Plastica, arriva la tassa sui sacchetti monouso: le cose da sapere

Dal primo gennaio 2018 i sacchetti monouso per frutta e verdura dovranno essere ecologici e, soprattutto, a pagamento

Dal primo gennaio 2018 i sacchetti monouso per frutta e verdura dovranno essere ecologici e, soprattutto, a pagamento. Lo ha stabilito una legge approvata il 3 agosto 2017 (n.123) dal parlamento italiano che ha così dato applicazione a una direttiva europea del 2015 (la n. 720). La via fiscale, però, non era obbligata: il piano di Bruxelles per ridurre il consumo di plastica in Europa chiedeva, è vero, agli Stati membri di scoraggiare l’uso delle buste monouso. Ma non rendeva obbligatorio tassarle, suggerendo anzi di favorirne la sostituzione con materiali riciclabili, come ribadito anche dal vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, in una dichiarazione del 6 ottobre 2017. Il nostro legislatore ha preferito la leva economica, con il risultato che dal 2018 al conto del supermercato si aggiungeranno dai 2 ai 10 centesimi a involucro. Non poco se si considera che il consumo pro-capite è stimato in 180 sacchetti monouso all’anno per un giro d’affari che sfiorerebbe i 400 milioni di euro, incassati in parte dal distributore, in parte dal produttore e in parte anche dallo Stato sotto forma di Iva o imposta sui redditi.

Il provvedimento ha suscitato le proteste dei consumatori per l’ennesimo balzello e della Federdistribuzione che ha paventato rischi igienici. Ma anche il prevedibile plauso dei produttori di materiali alternativi, come Assobioplastiche che, per bocca del presidente Marco Versari, ha salutato la legge come la "naturale conclusione di un percorso virtuoso nel settore della bioeconomia e dell’economia circolare che fa dell’Italia un modello per tutto il continente". Ma è davvero questo che ci chiedeva l’Europa? E, se così non è, perché il parlamento italiano ha deciso di discostarsi dalle indicazioni delle istituzioni comunitarie?

Il parere di Bruxelles: per l'Unione europea la tassa non è sostenibile. Fra le misure idonee a raggiungere l’obiettivo, le istituzioni europee citavano "la fissazione del prezzo, imposte e prelievi e restrizioni alla commercializzazione". Precisando, però, che "gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica fornite come imballaggio per prodotti alimentari sfusi ove necessario per scopi igienici oppure se il loro uso previene la produzione di rifiuti alimentari". In altri termini, in base alla direttiva, la tassazione dei sacchetti per frutta e verdura non era obbligatoria. Suggerimento non accolto: il 3 agosto il parlamento italiano ha approvato la legge 123 che vieta a partire dal primo gennaio 2018 la distribuzione gratuita delle buste di plastica monouso. Per i commercianti che si ostinassero a non farle pagare ai clienti, inoltre, sono previste multe da 2.500 a 100 mila euro. Misure severe che puntano a diminuire rapidamente il consumo di plastica, ma che rendono anche l’Italia l’unico Paese in Europa a tassare i sacchetti usa e getta.

Non più tardi del 6 ottobre, infatti, Timmermans aveva escluso la possibilità di una tassazione sulle plastiche monouso, definendola "non sostenibile". Meglio sarebbe, proseguiva, concentrare gli sforzi sulla creazione di "plastiche completamente riciclabili" e sull’organizzazione di "campagne per cambiare le abitudini dei consumatori". La via fiscale, dunque, non era l’unica da imboccare per l’Italia e, anzi, le istituzioni europee sembravano propendere per soluzioni più morbide. A convincere il legislatore ad azionare la leva economica, la più incisiva, potrebbero però aver contribuito i dati su produzione e smaltimento dei rifiuti plastici in Italia, che dipingono il quadro di una vera e proprio “emergenza plastica”.

L’Italia è il secondo consumatore di plastica in Europa dopo la Germania: più di 7 milioni di tonnellate nel 2015, in leggero aumento rispetto all’anno precedente. Il contributo più significativo a questo cumulo di plastica viene dai materiali per confezioni: stando ai dati più recenti, 2,3 milioni di tonnellate di plastica per imballaggi vengono annualmente utilizzati nel nostro Paese. In altri termini, nel cestino di un italiano finiscono in media 38 chili di plastica ogni 12 mesi, un dato che ci colloca al terzo posto in Europa dopo Lussemburgo e Irlanda. Quanta di questa plastica viene poi riciclata o riceve altro impiego utile? In Italia ancora molto poca in confronto ai Paesi europei più virtuosi. Secondo il rapporto Plastic Facts 2016 pubblicato dall’Ue, quasi il 40% dei rifiuti plastici finisce in discarica contro le percentuali prossime allo zero di Svizzera, Austria, Olanda e Germania. Migliore la performance nel riciclaggio con un dato vicino al 30% che colloca l’Italia in linea con gli altri Stati membri. Dove il gap sembra davvero incolmabile è nel recupero delle plastiche non riciclabili, che moderni impianti possono trasformare in energia e calore. Un impiego alternativo all’avanguardia ampiamente diffuso, con percentuali vicine al 70%, nei Paesi in cui lo smaltimento in discarica è vietato, ma che da noi stenta a decollare.

Il dato più preoccupante, però, emerge dal rapporto Goletta verde 2017 di Legambiente: la più grande discarica italiana è il Mar Mediterraneo. La densità di rifiuti osservata è in media di 52 ogni km² di mare, con un picco di 62 registrato nel Tirreno; il 96% di questa discarica galleggiante, poi, è costituito da rifiuti plastici. Una concentrazione talmente alta da far definire in uno studio apparso su Nature il Mediterraneo "una zuppa di plastica", dove galleggia una media di 1,25 milioni di frammenti di plastica a chilometro quadrato. L’inquinamento del Mediterraneo non minaccia solo la sopravvivenza dei pesci, ma anche la salute umana. Secondo uno studio del 2017 dell’università di Gand, un mangiatore abituale di pesce ingerisce più di 11 mila frammenti di plastica ogni anno che, accumulandosi nel tempo, potrebbero provocare gravi malattie.

La responsabilità della trasformazione del Mediterraneo in una discarica ricade soprattutto sulle cattive abitudini degli italiani che ogni giorno gettano in mare 90 tonnellate di plastica. Fra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo il nostro è al terzo posto dopo Turchia e Spagna; in totale, ogni 24 ore 731 tonnellate di plastica finiscono nel Mediterraneo: in generale, si tratta soprattutto di mozziconi di sigarette, confezioni alimentari e bottiglie. Ma nelle acque italiane è un altro rifiuto a farla da padrone: il 17% della plastica galleggiante è costituito da sacchetti.

Il dato non sorprende: considerato che in Italia si commercializza un quarto del totale europeo dei sacchetti monouso, è probabile che una quantità significativa di questi vada a ingrossare l’isola di plastica che galleggia nel Mediterraneo, minacciando la salute animale e umana. E allora la tassa sulle buste monouso potrebbe rappresentare non soltanto un odioso balzello per i consumatori, ma un’occasione per incoraggiarne un uso più oculato: i soldi, a differenza dei sacchetti, difficilmente si buttano a mare.

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