Gesù, gli apostoli e le folle

di Il capocordata

Questo è un racconto (Mc. 6, 30-24) pieno di movimento: gli apostoli sono di ritorno dal giro missionario (Vangelo di domenica scorsa) e fanno il rendiconto a Gesù che li ha inviati; in simili circostanze è normale sentire Gesù che invita gli apostoli a riposare un po’. Ma come è possibile riposare in un luogo dove tanta gente va e viene, e diventa un problema perfino consumare i pasti? E’ necessario cercare la solitudine e la barca permette di andarsene alla chetichella. Ma è tutto inutile: qualcuno li ha visti e parecchi indovinano la mossa. Da tutte le città si accorre e si riesce a precedere Gesù e gli apostoli. Gesù ha pietà della folla che gli sta dinanzi e si mette a istruirla.

La dinamica del racconto assicura una tensione tra il riposo ricercato dopo l’attività missionaria e l’attività di Gesù che si mette ad insegnare proprio quando era previsto il riposo. La compassione di Gesù per la folla e l’insegnamento che le impartisce non conclude l’azione, ma segna una pausa prima che l’azione venga ripresa. L’accenno all’insegnamento abbondante e prolungato (v. 34), prepara quello sull’ora tarda che segue immediatamente e sul ritorno in scena dei discepoli: l’interesse per l’iniziazione degli apostoli che Gesù non trascura, non gli impediscono di prendersi cura della folla che corre a lui.

Gesù e la folla

Secondo Marco, Gesù esercita sulla folla una straordinaria forza di attrazione: la folla accorre da ogni dove, stringe Gesù, gli impedisce di mettersi a tavola con i discepoli; la guarda con simpatia, non la respinge mai, anche se talvolta cerca di evitarla; in qualche occasione la chiama. La maniera di comportarsi di Gesù verso di essa è sempre significativa e manifesta un aspetto essenziale della sua missione. Il nostro, poi, è un caso particolare: la folla interviene in modo imprevisto, proprio quando Gesù ha deciso di starsene un po’ in disparte.

“Si commosse per loro” (v. 34). Il verbo tradotto in questo modo implica un sentimento profondo che afferra la parte più intima dell’essere e si traduce in un atto eccezionale a favore di un altro. La compassione di Gesù lo spinge a guarire i malati, a ridare vita al figlio della vedova di Naim, a purificare il lebbroso: i miracoli di Gesù sono segni della salvezza che doveva essere realizzata dalla grazia misericordiosa di Dio. Nel nostro racconto, invece, ci stupisce sia per il motivo che dà alla pietà: “perché erano come pecore senza pastore”, sia per il modo di manifestarsi di questa compassione: “e si mise a insegnare  loro, a lungo”.

Perché erano come pecore senza pastore”.  

Queste parole suonano al nostro orecchio come una reminiscenza dell’ Antico Testamento, dove l’immagine del Dio Pastore ricorre spesso. La sollecitudine di Gesù, il riposo che vuole assicurare ai suoi, il raggruppamento della folla, sono allusioni varie agli annunzi profetici della salvezza, che tracciano la figura del pastore messianico, riconoscibile in Gesù.

“…e si mise a insegnar loro, a lungo

Insegnare in segno di compassione: è uno strano modo di agire. Il compito del pastore non è quello di istruire il gregge, ma di nutrirlo. Per Marco Gesù è Pastore perché insegna. Più che i vari temi della dottrina di Gesù, l’evangelista mette in risalto la manifestazione velata, mal compresa e difficile da comprendere, della sua missione e della sua persona (il “suo segreto”). Sotto questo aspetto, il fatto stesso che Gesù insegni è rivelatore. Insegnamento e miracolo provocano uguale stupore, perché sono rivelatori di un’autorità sovrumana. Gesù manifesta questa autorità in primo luogo nel suo insegnamento.

Mediante la sua parola che insegna e che batte in breccia il potere di Satana, Dio lavora alla costruzione del suo regno. D’altronde, è questo il tema essenziale della predicazione di Gesù alla folla secondo Marco: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”. Quindi non c’è più motivo che ci meravigliamo se Gesù insegna in un racconto che insiste sulla qualità della sua compassione per il gregge abbandonato a se stesso e che lo presenta come il pastore messianico. Insegnando, Gesù fa un atto di autorità, nel significato profondo del termine; manifesta la sua missione, prima di annunziare che viene a radunare e a sfamare il gregge abbandonato che Dio riprende sotto la sua custodia, nella persona di Gesù, il Figlio di Dio. Nel pensiero biblico, l’insegnamento non è un elemento estraneo al compito del pastore: il gregge che Dio pasce è invitato ad ascoltare la sua voce se vuole entrare nel suo riposo.                                                   

Bibliografia consultata: Delorme, 1970

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