Quel che ‘dice’ il NO: prove di interpretazione

Riceviamo e Pubblichiamo da Renato Centofanti:

Ho sostenuto la riforma della seconda parte della Costituzione, pensavo e penso che l’Italia abbia bisogno di un sistema di formazione delle leggi e funzionamento dei rapporti Stato e Regioni, più adeguato ai tempi, per meglio affrontare i problemi economici, sociali, europei e internazionali, l’ho fatto anche rendendomi conto di alcune lacune della riforma, ma le consideravo secondarie rispetto all’esigenza di portare a compimento il progetto. Per parafrasare il linguaggio calcistico, abbiamo perso per 4 a 0 e non per un 2 a 1, che può lasciare polemiche e rammarico. Quindi bisogna lasciare spazio solo all’analisi dei perché di tale sconfitta. Da dopo il voto, le ragioni che hanno mosso e che ‘dice’  il No sono consegnate a tutta la politica nessuno escluso, e quelli che hanno sostenuto il Si devono farne ancora più tesoro di altri, me compreso.

Con questo spirito, provo a dare una visione delle cose.

Il voto del 4 dicembre ha bocciato in modo netto e inequivocabile il progetto riformatore. Il 60 % ha votato No e il 40% ha votato Si, quindi credo, che per moltissimi anni a nessuno verrà più in mente di proporre riforme sul funzionamento della Costituzione. I vari istituti di ricerca dicono che, il voto esprime per un 30% un voto sulla riforma un 70% circa un voto sull’azione del governo di Matteo Renzi, penso che ciò sia  esatto, al di la di qualche spostamento proporzionale. Se questo è vero, dobbiamo analizzare i perché di questa bocciatura del governo? Quasi nessuno immaginava tanta partecipazione al voto, quasi fosse una elezione politica, ma tutta questa gente è andata a votare senza che ci fosse la spinta dei ‘concorrenti’ come avviene per le politiche, quindi è un dato sorprendente. Personalmente, cerco di capire come tutti, i perché dell’alta affluenza (per fortuna) e cosa dicono 19milioni di NO?

Dei Si, diamo per scontato che gli andava bene la riforma e pensavano che seppur con delle lacune, il governo stava facendo cose nel complesso utili al Paese, quindi per ora, è poco utile e interessante analizzarlo. Torniamo a quel che ‘dice’ il No, e alle file di persone che in un giorno – non in due, come alle politiche, questo già ci fa capire che si dovrebbe votare sempre in un solo giorno come dappertutto – hanno votato massicciamente. Se diamo per buono – questo dicono i sondaggisti – che il 30% ha votato sulla riforma  – circa 5/6 milioni di cittadini – l’altro 70% – 13/14milioni di cittadini- ha votato con altre motivazioni e intenzioni, ma quali? Mancanza o penuria di lavoro? Sicuro, abbiamo una disoccupazione ‘alta’ che non accenna a ridursi in modo forte, quindi un bisogno di lavoro e di reddito. Paura per le conseguenze sociali e di sicurezza, dovute all’immigrazione sentita come inarrestabile e invasiva? Sicuro che questo elemento sia determinante in tutte le consultazioni popolari, da qualche anno a questa parte, certamente sempre più determinante, e forse,  la sensazione di fastidio, paura e repulsione è maggiore di quello che siamo portati a pensare. Il No ci ‘dice’ che c’è un fastidio per l’Unione europea e i suoi vincoli, visti e sentiti come peso e riduzione di sovranità. Questo, mi sembra di sentire dalla ‘voce’ dei No, queste mi sembrano le ragioni profonde di quella voce. Sono ragioni enormi, ragioni che devono fare di questo 4 dicembre, un momento di riflessione collettiva, nei partiti e in ogni dove c’è discussione.

Altri elementi che hanno concentrato l’attenzione della campagna elettorale sono solo di contorno e – secondo me- di poco peso, vedi le varie argomentazioni dei ‘signori del NO’ (che è cosa molto diversa dai cittadini che votano).  Il ‘No’ è un lamento di dolore  e un grido di rabbia, e forse il titolo giornalistico che meglio esprime quello che il No ‘dice’, lo ha fatto Molinari direttore della Stampa “la spallata del popolo della rivolta”. Ma attenzione, nel No c’è anche una voce che non soffre molto, è quella della conservazione dei privilegi, quella che sta abbastanza bene nei loro stipendi sicuri nell’apparato dello stato e che mal sopportano controlli e verifiche per una maggiore efficienza dell’amministrazione pubblica, insomma, un egoismo corporativo che si è ben agganciato al ‘popolo della rivolta’, questa saldatura dipende dall’insufficienza dell’azione del governo rispetto alle aspettative della società. La “rivolta” per sua natura è sempre un’insieme di spinte materiali ed emotive che nascono da una realtà degradata e sentita tale. Il ‘No’, questo ce l’ha detto bene a tutti. Chi fa attività politica a ogni livello, deve cercare di comprendere quello che si mostra con questo voto e trovare le risposte possibili, e a volte, bisognerebbe osare l’impossibile. Il voto è stato contro la politica di Renzi e il suo governo, ma anche contro tutto un sistema politico visto incapace e inaffidabile. Delle divisioni dei vincitori adesso è inutile parlare, quelle verranno fuori, e farà capire che ‘il tutti contro uno o l’uno contro tutti’ è diverso dalle elezioni politiche, dove si sceglie chi mandare a governare e per fare cosa.

La sconfitta ha un nome: Matteo Renzi, e secondo me, anche tutto il partito democratico che ha lasciato a Renzi tutto il peso della campagna elettorale, essendo il PD assente nei territori e nelle piazze, forse per ignavia e forse incapacità di stare nelle piazze a discutere e confrontarsi con i cittadini. Come facciamo noi militanti del PD, a non dire che ne portiamo anche noi le responsabilità? Se il PD vuole rialzarsi deve tanto imparare da questo voto, e ascoltare a fondo quel lamento silenzioso dei giovani e la rabbia di chi non riesce a entrare nel mondo del lavoro o ne resta a vita ai margini, o delle tante partite iva che senza nessuna protezione devono ogni giorno sudarsi il pane, e se si ammalano rischiano di non mangiare. Questi deve mettere al primo posto il PD; a queste ‘voci’ del No deve dare risposte civili e dignitose. Alle altre voci corporative, interessate ai privilegi e comodi agi, goditori di diritti acquisiti ma poco equi, ecco di queste voci me ne preoccuperei di meno e comunque dopo, molto dopo gli altri.

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