quarto Grado”, Lei definisce l'indagine svolta finora apodittica, ideologico-mediatica e non congruente alla logica dei fatti. Le indagini ad oggi, nel novembre 2019 hanno chiesto il rinvio a giudizio per 5 persone, di cui tre carabinieri, ma qual è la versione portata dalla difesa con la quale Lei collabora?

"Innanzitutto noto che vi è stato uno squilibrio ieri sera nello studio di 'Quarto Grado', fra la presenza degli accusatori di Mottola e noi difensori, sia per i tempi di collegamento che per quanto riguarda gli interventi in studio.

Inoltre è stato detto che l'impronta sul nastro adesivo è di un carabiniere, ma questa è una costruzione ideologica, l'impronta per ora è solo dell'assassino, e si dovrebbe chiamarlo esclusivamente così per non creare ancora idee tendenziose.

La famiglia Mottola e i carabinieri sono sempre stati prosciolti nei primi processi, finché non è uscita la storia della porta, messa in giro probabilmente da qualche Pm, ma si tratta di un'intuizione che è stata consacrata senza elementi. Porta che del resto è rimasta sette anni attaccata al suo stipite!"

Parliamo di Santino Tuzi, il suicidio che complica o forse dice molto su questo caso.

"Tuzi la sera del 1 giugno, data della scomparsa della ragazza, era presente quando il padre di Serena aveva denunciato la scomparsa della 18enne. Questo carabiniere parteciperà alla ricerca della ragazza senza dire di averla vista la mattina precedente alla sua sparizione. Ha perfino partecipato alle indagini per omicidio dopo il ritrovamento del cadavere e ancora non dice di averla vista viva la mattina prima.

Santino Tuzi il 29 marzo 2008 dichiara di voler ritrattare, gli dicono di ritornare alcuni giorni dopo. Ritratterà il 9 aprile, l'intera versione che aveva dato, sotto pressione perché per diverse ore viene minacciato, non viene concesso l'avvocato che gli spetterebbe, ma purtroppo non abbiamo i Cd audio, che però sappiamo esistere.

In ogni caso Tuzi ritratta la ritrattazione e dice di aver visto entrare in caserma la Mollicone, poi il giorno dopo si spara.

Il profilo di Tuzi è di una persona depressa, con enormi problemi affettivi. Era intercettato quando si è tolto la vita, per questo abbiamo la registrazione del suo suicidio in diretta telefonica con la sua amante. Per questo non lo riteniamo attendibile".

Esaminiamo allora il luogo dell'omicidio, la caserma secondo l'accusa

"Questa ipotesi si basa sul sequestro della porta del 2007, il maresciallo Mottola era già fuori servizio da anni. Ma questa presunta arma del delitto si basa su ipotesi e non su prove. Si tratta di un'ammaccatura all'altezza di un metro e 54. La porta viene inviata a Milano presso il centro della dottoressa Cattaneo Labanof, conclude che la porta è l'arma del delitto, ma secondo noi la ragazza non è stata uccisa in caserma".

Quindi come sarebbe morta la vittima?

"La ragazza è svenuta con un colpo scagliato probabilmente con una mazza o un bastone, che ha ricevuto sull'arcata sopraccigliare sinistra ed è stata colpita anche allo zigomo dello stesso lato.

Non vi è quindi stata alcuna spinta verso la porta. La ragazza è alta 1 metro e 55, e la lesione sulla tempia si trova ad un metro e 46 da terra. La frattura porta all'altezza 1,54 sarebbe secondo la Cattaneo compatibile. Ma se la ragazza è alta 1,55 non vi è alcuna compatibilità con 1,54, ed è talmente evidente che solo l'incompetenza o la cattiva fede possono spiegare un tale errore. Il centro Labanof è stato pagato circa 200mila euro fino ad ora, quindi credo che manchi il coraggio di dire che è stato speso tutto questo denaro per incompetenza e bugie".

 

 

Immagine dell'ammaccatura della porta

Ricostruzione del cranio in resina e della lesione

 

Insomma la linea di difesa si basa su due cardini fondamentali:

Santino Tuzi, il brigadiere che si è suicidato, non è attendibile per via dell'instabilità mentale ed emotiva del soggetto e la porta non sarebbe l'arma del delitto.

E la questione del nastro adesivo con cui sarebbe stata legata? A chi appartiene l'impronta al suo interno?

"All'interno del nastro adesivo che legava le gambe della ragazza è stata ritrovata un'impronta papillare che deve essere dell'assassino o di un complice. L'impronta non appartiene al maresciallo Mottola né al figlio o alla moglie.

Quindi nulla lega questa prova alla famiglia Mottola. Solo la dichiarazione dell'instabile Tuzi mette in ballo la famiglia Mottola. Il quale si è suicidato anche perché non reggeva alla menzogna dichiarata. Nel nastro non ci sono frammenti di terra, brecciolino, foglie e qualsiasi elemento si trovi in un bosco. La ragazza è stata uccisa altrove e poi il suo corpo come un pacchetto, trasportato e occultato nel bosco".

 

Ma quindi chi avrebbe ucciso Serena Mollicone e quale sarebbe il movente?

"Noi del gruppo di difesa abbiamo presentato al giudice delle indagini preliminari due nomi che chiaramente non posso rivelare alle quali ci risulta che non siano state prese le impronte digitali, si vedrà se una delle due avrà impronte compatibili con quella del nastro adesivo.

Si tratta di una persona adulta di cui lei poteva avere anche una soggezione; il profilo del criminale è di qualcuno che si scusa per il suo gesto, lo capiamo dal tipo di sepoltura e dal trattamento del cadavere, Cit: la chiamiamo undoing 'uscire di scena chiedendo scusa alla vittima'.

Quando la ragazza è stata colpita era nuda, ma è stata sepolta vestita nel bosco in cui è stata rinvenuta. La ragazza era nuda perché non vi sono tracce di sangue sui suoi vestiti, e la “ferita del pugile” cioè quella che riguarda l'arcata sopraccigliare è una zona che sanguina copiosamente quando viene ferita. Tracce di contatto sessuale non sono state rinvenute né sul corpo ne sugli indumenti.

In sostanza si tratta di un tentativo di stupro finito nel modo peggiore", conclude Carmelo Lavorino, criminologo, investigatore, giornalista e consulente della difesa della famiglia Mottola.

 

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