Lazio misterioso: Montecalvello, il Signore del Rinascimento

Il minuscolo paese, frazione di Viterbo, nella valle del Tevere, sembra un posto disabitato, dominato dal castello di Balthus

Castello di Montecalvello (Viterbo)

Il minuscolo paese, frazione di Viterbo, nella valle del Tevere, sembra un posto disabitato, dominato dalla massiccia mole del castello di Balthus, con dentro gioie, mobili di pregio, affreschi e quadri tra cui un Giotto. L’Italia è un incredibile riserva di tesori anche nei borghi più sconosciuti.

Lazio misterioso: Montecalvello

Il borgo deve la sua fama principalmente al castello, le cui origini risalgono al periodo che va tra il 774 e il 776, quando il re longobardo Desiderio si fece promotore e artefice della sua fondazione. Le prime notizie ufficiali su questo mini borgo si hanno dalla prima metà del duecento, quando un tal Alessandro Calvelli deteneva il possesso del feudo, al quale dette il nome del paese: Montecalvello. Ma la cosa più incredibile è l’allestimento degli interni che il pittore Balthus ha curato quando è entrato in possesso del castello, lasciandolo poi in eredità al Conte Stanislas, suo figlio.

Un borgo che pare disabitato con dei tesori sorprendenti

Il borgo sonnecchioso ci aspetta a 168 metri s.l.m. Arrivando si ha l’impressione sia disabitato. Il silenzio delle strade è rotto solo dal vento e dallo zampillio dell’acqua della fontana cinquecentesca che si apre su una corte.  Intorno solo boschi con tante tonalità di verde, dal più chiaro quasi argentato, al più scuro e inquietante. La pietra grigia del castello contrasta con tanto verde e con l’azzurro del cielo. Da Viterbo ci vogliono 20 km per arrivare fino alla frazione di Montecalvello.

Superato l’abitato di Grotte Santo Stefano, si procede in direzione nord-est alcuni per chilometri e, lungo la strada, si incontra una piccolissima chiesa, intitolata a San Rocco, eretta nella seconda metà del XV secolo. Sebbene di dimensioni contenute, ospita diversi graffiti realizzati dai pellegrini, che vi sostavano diretti a Roma, e affreschi attribuiti ad un seguace di Lorenzo da Viterbo raffiguranti la Madonna della Melagrana con il Bambino. Il paese è una manciata di case chiuse nelle mura del maniero, i vicoli stretti, i fiori alle finestre, testimoniano che c’è vita. Qualche bambino esce per strada a giocare. Un vecchio passeggia appoggiato al suo bastone. Siamo tornati indietro di almeno 600 anni.

Fanno ancora più impressione le case disabitate del borgo, testimoni di un passato sepolto nel tempo, mentre il castello conserva tutte le memorie sfarzose delle sue vicissitudini, incontriamo la Chiesa di Santa Maria e le prigioni, quelle in cui venivano rinchiusi ladri e nemici. In paese non c’è nessun esercizio aperto, neanche un bar, niente. Ma quello che c’è vale il viaggio.

Da una famiglia nobile all’altra il borgo giunse fino a Donna Olimpia Maidalchini e infine a Balthus

Sullo sperone su cui sorge, gli Etruschi costruirono strutture di difesa e in seguito anche i Romani vi edificarono una villa, di cui sono state trovate colonne ed altri reperti riconducibili all’epoca.  Nell’ottavo secolo i Longobardi edificarono una fortezza, completa di fossato e ponte levatoio, che passò nel medioevo in mano ai Monaldeschi del Cane, ramo viterbese della nota famiglia, che la tennero fino a che, nel ‘400, ne fecero un palazzo rinascimentale.

Nel corso dei secoli tanti nobili hanno fatto del borgo di Montecalvello una loro residenza, come i Monaldeschi di Montecalvello e il marchese Marcello Raimondi nel 1644. Fu di proprietà, nel diciassettesimo secolo, della famiglia Pamphili, che diverrà Doria Pamphili nel 1700. 

Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Papa Innocenzo X, colei che diede la propria impronta a Piazza Navona, e sul cui modello fece edificare il borgo di San Martino al Cimino, detenne la proprietà senza mai metterci piede. Suo figlio, sposato con Olimpia Aldobrandini Borghese, al contrario, arrivò a Montecalvello e alterò lo stemma Monaldeschi per rendere visibile il proprio: Pamphili. Dopo il ‘600 il palazzo non è stato più occupato per secoli, tranne come rifugio per le persone dopo la guerra.

