Open Arms, l’Ong iberica rifiuta il porto offerto dalla Spagna

Durissimo scambio di accuse con Salvini, mentre l’ispezione a bordo non rileva alcuna emergenza sanitaria

Al diciottesimo giorno, si è finalmente svegliata la Spagna. Ci ha messo un po’, considerando che la Open Arms, la nave ferma davanti a Lampedusa con 107 migranti a bordo, batte bandiera iberica: ma alla fine il Premier Pedro Sánchez ha indicato il porto di Algeciras come possibile approdo dell’imbarcazione. Naturalmente, ne ha anche approfittato per attaccare l’Italia e il Ministro dell’Interno Matteo Salvini per la politica dei porti chiusi, con l’abituale spocchia dei maestrini dalla penna rossa che si sentono in diritto di impartire lezioncine in virtù, supponiamo, di una qualche autocertificata patente di superiorità. Saremmo curiosi di sapere come reagirebbe Madrid di fronte ad analoghe e indebite ingerenze nelle sue politiche, ma al momento ci limitiamo a registrare il diniego del capitano della Open Arms, Roberto Gatti, secondo cui la destinazione proposta è troppo lontana.

«Da Lampedusa ad Algeciras ci sono sette giorni di navigazione, è realmente inverosimile poter viaggiare con 107 persone a bordo in queste condizioni» ha dichiarato, scatenando le ire del segretario della Lega che ha bollato il rifiuto come «incredibile e inaccettabile».

Peraltro, quali siano queste condizioni sembrerebbe un mistero, considerato che l’ispezione a bordo del natante disposta dalla Procura di Agrigento non ha rilevato nessuna emergenza sanitaria. Un fatto peraltro già registrato dal medico responsabile del Poliambulatorio di Lampedusa, Francesco Cascio, che per questo si era trovato coinvolto nelle polemiche dei trinariciuti abituati ad anteporre le loro ideologiche convinzioni alla realtà – praticamente degli analoghi, solo più tronfi, dei terrapiattisti.

Tana per l’Ong, insomma, come non ha mancato di sottolineare Salvini, che d’altronde già in precedenza aveva nuovamente denunciato la strumentalizzazione in atto: «Da 17 giorni, invece di andare in un porto spagnolo, questi signori tengono in ostaggio gli immigrati a bordo (fra cui finti malati e finti minorenni) solo per attaccare e provocare me e l’Italia. Non mi fate paura, mi fate pena» si era sfogato, rimarcando anche che, dei 27 presunti minori che il Premier Giuseppe Conte ha preteso di far sbarcare, otto hanno poi dichiarato di avere più di 18 anni.

La guerra delle parole era quindi proseguita con l’argomentatissima reazione del taxi iberico del Mediterraneo, che aveva dato al Capitano del «miserabile» e farneticato di «propaganda xenofoba e razzista»: atteggiamento tipico di chi non è in grado di imbastire una replica sensata e ricorre agli insulti per fingere di non aver già perso.

Poi, dopo la relazione degli ispettori sanitari che ha dipinto un quadro decisamente meno drammatico rispetto ai deliri diffusi ai quattro venti dall’Ong – e a stampa e reti unificate dai barboncini del pensiero unico -, è toccato ancora al vicepremier rincarare la dose su Facebook. «Malati immaginari, minorenni immaginari, adesso emergenze sanitarie immaginarie… La ong Open Arms e i suoi complici stanno raggiungendo il massimo del ridicolo, gli italiani sono buoni ma non fessi».

Dichiarazioni che servono anche perché suocera intenda, visto che all’orizzonte (metaforico) si intravede il pronunciamento del Consiglio di Stato contro l’ordinanza del Tar del Lazio che, in barba a tutte le leggi, si era inventato l’annullamento del divieto d’ingresso nelle acque territoriali per la Open Arms; e che sempre all’orizzonte (fisico) spunta anche l’altra nave Ocean Viking che, attualmente, veleggia tra Malta e Lampedusa con 356 immigrati, tra cui un centinaio autodichiaratisi minorenni – e si è visto quanto sono fededegne le autocertificazioni dei galantuomini aizzati dai pirati delle Ong.

Insomma, saranno anche passati sessant’anni, ma resta più viva e più attuale che mai l’arguta lezione di Ennio Flaiano: la situazione politica (e non solo) in Italia è ancora e sempre «grave ma non è seria».

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