Referendum e Democrazia , Brexit ed Europa

Sono passate due settimane dal referendum britannico sull’uscita dall’Europa e le tossine si sentono

Riceviamo e Pubblichiamo:

Le borse ne soffrono, i dirigenti dell’Unione procedono in ordine sparso tra chi vorrebbe chiudere in breve  il rapporto con la GB e chi vuol attendere e lasciare che l’onda passi, come sembra faccia la Merkel, che come fanno quelli che stanno bene, hanno poca fretta. Ma, voglio affrontare un problema diverso, politico e di rappresentanza per definizione, e cioè il rapporto tra: democrazia diretta-referendum e democrazia rappresentativa, mediata da partiti o movimenti politici.

Prendiamo in esame il referendum Britannico sull’uscita dalla UE. Il risultato ci dice che il 52% circa dei britannici vuole l’uscita. Hanno votato complessivamente il 71% circa degli aventi diritto al voto che sono circa 40 milioni di persone, di queste hanno votato circa 30 milioni di persone. I cittadini che si sono espressi per l’uscita sono circa 16 milioni e i cittadini che volevano restare nella UE sono stati circa 14 milioni. Possiamo dire che, il 37% degli aventi diritto decide il destino di un popolo, è bene ciò? Che sia legittimo è chiaro e ovvio, perché le regole di quel sistema sono quelle e quindi è legittimo. Ma chi usa la testa deve articolare gli argomenti e porsi la questione se, è una buona cosa porre domande semplici su questioni molto complesse come i Trattati fra Stati. Perché, posta la domanda referendaria e ottenuta la risposta,  si pone la questione di ‘chi’ deve ‘realizzare ed attuare’ quella risposta. Se si crea, una frattura tra la risposta popolare e la classe politica che la deve attuare, che si fa? Si può ricorrere alle elezioni, certo. Ipotizziamo che, vince l’elezione un partito o movimento politico che la pensa in modo diverso dal risultato referendario, si avrà una contraddizione di due espressioni popolari che non potranno avere una soddisfazione chiara. Il caso greco del referendum lo mostra bene.

Diceva un padre della nostra Costituzione, Luigi Einaudi, per deliberare bisogna conoscere.

Ora, qualsiasi medicinale prendiamo, anche quelli da banco, nella confezione ci sono le avvertenze, anche troppo dettagliate. Per il referendum britannico sulla scheda elettorale c’era solamente scritto  ‘se volevano restare nella UE oppure uscire dalla UE’,  forse avrebbero dovuto spiegare meglio le implicazioni che ciò avrebbe comportato e non scoprirlo i giorni successivi. Per dare un voto a un partito o movimento esigiamo un programma di molte pagine, numeri statistici seri e sostenibili e altro, mentre per sciogliere un legame trentennale tra Stati con implicazioni di politica internazionale ed estera pensiamo di farlo con una semplice proposizione?  

Google, ha fatto sapere che i giorni seguenti alla Brexit, è stato bombardato di domande relative all’uscita della UE  ed alle sue conseguenze, ciò vuol semplicemente dire che, chi ha fatto la campagna elettorale ha puntato sull’emotività, sulla pancia, su un sentimento di reazione, sull’idea di un ritorno a un’età dell’oro (che ovviamente esiste solo nei ricordi edulcorati dall’età o dall’ingenuità) – sovranità, confini, controlli, padroni in casa propria – e tutto ciò ha pagato nel risultato. Ma tutti i problemi sopra descritti restano tutti. E, il tirarsi indietro dei politici che hanno vinto il referendum fa capire bene che il vaso di Pandora, una volta aperto mette paura anche agli apprendisti stregoni e ognuno lascia la mano. Cameron, a suo tempo, promise il referendum per motivi di politica interna e si è rotto l’osso del collo, perdendolo. Boris Johnson che ha vinto il referendum si ritira dalla corsa  a primo ministro, eppure per realizzare l’uscita qualcuno dovrà farlo. Farage, il capo degli antieuropeisti britannici dice di ritirarsi dalla vita politica, avendo ottenuto lo scopo che si prefiggeva, però lo stipendio europeo se lo tiene e resta li fino alla fine. Insomma, la gestione del risultato del referendum mette paura a chi lo ha promosso e vinto. Questo è un argomento importante sul quale bisogna ragionare, perché: la democrazia diretta ha sempre bisogno di chi la applica, e chi è chiamato ad applicarla non può essere un ‘portavoce’ altrimenti avremo dei burattini mossi dall’esterno, oppure dei ‘portavoce finti’ che decidono loro per il popolo – ridotto a simulacro- .

Non a caso, la democrazia liberale e costituzionale europea e americana prevede  che i rappresentanti dei cittadini siano eletti ‘senza vincolo di mandato’. In Italia questo ormai sembra una cosa vecchia, ma è forse solo ignoranza di ritorno, il fatto, che si consideri cosi. Sono temi attuali, dai quali non si fugge, ma per affrontarli  bene, bisogna che i politici ri-conquistino una rispettabilità e credibilità. Basterebbe prendere esempio da Papa Francesco:  porta la borsa da solo, viaggia con una utilitaria, porta la croce di ferro e non d’oro, le scarpe un po’ sformate, va a mangiare nella mensa di S.Marta, insomma basterebbe copiare, ma bisognerebbe saperlo e volerlo fare.  La strada è quella, non altra, per recuperare una fiducia persa.

Solo per divagare a proposito della democrazia diretta, tra storia e racconto popolare.

Pilato, chiese al popolo della piazza ebraica chi volesse libero, il popolo della piazza rispose, Barabba. Ma, al centurione romano che doveva conficcare la lancia nel costato di Gesù, per realizzare la volontà della piazza, l’ordine lo dette Pilato. Si sono scritte infinite pagine di storia su questo.

Si dice che Pilato, l’ordine lo abbia dato a malincuore, non era difficile capire la differenza tra Barabba e Gesù. Lui lo intuì, ma non ebbe la forza di opporsi alla piazza. Sembra, che non perdonò mai questa debolezza, a se stesso.

Renato Centofanti

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