Mentre nei primi decenni del secolo scorso la proprietà passò al Beatrice Mariani, la quale decise poi di venderlo nel 1970 al famoso pittore di arte contemporanea, francese di origine polacca, Balthasar Klossowski de Ròla, meglio conosciuto con il nome di Balthus (1908-2001). Quest’ultimo, infine, ha lasciato al figlio l’intera eredità.

Un signore del Rinascimento, come lo definì Fellini

Il Castello non si può visitare se non accompagnati e su prenotazione, in base alle disposizioni del Conte Stanislas Klossowski de Rola, figlio di Balthasar Klossowski de Rola, noto come Balthus, un artista che fu uno tra i più originali ed enigmatici maestri del Novecento, il primo pittore che ancora in vita ebbe il privilegio di vedere esposte le sue opere al Louvre di Parigi. Questo grande artista, dall’animo raffinatissimo, fu definito dall’amico Federico Felliniun signore del Rinascimento” e la percezione di arcana bellezza che si ha in molti luoghi del Lazio, dove visse per anni, lo colpiva profondamente. Spesso sono gli stranieri a scoprire la bellezza del nostro paese. Noi ne siamo sovrastati.

Mentre si trovava a Roma per restaurare Villa Medici, Balthus venne condotto in questo castello dal Principe del Drago e se ne innamorò subito. Decise di comprarlo mentre già mostrava evidenti segni di decadenza. In un certo senso decise di trasferirsi qui. I lavori a Villa Medici durarono sedici anni e per tutto qual tempo Balthus abitò al Castello di Montecalvello, ma proprio a lavori ultimati si rese conto che le temperature eccessivamente alte della zona non si confacevano con le sue esigenze di salute. Se ne andò in Svizzera dove finì per comprare la più gran de struttura in legno d’Europa: lo chalet di Rossinière, del 1754, dove poi morì nel 2001.

Il Conte Stanislas, figlio di Balthus, è un personaggio anch’esso fiabesco. Una figura snella, alta, con dei lunghi capelli bianchi, raccolti in una coda rasta. Veste con abiti ricercati, molto colorati e al collo e sulle dita ha collane e anelli preziosi. Parla lentamente in un perfetto italiano e un forte accento francese, con una voce profonda, che sembra sottolineare ancora di più i concetti che esprime raccontando del padre e delle opere che ha lasciato nel palazzo, a testimonianza della sua raffinata cultura.

La visita al Castello tra oggetti preziosi e affreschi e quadri d’autore

L’ingresso ha una pavimentazione in cotto grezzo, cui segue una scala ampia che termina al piano nobile. Entrando si respira un’atmosfera esoterica, grazie anche al contributo dei mobili in stile con un effetto vagamente inquietante. Il salone di Giove venne decorato dalla principessa Angelica Giustiniani e Alessandro Monaldeschi per il loro matrimonio.

Tra le due grandi finestre fa bella mostra di sé un camino in pietra e un affresco del ‘500 sulla parete. Luci soffuse illuminano in basso le poltrone e i divani che riempiono gli spazi del salone. Su una parete un affresco di Rosso Fiorentino e uno che rappresenta l’ultima fase della ristrutturazione avvenuta verso il 1580.

Tutte le famiglie che hanno vissuto nel castello si sono preoccupate di aggiungere opere d’arte dei pittori contemporanei e tra i quadri c’è anche un Piero della Francesca. Nel camminare tra le stanze il livello degli arredi e dei mobili lascia stupiti per il gusto davvero elegante delle scelte, dovute sempre ad epoche e a gestioni diverse.

Si pensi a quanti fra cavalieri e dame e servitori abbiano camminato su quei pavimenti e ammirato con stupore le opere poste alle pareti.

Per alcuni affreschi Balthus ha usato una tecnica scoperta a Villa Medici

Affacciati alla loggia realizzata nel 1500 e affrescata dal belga Bartolomeo Spranger, artista protetto dal papa e dal cardinale Farnese, che lavorava al soldo degli Zuccari a Caprarola, sovrastante l’attuale sala da pranzo, gli sguardi hanno la possibilità di spaziare dalla sala  Giove, verso l’Umbria, Bagnaia, passando per Bomarzo e Soriano.

Le pareti delle stanze hanno subito il nobile intervento di Balthus. L’artista ha utilizzato una tecnica, scoperta a Villa Medici, che si accorda con gli affreschi contenuti e in grado di non stancare l’occhio. Nel visitare altri ambienti, con cassettoni decorati, soprammobili preziosi, provenienti da paesi esotici lontani, come quelli della sala delle tigri, dono di un Re afgano, i letti a baldacchino, con drappi damascati alle pareti e specchi veneziani ornati di madreperla.

