Due giorni, due donne, due uomini in divisa che uccidono

La provincia di Roma scossa da gravissimi fatti di violenza di genere. Femminicidi compiuti da uomini in divisa con pistole d’ordinanza

Uomini in divisa

Annamaria Ascolese, Antonio Boccia

La provincia di Roma scossa da gravissimi fatti di violenza di genere. Femminicidi dei quali continuano a macchiarsi uomini in divisa, dotati di pistole d’ordinanza. Una casistica sulla quale riflettere.

2 giorni, 2 tragedie: a Fiumicino e a Marino

Due giorni, due donne, due divise: da Isola Sacra, nel comune di Fiumicino, litorale a nord di Roma, a Marino, nei Castelli Romani appena a sud, lungo la direttrice Appia. Un lembo di terra, quello immediatamente al di fuori del Grande Raccordo Anulare capitolino, che continua a raccontarci storie di inusitata violenza di genere.

Storie nelle quali le vittime sono le donne. Non giovanissime, né anziane. Di mezza età. Nel bel mezzo delle loro vite, abbastanza adulte da aver consentito loro di radicarsi nei gangli della società e aver maturato l’inizio di carriere professionali appassionanti, in lavori nei quali il centro è spesso l’altro da sé.

Vite pronte a donare e a donarsi per il bene altrui

La donna 42enne morta assieme – e probabilmente per mano – del marito finanziere a Isola Sacra, era infatti un’infermiera conosciuta per aver operato presso le cliniche San Raffaele dei Castelli Romani, terra di dove lei era originaria.

Annamaria, invece, la maestra di Marino, originaria di Sarno, nel salernitano, come il coniuge divenuto suo aguzzino, è morta cinque giorni dopo aver lottato nella sala di terapia intensiva dell’ospedale San Camillo di Roma. Dal pomeriggio di venerdì ha continuato a subire operazioni delicatissime presso l’ospedale dove è stata trasportata in fin di vita, colpita da tre proiettili.

La donna aveva poco meno di cinquant’anni e una smodata passione per la sua professione di insegnante delle scuole primarie. Da cinque anni era sposata con l’uomo divenuto il suo assassino, un vicebrigadiere dei Carabinieri in forze al reparto antidroga di Roma, che venerdì pomeriggio le ha sparato quattro colpi, prima di rivolgere la sua calibro 9 parabellum contro se stesso per farla finita a sua volta.

La provincia di Roma, dunque, a unire queste tragedie consumatesi in due giorni, non è l’unico elemento, sebbene risulti drammaticamente ricorrente.

Ad avvicinare ulteriormente le due storie sono le divise che una volta in più, anziché costituire il più autorevole dei deterrenti, si trasformano in un preoccupante denominatore comune, dove l’uomo in divisa diventa il folle, facilitato dal fatto di avere una pistola d’ordinanza tra le mani, pronto a sparare contro chi dice di amare per poi rivolgere l’arma contro se stesso.

Un fatto, quello avvenuto a Marino, incredibilmente simile alla vicenda accaduta cinque anni fa ad Albano Laziale, altro centro dei Castelli Romani, a pochissimi chilometri di distanza, dove un altro militare, pure lui appartenente all’Arma dei Carabinieri, ha ucciso la moglie insegnante e madre dei loro due figli prima di farla finita. Identici i lavori dei protagonisti, davvero simili le dinamiche.

In tutti questi casi c’è un uomo con una pistola in dotazione per lavoro e una donna indifesa. Fatti troppo vicini e ricorrenti nel tempo, nello spazio, nelle dinamiche, per non portare chi di dovere, i vertici delle forze dell’ordine per esempio, ad animare riflessioni che paiono sempre più urgenti e necessarie a individuare qualche soluzione rispetto alla tenuta psichica, a tutela degli appartenenti ai loro corpi armati e di chi vive loro a fianco.

Fa ancora più tristezza, poi, apprendere che alla psicotica gelosia, movente del brutale fatto accaduto ai Castelli Romani, si contrapponesse una donna colpita nel tentativo estremo di fuggire.

Una donna, come la maestra Annamaria, che non solo, per indole, non era abituata a fuggire di fronte alle proprie responsabilità e alle difficoltà spesso connesse ma anzi, era la prima ad impegnarsi, come stava facendo nel suo gruppo civico locale, chiamato Marino in Rosa, presentato pubblicamente proprio lo scorso 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Tutto ciò porta inevitabilmente alla conclusione – ben al di là dal penetrare davvero, oltre la retorica, nella carne viva della società – che sia ancora realmente immenso il lavoro da compiere in termine di presa di coscienza e educazione al rapporto tra i generi, all’affettività e alla gestione delle emozioni. Generando, in tal senso, una sola netta risposta di rinnovato e ancor più forte impegno, da rivolgere soprattutto all’indirizzo di chi continua a sostenere al contrario, spesso anche con modi e toni irrispettosi e irridenti, che la campagna informativa, politica e sociale contro il femminicidio e la violenza di genere sia animata da prese di posizione dettate solo da un revanscismo ideologico tardofemminista. Sarebbe quasi bello se avessero ragione loro ma purtroppo non è per nulla così.

La cronaca, infatti, continua a dire l’opposto. Fatti che, drammaticamente, in queste ultime vicende, si sono anche geolocalizzati in un fazzoletto di terra – quasi a voler dare una tragica e non necessaria, ulteriore prova del nove – dove carnefici uomini e donne vittime, si susseguono con un concatenarsi di coincidenze che, probabilmente, non possono più nemmeno essere considerate tali e sulle quali varrebbe la pena sollevare il pesante lenzuolo di silenzio, forse opportuno a giudizio di qualcuno ma certo non conveniente. Soprattutto per le vittime che continuano a soccombere.

Daniele Priori

Lascia un commento