Lo studio di Balthus è rimasto come l’ha lasciato

Uno spazioso Salone Cinese, mostra oggetti orientali, compreso un variopinto gong e segna il confine con l’appartamento privato, non visitabile. Una visita emozionante per l’aura che si avverte e il fascino degli arredi. Si può accedere invece allo studio di Balthus, all’ultimo piano del castello. Lo studio è illuminato da due grandi finestre, una della quali si affaccia sul borgo medioevale, che si estendeva fino alle torri del muro di cinta, ancora visibili.

Un tavolo, in fondo alla stanza, accoglie gli strumenti da lavoro del famoso pittore contemporaneo. Pigmenti rossi e blu, con cui il maestro preparava i colori ad olio, giacciono sul piano in legno con una spatola affondata nel colore. Poco distanti, leganti di vario genere e un foglio di giornale datato luglio 1973: vecchio di cinquant’anni! A terra, polvere rossa. Il conte si raccomanda di fare attenzione a non calpestarla: è il segno tangibile del lavoro dell’artista.

Quanti tesori nascosti in questa Italia di provincia

Scendendo si trovano due sale da pranzo: una più buia con volte a crociera, dove i proprietari cenano a lume di candela e una più luminosa, dove viene consumato il pranzo. C’è anche una stanza per un petit déjeuner (piccola colazione), come la chiama il conte, anch’essa con il soffitto a volta.

Un enorme affresco opera di Giotto, è la perla più preziosa di questo posto incredibile. Pensate per un momento che ci troviamo in una frazione semi sconosciuta, quasi disabitata e non a Roma, a Firenze o Venezia, itinerari turistici privilegiati dal turismo internazionale. Come si può valorizzare i tesori di cui la provincia italiana è ricca a insaputa degli stessi Italiani e della maggior parte dei turisti? L’Italia è una miniera di opere d’arte preziose, uniche, però nascoste e si fatica a rendersene conto e a comunicarlo.

Nel grande atrio d’ingresso, un’enorme litografia di Jacopo dei Barbari raffigurante la città di Venezia, talmente perfetta da sembrare fotografata dal drone. Di fronte, una porta si apre su ripidissime scale che conducono al luogo, generalmente interdetto alle visite, in cui si produceva il pane.

Tutti questi ambienti sorprendenti hanno costituito il set di diverse produzioni cinematografiche. È stato scelto nel 2010 per la serie televisiva Rai Preferisco il Paradiso dedicata alla vita di San Filippo Neri. Nel 2015 per il film di Matteo Garrone Il racconto dei racconti, e più recentemente nel 2019 per la produzione Netflix La luna Nera e nel 2020 per la serie televisiva Rai dedicata a Leonardo da Vinci.

Per chi ama il bello sarà un godimento inestimabile

Quella che Balthus ha provato per il Palazzo di Montecalvello è un’attrazione che può essere fatale per uno spirito imbevuto di letture e di saperi romantici, che ama le sfumature e gli stati d’animo ma che può addirittura respingere coloro i quali siano estranei a quel tipo di formazione culturale e di gusto estetico. Montecalvello è di certo inadatto a chi voglia divertirsi nell’accezione più pragmatica del termine: non ci sono negozi, non ci sono ristoranti, negozi, artigiani nulla, nemmeno un bar. Se non prendesse neanche il cellulare, sarebbe il massimo!

Ho passato una vita intera in questo mondo – ha scritto una volta il Principe Stanislas, figlio di Balthusdentro un Quattrocento molto misterioso e inesplicabile. Decorazioni bellissime che sembrano solo elementi decorativi ma di fatto sono esoterici. Cose straordinarie che rendono queste stanze di Montecalvello quello che il grande Fulcanelli chiama una dimora filosofale”. Qui ogni dettaglio ha un significato profondo”.

“Lo scopo dell’alchimia è un cambiamento totale, una trasmutazione dell’essere umano in essenzialità divina. Si tratta, su tutti i livelli, di un progresso basato sul fatto che, secondo la filosofia ermetica, la Natura prepara le cose alla perfezione, però con degli impedimenti, che vanno superati per raggiungere l’Essenza. E uno degli strumenti per superare questi impedimenti è l’arte.”

*Foto dalla pagina Facebook “Il Castello Di Montecalvello, Tradizioni e Leggende. Eventi folclore musica”